Esteri / Varie
Grecia, i diritti negati nei campi profughi
di Duccio Facchini —
Da Idomeni a Katerini, fino all’area militare di Diavata, “le violazioni della normativa internazionale e comunitaria sono lampanti”. Il racconto di otto corsisti della “Scuola di alta formazione per operatori legali specializzati in protezione internazionale” (organizzata anche dall’ASGI) che a fine marzo hanno attraversato i luoghi di "accoglienza" e intervistato decine di migranti
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo non si è fermata soltanto a Idomeni, la piccola cittadina greca sul confine con la Macedonia, dove si trovano almeno 10mila migranti, per il 40% bambini, e oltre 600 donne in stato di gravidanza. La solidarietà dei governi dell’Europa ha finito la sua corsa anche all’ex campeggio di Katerini, allo slargo militare di Diavata, ai centri di Neokavala e Polykastro. Si tratta di quei luoghi battuti a fine marzo da otto corsisti della “Scuola di alta formazione per operatori legali specializzati in protezione internazionale” organizzata dall’ASGI, dall’associazione ADL Zavidovici, dalle cooperative K-Pax, Idea Prisma 82 e Alternata.
Una missione cui hanno preso parte nell’ambito della carovana #overthefortress, e che hanno documentato in un report dettagliato dedicato alla “negazione” dei diritti alla protezione internazionale e all’unità familiare dei migranti in Grecia.
Nel “campo di attesa” di Idomeni, privo di luce elettrica o connessione alla Rete e in grave carenza di indumenti, cibo e punti informativi, i corsisti hanno intervistato diversi migranti siriani, nessuno dei quali era mai stato nelle condizioni di conoscere i propri diritti o avere un quadro sommario delle informazioni legali di base da parte delle autorità. Prova ne sono stati i documenti forniti ai “fotosegnalati”, scritti in greco con un solo timbro in lingua inglese. A tutto ciò si aggiunge il fatto che “nessuno a Idomeni può richiedere la protezione internazionale, in quanto l’accesso è materialmente precluso”. La volontà di protezione, in quei campi della Grecia, viene portata avanti all’attenzione dell’ufficio asilo presente anche a Salonicco -a oltre 80 chilometri- “solo su Skype”, in orari stabiliti in base alla lingua del richiedente.
E quando questo non è siriano o iracheno, peraltro, “l’accesso alla procedura è invece notoriamente impedito”, hanno riportato gli inviati. Un trattamento altrettanto disumano e per certi versi “deteriore” -come raccontano gli autori del report- spetta ai minori non accompagnati, che in Grecia devono essere “trattenuti in strutture chiuse”. “Non hanno accesso alla protezione internazionale” e quando tentano la fuga verso il cuore dell’Europa “vengono ugualmente catturati e violentemente picchiati dalla polizia macedone”.
Oltre a Idomeni, i corsisti hanno visitato anche i campi di Polykastro, Evzoni, l’Hotel Hara. Nel primo (Eko station, a metà tra Idomeni e Salonicco), alla fine di marzo, sono stati contati circa 2mila migranti, siriani e curdi, in uno “spazio decisamente raccolto” e senza alcuna assistenza legale. Nessuno di loro, per questo, ha avanzato richiesta di asilo.
Va peggio ai campi governativi militari come Neokavala. Lì, a due chilometri da Polykastro, “i volontari che vogliono portare aiuti possono solo lasciarli nello spazio antistante l’ingresso”. Niente accesso per giornalisti. Chi gestisce il campo -un’area aeroportuale dismessa che accoglie 3mila persone in “pessime condizioni sanitarie ed igieniche”- è un militare. Nessuno degli “ospiti” ha fatto domanda, per il semplice fatto che non gli è stato consentito.
(clicca sull’anteprima per leggere il quadro aggiornato su presenze e capienza dei centri di accoglienza in Grecia. fonte UNHCR)
Così come all’ex campig Nireas, dove 300 tra siriani, afghani e iracheni sono stati sequestrati in un sito affacciato sul mare distante 12 chilometri dal centro abitato di Katerini. Non hanno mediatori, traduttori, assistenza medica. Alcuni stanno in bungalow riscaldati, altri in tende senza isolamento dal terreno. Buona parte di loro ha in mano un foglio di “deportazione sospesa”. Per i siriani dura sei mesi, per gli altri 30 giorni.
Il viaggio dei corsisti porta ad un’unica conclusione: “le violazioni della normativa internazionale e comunitaria sono lampanti”. Calpestata è la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 e il principio di non respingimento di chi fugge perché esposto a trattamenti inumani e degradanti.
Violato è l’obbligo di informazione e consulenza a favore di chi desideri presentare una domanda di protezione internazionale, come sancito dal “memorandum” della cosiddetta Direttiva procedure (2013/32 UE). Ed è negata la dignità umana di chi è confinato da mesi in “campi autogestiti, dentro delle tende, senza acqua, luce, in gravissime condizioni igienico-sanitarie”.
Il report degli operatori legali è chiuso da un paragrafo dedicato ai “nuovi scenari” legati al presunto “accordo” annunciato a metà marzo tra il Consiglio europeo e il governo della Turchia. Il meccanismo di rimpatrio forzato dei migranti giunti in Grecia è stato recentemente analizzato dal professor Mauro Gatti, professore a contratto di Diritto europeo e internazionale del lavoro presso l’Università di Bologna. L’11 aprile scorso, sulla rivista eurojus.it, Gatti ha messo in discussione non solo il “commercio di esseri umani” che ne deriva, ma anche la legittimità di un “accordo internazionale” stipulato violando le prerogative e il coinvolgimento del Parlamento europeo e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Sul punto, la Commissione europea ha fatto sapere ad Altreconomia che “la dichiarazione del 18 marzo 2016” non sarebbe altro che una “specificazione e complemento” di quanto deciso il 29 novembre 2015, nell’ambito del “piano d’azione UE-Turchia”.
clicca sull’icona per ascoltare l’intervista al prof. Mauro Gatti sull’accordo Ue-Turchia
Un’integrazione che il professor Gatti ritiene comunque annullabile da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea per l’aggiramento delle istituzioni democratiche ed elettive.
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