Opinioni
È tempo di cambiare la Cassa
Dopo che l’esecutivo di Matteo Renzi ha rimosso i vertici di Cassa depositi e prestiti, tra cui il presidente Franco Bassanini, ecco 6 suggerimenti per "trasformare" il ruolo della più importante istituzione finanziaria del Paese, azionista -tra gli altri- di ENI, Terna e SNAM.
CDP è stata privatizzata nel novembre del 2003, e da allora si è trasformata in una sorta di fondo sovrano, i cui investimenti e impieghi -anche in settori dall’alto impatto sociale ed ambientale- "poggiano" sulle spalle dei risparmiatori postali
La scelta del governo di rimuovere i vertici di Cassa depositi e prestiti con un anno di anticipo rispetto alla naturale scadenza del consiglio d’amministrazione dimostra che l’esecutivo ha (e intende esercitare) un potere di indirizzo e di controllo sulla più importante istituzione finanziaria del nostro Paese.
Cassa depositi e prestiti a fine 2014 aveva raccolto ben 252 miliardi di euro, ed è almeno dal 2010 protagonista assoluta dell’economia italiana: la parziale privatizzazione di fine 2003 (oggi le fondazioni di origina bancaria detengono circa il 18 per cento della Cassa) e numerose (e continue) modifiche statutarie l’hanno trasformata in una sorta di fondo sovrano nazionale, allargando in modo significativo gli ambiti d’intervento, che prima si limitavano ai prestiti agli enti locali che necessitavano di risorse per realizzare opere pubbliche.
La decisione dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi, maturata nelle ultime settimane, ha portato Franco Bassanini (storico presidente di CDP) a farsi da parte, dimostrando -se fosse necessario- a quale porta dovrebbe bussare chiunque oggi auspichi modifiche nelle strategie di Cassa depositi e prestiti e della pletora di partecipate e controllate, dal Fondo Strategico Italiano a F2i, passando per Cdp Investimenti sgr.
E mentre i grandi quotidiani evidenziano i dossier che potrebbero interessare la nuova Cassa, da Telecom alle "garanzie" da prestare sulle sofferenze delle banche, Altreconomia ha provato ad immaginare quali dovrebbero essere le prossime misure del governo, se davvero Renzi volesse "cambiare verso" a Cassa depositi e prestiti.
1) Andrebbe ridefinita la gestione delle partecipazioni "strategiche" che lo Stato ha affidato a CDP, e in particolare ENI (25,76%), Terna (29,85%), SNAM (30,10%) e SACE (100%).
I primi tre sono nomi che conoscono tutti, e cioè quelli del principale player del settore energetico del nostro Paese, e le due società che controllano la rete elettrica e la rete di distribuzione del gas. SACE è invece una società il cui compito è assicurare gli investimenti delle aziende italiane all’estero.
Contro la parziale privatizzazione della quota pubblica di controllo di queste aziende, realizzata "di fatto" affidando a CDP un pacchetto di azioni del ministero del Tesoro, è necessario riportare il controllo di aziende che gestiscono infrastrutture strategiche per il Paese nella piena disponibilità del ministro del Tesoro, per evitare il ripetersi di episodi come quelli del 2014, quando senza alcun coinvolgimento pubblico o dibattito politico s’è consumata la vendita del 35% di azioni di CDP Reti (veicolo di controllo delle partecipazioni in Terna e SNAM) all’impresa cinese State Grid Corporation of China. Terna e SNAM detengono in regime di monopolio l’infrastruttura necessaria a distribuire l’energia elettrica e il gas.
2) Applicando ai prestiti di Cassa depositi e prestiti le stesse regole che valgono per gli investimenti del Fondo strategico italiano (FSI), che non può intervenire nel caso di imprese che abbiano chiuso in rosso i propri bilanci, CDP non dovrebbe più finanziare "progetti decotti". In futuro, cioè, CDP non dovrebbe più essere la stampella in grado di salvare i promotori di interventi in project financing che non hanno incontrato il favore del mercato bancario privato, com’è stato il caso -nel corso del 2013 e 2014- delle autostrade Brescia-Bergamo-Milano (BREBEMI) e Tangenziale Est esterna di Milano (TEEM) e del Passante di Mestre.
3) Dovrebbe essere chiuso il Fondo investimenti per l’abitare (FIA) di CDP, preso atto che il perdurare di una situazione di crisi ha reso difficile avviare le previste iniziative di housing sociale privato. A cinque anni dall’istituzione del fondo, mentre il Paese fatica a garantire il diritto umano all’abitare, così definito anche dalle Nazioni Unite, appare quanto meno inopportuno che circa il 40% delle risorse del Fondo restino non impiegate. Per questo, e perché il diritto umano all’abitare mal si sposa con l’esigenza di garantire (attraverso i progetti di housing social) un rendimento di "circa il 3% oltre inflazione, generato da un flusso cedolare riveniente dalla locazione degli immobili e dalla rivalutazione a scadenza in corrispondenza della loro cessione" (http://www.cdpisgr.it/social-housing/FIA/caratteristiche-fondo/index.html), il governo imporrà a Cassa depositi e prestiti l’utilizzo delle risorse generate dal risparmio postale per lavorare alla riqualificazione degli alloggi di proprietà delle aziende che si occupano di edilizia residenziale pubblica.
4) Dovrebbe essere allargata ai correntisti postali ed ai titolari di buoni fruttiferi postali la partecipazione ai comitati d’indirizzo della Cassa depositi e prestiti e delle sua controllate; la selezione dei delegati sarà pubblica, con il vaglio dei cv di coloro che sono interessati a partecipare, secondo un modello ormai adottato per molti concorsi pubblici. L’avviso verrà pubblicato a cura del governo e di Cassa depositi e prestiti sui principali quotidiani italiani e diffuso tramite messaggi pubblicitari sulle reti televisive e radiofoniche della RAI.
5) Come suggerito dal libro "La posta in gioco" (Altreconomia edizioni), il governo dovrebbe istituire libretti di risparmio di scopo e libretti di risparmio locale. Chi sottoscriverà i primi, a fronte di un rendimento atteso, finanzierà la realizzazione di una determinata "opera pubblica" ritenuta da uno dei comitati d’indirizzo meritoria di finanziamento pubblico (ad esempio, la riqualificazione del centro storico della città de L’Aquila) che potrebbe attrarre l’attenzione di un pubblico vasto. Chi sottoscriverà i secondi, potrà sostenere la realizzazione di interventi da parte di un singolo Comune (o di un gruppo o Unione di Comuni), generalmente quello di residenza.
6) Infine, in attesa di provvedere alla realizzazione di quanto scritto al punto 1, il governo dovrebbe obbligare Cassa depositi e prestiti a re-investire gli utili -che in parte derivano dalle società partecipate, molte delle quali operano in regime di monopolio- concedendo prestiti a tasso agevolato agli enti locali. Nei primi dieci anni dopo la privatizzazione della Cassa, infatti, Cdp avrebbe "riconosciuto" alle Fondazioni bancarie quasi due miliardi di euro sotto forma di dividendi.
Con queste sei mosse il governo potrebbe scegliere di dare una nuova impronta alla Cassa, e dirimere lo "scontro" in corso tra chi vuole una CDP con "mano libera", una sorta di nuova IRI libera di intervenire nell’economia quando e come vuole, anche nel salvataggio di imprese in crisi o fortemente indebitate (come Ilva o Telecom), e chi è assolutamente contrario a questa ipotesi, e vorrebbe poter utilizzare le risorse del risparmio postale dei cittadini secondo una logica di massimizzazione del profitto senza alcuna attenzione a temi come l’equità sociale e l’impatto ambientale.