Ambiente / Opinioni
Il futuro è delle rinnovabili. L’economia fossile è senza speranza
I costi dell’energia evidenziano la competitività di eolico, solare e batterie per l’accumulo. Il processo va guidato. La rubrica del professor Stefano Caserini
Sono ormai 15 anni che i costi dell’energia fotovoltaica e dell’energia eolica stanno diminuendo, anche più di quanto previsto dagli esperti del settore. L’ultima analisi di BloombergNEF, uno dei più importanti istituti sule tema dei costi dell’energia, ha mostrato un’ulteriore riduzione dei costi della produzione di elettricità con impianti fotovoltaici di grande scala: del 18% solo nell’ultimo anno. Per l’energia eolica prodotta con impianti sulla terraferma o ancorati sui fondali marini (off-shore), la riduzione è stata rispettivamente del 10% e del 24%. Ormai la produzione elettrica fotovoltaica ed eolica su grande scala è competitiva con le energie fossili, anche se quest’ultima è prodotta con la tecnologia più efficiente (cicli combinati a gas) o con quella più sporca (le centrali a carbone).
Anche il costo degli accumulatori di energia continua a ridursi; il costo di accumulo con grandi batterie al litio è sceso del 35% solo nell’ultimo anno. Sono numeri impressionanti che fanno ben sperare sulla possibilità che le rinnovabili possano sostituire i fossili, superando gli ostacoli legati alla variabilità e all’intermittenza di queste fonti. La domanda di elettricità è infatti soggetta a punte e a minimi durante il giorno, che non combaciano necessariamente con le punte e i minimi della produzione. Bilanciare questo sfasamento è una delle grandi sfide tecnologiche del sistema energetico del futuro. In passato si è sempre pensato che per soddisfare la richiesta di energia durante i picchi della domanda si dovesse obbligatoriamente basarsi sui fossili, con i cicli combinati o motori a gas; ora le batterie iniziano a mettere in discussione anche questo predominio.
-35%, la riduzione del costo, nell’ultimo anno, dell’accumulo dell’energia elettrica con le batterie al litio
Quando si parla dell’importanza di pannelli solari, pale eoliche e batterie, è frequente incontrare le critiche sui possibili impatti anche di queste tecnologie. Ed è vero, anche loro possono diventare fonte di impatti. Un impianto fotovoltaico potrebbe essere installato su un terreno fertile ed impedire la produzione di cibo. Un parco eolico potrebbe ridurre la bellezza di un paesaggio. Le batterie potrebbero generare impatti durante il loro smaltimento. Certo. Ma si potrebbe anche ridurre al minimo questi problemi. Mettendo i parchi fotovoltaici sui tetti dei capannoni industriali o sui terreni incolti. Non installando i parchi eolici nei luoghi più pregiati o lontano dalle rotte degli uccelli migratori. Gestendo correttamente il riciclo delle batterie esauste. Ricordando che l’impatto zero non esiste, e che i danni diretti e indiretti di una centrale a carbone, per gli esseri viventi, i ghiacci, gli oceani sono molto maggiori. E che nessuno vorrebbe che i propri figli lavorassero in una miniera a carbone. Minimizzare questi impatti non è tanto un problema tecnologico, ma politico, istituzionale. Servono norme, controlli.
Negli ultimi mesi l’interesse sul tema dei cambiamenti climatici è cresciuto enormemente. C’è molta voglia di capire non solo quello che potrebbe succedere, ma anche quello che realmente si può fare. Ma c’è anche un senso di frustrazione, di sfiducia che si possa fare qualcosa. In particolare molta sfiducia nella politica. Si è persa l’idea che le istituzioni possano essere la guida per questo cambiamento, come se fossero condannate strutturalmente ad occuparsi di questioni più contingenti, o a parlare d’altro. È una sfiducia certo meritata. Ma per cambiamenti così profondi e rapidi come quelli da mettere in campo nei prossimi due-tre decenni un’azione politica seria e coordinata è indispensabile.
Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2019)
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