Opinioni
La partecipazione, chiave del successo per un’economia “liberante”
La questione essenziale di ogni progetto di economia “liberante” è la partecipazione delle persone, delle comunità, delle reti e dei movimenti al processo di trasformazione dei flussi di conoscenza, di potere, di beni e di segni di valore
La proposta di Euclides Mance. In questi anni essa si è delineata come quella che riassume il contributo attuale dell’economia solidale della liberazione alla nascita di una società giusta a partire dall’esperienza del Brasile e di altre nazioni dell’America Latina. Anzitutto Mance ha evidenziato il significato universale della solidarietà: siamo esseri relazionali e la consistenza stessa della realtà è quella di un tessuto dove ogni vita singolare è intrecciata con le altre. Sorge da qui il riconoscimento del bem viver di tutti inteso come il fine orientativo dell’intelligenza, del lavoro, della conoscenza, dell’amore, di ogni nostra energia.
Egli considera il sistema economico sulla base dei suoi flussi vitali, mostrando come i primi flussi da riorganizzare seguendo la chiave della solidarietà siano i flussi della conoscenza, dell’informazione e dell’educazione. Nel contempo vanno riorganizzati i flussi materiali, di energia, di beni, di denaro e di segni di valore, così come vanno profondamente trasformati i flussi di potere. Non dev’esserci alcun sistema organizzativo (di produzione, scambio, consumo, decisione) che sia automatico, dunque superiore alle scelte di persone e comunità; i flussi devono poter essere democraticamente governati, orientati, sostenuti, retroalimentati, ricondotti alla libertà sociale. Il potere del mercato va limitato e democratizzato grazie al diffondersi dei circuiti di scambio solidale; il potere dello stato va limitato e democratizzato grazie all’espandersi del potere pubblico dei cittadini organizzati in reti, comunità e movimenti.
Per la liberazione delle persone e delle forze produttive è indispensabile abolire il presupposto fondante del circuito capitalista, la scarsità, a partire dal vincolo della scarsità di denaro, che causa esclusione e povertà. Alla scarsità di denaro si deve opporre l’emissione autogestita di segni di valore nei circuiti economici solidali, messi in piedi da reti di partecipazione solidale allo scambio economico. Si tratta di segni di valore non fittizi, ma proporzionali alle forze produttive che i soggetti solidali liberano su scala sia locale che globale. Così, afferma Mance, si passa da un sistema che moltiplica assurdamente il valore di scambio a un sistema che distribuisce valore d’uso secondo una logica di inclusione democratica. Naturalmente non si tratta solo di democratizzare il sistema di scambio, ma di liberare anche il sistema di produzione, rendendo centrali le lavoratrici e i lavoratori, le loro relazioni con l’ambiente naturale in cui operano e le loro relazioni sociali. L’economia deve rispecchiare questo tessuto relazionale e trovarvi la sua forza. Prende forma allora un processo plurale e caratterizzato dal policentrismo, dove ogni nucleo si estende in modo concentrico: molti circuiti locali di economia solidale possono consolidarsi in circuiti regionali e nazionali, sino a configurare un circuito internazionale.
Queste indicazioni hanno valore imprescindibile per la gestazione di un’economia umanizzata. Mance chiarisce che la questione essenziale per l’efficacia del progetto dell’economia liberante è la partecipazione delle persone, delle comunità, delle reti e dei movimenti al processo di trasformazione dei flussi di conoscenza, di potere, di beni e di segni di valore. Ne deriva un’indicazione cruciale per noi: ogni soggettività che stia coltivando l’altra economia non deve somigliare a una setta, ma deve maturare una fisionomia comunitaria aperta, un’incidenza politica e un radicamento popolare, secondo un progetto comprensibile e condiviso dalla gente comune. Perciò ovunque nel mondo occorre che sia attivato l’intero arco delle diverse forme della soggettività collettiva: la piccola comunità o associazione, le reti, i movimenti, le comunità civili territorio per territorio, ma anche il sindacato e il partito, a condizione che si rinnovino radicalmente. Assolutizzare uno di questi soggetti, trascurandone altri, significa condannarsi alla sterilità
—
Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata. Nel 2016 ha pubblicato “La rivolta delle risorse umane. Appunti di viaggio verso un’altra società” (Pazzini editore)
© riproduzione riservata