Ambiente
Dubbi sulle “pietre verdi”
Iter autorizzativo per due cave nel parmense. Ma l’estrazione potrebbe essere a rischio amianto
La strada che sale lungo la Val di Ceno ha riflessi color smeraldo. Qui, sull’Appennino parmense, le buche sono riempite di “pietra verde”, estratta dalle cave “ofiolitiche” di cui queste montagne sono ricche. Rocce molto friabili, e per questo facili da usare. Rocce, però, che contengono amianto, il quale quand’è ridotto in fibre e disperso nell’aria può provocare mesoteliomi. E l’attività estrattiva, è scritto nero su bianco in uno studio condotto dall’Arpa regionale per conto della Regione Emilia-Romagna, produce ingenti quantità di polveri.
La Regione Emilia-Romagna ha avviato già nel ‘96 un censimento di tutti i siti estrattivi a rischio amianto. “Il progetto regionale ‘pietre verdi’” ha quindi censito, nel 2004, 10 cave di ofioliti nella sola provincia di Parma, di cui otto attive. Sembra un controsenso, sapendo che l’Italia, nel ‘92, ha bandito l’amianto, approvando una legge intitolata “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, che all’articolo 1 (“Finalità”) fa riferimento esplicito anche all’estrazione del materiale. Nel documento sulle “pietre verdi” redatto dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale (www.arpa.emr.it/pubblicazioni/amianto/generale_1281.asp), inoltre, si segnala che “l’Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto l’impossibilità di individuare un valore soglia di concentrazione di fibre di amianto nell’aria al di sotto del quale non ci sia rischio”.
Due delle otto cave che erano attive nel 2004 sono nel Comune di Bardi (Pr), Groppo di Gora e Pietranera. Siti mappati nel Progetto “Mappatura delle zone del territorio regionale interessate dalla presenza di amianto”, il cui obiettivo è “la bonifica per rimozione completa del materiale contenente amianto”.
Eppure Provincia di Parma e Comune di Bardi sembrano andare in direzione opposta: è in corso, infatti, l’iter per autorizzare i titolari delle concessioni a riprendere l’attività estrattiva nei due siti, ferma dal 2008. Ecco perché a Bardi è nato il comitato “Cave all’amianto? No grazie!” (www.caveallamiantonograzie.info). Uno degli animatori è Fabio Paterniti, che nel giardino del suo rustico mi indica una breccia nelle montagna. È quel che resta del Groppo di Gora. “A nostro avviso la legge 257 del ‘92 è chiara -spiega-: dice che quando un materiale che contiene amianto può essere sostituito, ciò deve essere fatto. E le ‘pietre verdi’ possono essere sostituite da qualsiasi inerte. Dovrebbe vigere il principio di precauzione. Nel 2008, nonostante ‘Il progetto regionale pietre verdi’, la Provincia ha confermato i due siti nel Comune di Bardi all’interno del Piano delle attività estrattive -racconta Paterniti-. A quel punto, l’autorizzazione a cavare spetta al Comune, che potrebbe anche negarla. Alcuni consiglieri comunali di Bardi, però, hanno cominciato a dire che l’ente aveva l’obbligo di rinnovare la concessione, che la delibera provinciale creava un ‘diritto’ a favore degli imprenditori”. Solo le “osservazioni” inviate dal comitato al Comune frenano ancora le ruspe, i frantoi e i camion: “Nel novembre 2010 l’atto è stato adottato in prima istanza. Ma per l’adozione definitiva delle delibera il consiglio comunale deve esaminare e discutere le osservazioni del nostro comitato” spiega Paterniti.
È passato un anno, e tutto tace. Il comitato chiede, ovviamente, la cancellazione dei poli estrattivi ofiolitici di Pietranera e Groppo di Gora.
E a partire da queste montagne invita a lasciare intatte le pietre verdi in tutta Italia.
Per questo, ha tessuto relazioni importanti. Ad esempio, quella con l’Isde, l’associazione dei medici per l’ambiente (www.isde.it), che pure ha presentato “osservazioni” al Piano attività estrattive adottato dal Comune spiegando -dati alla mano- che a Parma le donne muoiono di tumore più che nel resto dell’Emilia-Romagna (il 75% in più dei casi attesi), e in percentuale tale da ritenersi “indice di esposizione ambientale”, come spiega il dottor Manrico Guerra, referente Isde a Parma. L’associazione nel 2009 ha indirizzato una lettera ai ministri della Salute e dell’Ambiente, chiedendo una moratoria delle concessioni di tutte le cave ofiolitiche in Italia. Rimasta inascoltata.