Esteri
G20, avanti adagio
Una tappa interlocutoria verso il G20 dei capi di Stato e di governo del prossimo 2 aprile a Londra. Senza voler essere troppo critici, così potremmo sintetizzare il risultato del G20 dei ministri delle Finanze che si è tenuto il 14 e 15 marzo a Horsham, placida località di campagna a un’ora da Londra.
La crisi corre veloce e il mondo rimane in trepida attesa dei correttivi adeguati. Eppure al di là delle dichiarazioni ad effetto contro il protezionismo e a favore di “azioni efficaci” – “faremo tutto il possibile” ha tuonato il ministro britannico Alistair Darling – si continua a navigare a vista. Non a caso il comunicato finale del summit di Horsham non fornisce cifre o date, ovvero elementi concreti in base ai quali verificare l’efficacia della cura da somministrare al grande malato chiamato economia mondiale.
Peggio ancora, per quel che concerne la regolamentazione della finanza globale nel testo finale non si trova traccia di una delle tematiche più calde e dibattute negli ultimi mesi: i paradisi fiscali. Nonostante le pressioni dell’amministrazione americana e i tanti sbandierati recentissimi accordi con Lussemburgo, Liechtenstein, Andorra e Svizzera per un relativo rilassamento del loro segreto bancario, di mettere su carta un approccio globale per cancellare l’ingiustizia dei tax havens dalla faccia delle terra nemmeno a parlarne. La tematica non è una priorità assoluto, avrebbe evidenziato Downing Street.
Ci si è invece concentrati su un blando compromesso sulle eventuali nuove iniezioni di moneta nelle diverse economie – soluzione non troppo gradita a Germania e Francia ma fortemente sponsorizzata dagli Usa e il Regno Unito.
Berlino e Parigi hanno però compiuto qualche passo in avanti in merito all’introduzione di limitazioni per l’operato di hedge funds, fondi di private equity e veicoli fuori bilancio usati dalle banche, esplorando la necessità di standard unici vincolanti a livello globale nonché la possibilità di avere regolatori e supervisori internazionali.
Per fare concessioni su questo punto, gli Stati Uniti hanno preteso un considerevole rafforzamento del ruolo del Fondo monetario internazionale, che dovrebbe così ottenere un cospicuo aumento del suo capitale. Si vocifera di stanziamenti anche fino a 500 miliardi di dollari che i Paesi ricchi e le economie emergenti dovranno pompare nelle casse dell’istituzione di Washington per far fronte alle crescenti difficoltà degli Stati più poveri del Pianeta – ma per adesso, come accennato in precedenza, non si sono ancora presi impegni concreti. In cambio le stesse economie emergenti chiedono più voce in capitolo, che si potrebbe tradurre in un maggiore potere di voto, ma non prima del 2011. Insomma, anche sul capitolo delle riforme degli enti multilaterali come l’FMI si procede a rilento, con l’Europa a fare ostruzionismo cercando di mantenere il vantaggioso status quo.
Per inquadrare in prospettiva l’imminente G20 dei leader mondiali, basta citare le parole del presidente del Financial Stability Forum, il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, secondo il quale il vertice del 2 aprile non sarà la soluzione definitiva al rompicapo della crisi. E se lo dice lui…