Opinioni
Debito, una vittoria di Pirro
Un’enfasi istituzionale senza precedenti ha circondato l’annuncio del nuovo accordo dei ministri delle Finanze dei paesi del G8 lo scorso 11 giugno, al termine del loro incontro a Londra. “Momento storico”, “ pietra miliare”, addirittura “portata epocale” della decisione, questi i commenti più ricorrenti.
Forse per i ministri delle Finanze del G8 e più in generale i banchieri di mezzo mondo, che hanno sempre concepito il problema del debito solamente come una questione relativa al suo ripagamento e all’impatto dell’insolvenza dei paesi del Sud del mondo sui mercati finanziari del Nord, accettare che l’intero stock del debito dovuto da qualche Paese alle istituzioni finanziarie internazionali per eccellenza, la Banca mondiale ed il Fondo monetario internazionale, considerati “creditori privilegiati” e primi inter pares nella comunità finanziaria, possa essere finalmente cancellato sotto opportune condizioni, è senza dubbio una decisione traumatica e contraria ai dogmi della finanza.
di Antonio Tricarico, Campagna per la riforma della Banca Mondiale
Ma per chi da dieci anni denunciava la limitatezza dell’iniziativa Heavily Indebted Poor Countries, HIPC, guidata da Banca mondiale e FMI, per la cancellazione – parziale – del debito dei 42 Paesi più poveri – di fatto solamente 18 dopo dieci anni di valutazioni – la decisione di Londra dello scorso sabato era un qualcosa di scontato ed inevitabile, quanto meno per permettere di iniziare a parlare di cancellazione del debito in maniera un po’ diversa dal passato.
E’ fondamentale ricordare che l’iniziativa HIPC ha cancellato di fatto meno della metà del debito – in stock e servizio sul debito – dovuto dai paesi più indebitati alle istituzioni multilaterali, quando da diversi anni alcuni creditori bilaterali, tra cui l’Italia, accettano ed implementano il principio di una cancellazione totale per alcuni paesi HIPC.
Importante aggiungere che a detta anche dei mercati finanziari stiamo parlando di debiti in gran parte inesigibili. Si pensi, ad esempio, che gli interessi sul debito dei paesi HIPC non venivano pagati per più della metà già prima dell’inizio di questa iniziativa di cancellazione. Una tendenza in aumento nel caso dei paesi più poveri che vivono shock economici esterni, dovuti alla loro incapacità di vivere in un unico mercato globale che li mette al pari con altri paesi e con multinazionali di gran lunga superiori nelle loro capacità economiche.
La società civile ha comunque la capacità di guardare avanti, a differenza delle istituzioni finanziarie che vivono sul breve termine dettato dai mercati finanziari. E’ necessario leggere in dettaglio il testo dell’accordo del G8 – cosa che si propone di fare questa nota – per scoprire purtroppo che questo in realtà presenta aspetti negativi che probabilmente supereranno quelli derivanti dal principio di cancellazione totale accettato finalmente dai paesi più ricchi al mondo.
Questo sorprende parecchio se si considera che durante le settimane precedenti il vertice il negoziato è stato caratterizzato da un braccio di ferro tra due scuole di pensiero sulle due sponde dell’Atlantico, e che il cancelliere dello scacchiere inglese Gordon Brown puntava a spuntarla sulle principali resistente politiche dell’amministrazione Bush. Al centro della questione tre punti: il numero dei paesi beneficiari dell’iniziativa di cancellazione; se cancellare solo il servizio sul debito da pagare nei prossimi dieci anni o se tutto lo stock del debito; se cancellare o meno anche il debito del Fondo monetario internazionale e soprattutto come effettuare il pagamento della cancellazione da parte dei paesi creditori che controllano le istituzioni internazionali – principalmente i paesi del G8.
Alla fine il compromesso anglo-americano ottenuto qualche giorno prima del vertice, e poi “imposto” durante questo ad europei e giapponesi contro la loro volontà, è senza dubbio stato al ribasso, e complessivamente si può dire che, a differenza del giubilo del governo inglese, ha visto ancora una volta l’amministrazione Bush vincere la partita. Una prima lezione si può trarre subito da quanto accaduto: chi, come gli Stati Uniti, ha una visione ideologica, nonché pragmatica, su come gestire le istituzioni finanziarie internazionali a proprio vantaggio alla fine la spunta sempre, ed oggi si può dire che dietro tanta retorica una visione diversa, coerente ed innovativa manca senza dubbio in Europa continentale, come nel tanto orgoglioso e “sviluppista” Regno Unito.
[pagebreak]Una lista di Paesi troppo corta
Alla fine solamente i 18 paesi[1] che hanno completato il processo previsto dalla iniziativa HIPC – che richiede l’applicazione di ricette economiche strutturali, inclusa la privatizzazione degli enti pubblici, il taglio alle spese sociali, la liberalizzazione del commercio e del mercato dei capitali – beneficieranno subito della cancellazione del 100% del proprio stock di debito (proposta americana) e non solo del servizio sul debito per dieci anni (proposta inglese). La spuntano gli americani, mentre la richiesta di Gordon Brown di arrivare da subito a 23 paesi cade nel vuoto. In ogni caso va ricordato che i paesi poveri oppressi da un debito complessivo di 600 miliardi di dollari sono almeno 66, e se si considerano quelli che in ogni caso riescono a trovare diversi finanziamenti internazionali, ma non per questo sono ricchi e non indebitati, si arriva a ben 80.
Va ricordato che altri nove paesi[2] potrebbero completare il percorso della HIPC nei prossimi due anni, mentre i rimanenti 11[3] classificati come eleggibili dell’HIPC difficilmente ci riusciranno. Si pensi che paesi come il Kenya sin dall’inizio hanno preferito non essere classificati come HIPC, anche se potevano esserlo, per paura di mandare nel lungo periodo un segnale negativo ai mercati finanziari, perdendo l’opportunittà di ricevere nuovi prestiti.
Il comunicato finale del vertice di Londra menziona anche la possibilità in futuro di considerare la cancellazione del debito di paesi che oggi non sono parte del processo HIPC, ma potrebbero cadere in questa categoria sulla base delle analisi della Banca mondiale e del FMI. Di fatto, questa opzione sembra alquanto difficile, poiché i paesi, una volta accettati come HIPC, dovrebbero sottostare ad un processo lungo fino anche a sei anni ed attuare tutte le condizioni capestro richieste da Banca mondiale e FMI.
Per non parlare poi della Nigeria, da sempre esclusa per motivi politici dall’iniziativa HIPC, ed a cui un G8 imbarazzato ha dedicato un paragrafo nella sua dichiarazione finale, demandando al Club di Parigi la scelta di cancellare parzialmente il suo debito, sempre però che il paese implementi a pieno le pesanti riforme economiche richieste dal FMI.
Il dato conclusivo della scelta del G8 finanziario è che i paesi non-HIPC, che non hanno beneficiato fino ad oggi di particolari cancellazioni, continueranno di fatto ad essere esclusi.
La cancellazione del debito rimane soggetta alle condizioni del Washington Consensus
La scelta di andare fino al 100 per cento della cancellazione dello stock sul debito, ben oltre l’obiettivo originario dell’iniziativa HIPC, poiché applicata solo a paesi che hanno completato il processo HIPC, di fatto rafforza le condizioni richieste all’interno di questo ai paesi in via di sviluppo per ottenere una cancellazione del proprio debito, senza rimetterle affatto in discussione.
E’ davvero singolare che il G8 non si interpelli sul fatto che in molti casi il debito e la povertà degli stessi paesi HIPC siano aumentati anche a causa di condizioni economiche fallimentari loro imposte, ponendoli in balia dei mercati globali senza alcuna ancora di salvataggio. Questa posizione è davvero contraria a quanto richiesto in altre sedi internazionali dal governo inglese, il quale in un suo documento dello scorso marzo chiedeva alla comunità internazionale esplicitamente che per accedere all’aiuto allo sviluppo siano imposte meno condizioni economiche ai paesi poveri. Un altro boccone amaro da ingoiare per Gordon Brown.
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Il debito di quali istituzioni?
L’accordo del G8 riguarda solamente tre istituzioni multilaterali, la International Development Association (IDA) della Banca mondiale, la Banca africana di sviluppo ed il Fondo monetario internazionale (FMI), ma esclude la Banca inter-americana di sviluppo e numerose altre banche regionali, che nel caso di alcuni paesi poveri ed altamente indebitati giocano un ruolo chiave. Di fatto in alcuni casi le risorse potenzialmente liberate dalla cancellazione potranno finire a ripagare il debito per altre istituzioni multilaterali. Si può comunque dire che è una cancellazione che non riguarda affatto il 100% dei creditori multilaterali!
Emblematico al riguardo il caso della Guyana in America Latina, se si pensa che la Banca caraibica di sviluppo e la Banca inter-americana di sviluppo, che controllano gran parte del debito di questo paese, in passato non si sono di fatto neanche allineati alla iniziativa HIPC. Di sicuro adesso avranno ancora meno incentivi a farlo, visto che la nuova cancellazione non li riguarda affatto.
Cifre davvero esagerate rispetto alla realtà dei fatti
Si è parlato di 40 miliardi di dollari da cancellare subito. La pacatezza di alcuni ministri delle finanze ha almeno portato loro a pubblicizzare una cifra più reale, pari a circa 17 miliardi di dollari in valore attuale dei debiti da cancellare – che valevano 40 miliardi nominalmente quando concessi – progressivamente nell’arco di ben 40 anni! A titolo di paragone, si ricordi che i paesi ricchi quando hanno voluto, per ben altri interessi, hanno deciso in un solo giorno di cancellare senza problemi 30 miliardi di dollari del debito iracheno.
Questa cancellazione permetterà un risparmio ai paesi interessati di poco più di un miliardo di dollaro all’anno. Ossia risorse fresche potenziali liberate da destinare a spese sociali e sviluppo. Davvero poco a fronte degli almeno 25 miliardi di dollari in più ogni anno necessari per lo sviluppo dell’Africa, come richiesto dalla Commission for Africa presieduta da Tony Blair . Anche su questo punto, quindi, gli inglesi perdono, per quanto va detto che la proposta originaria di Gordon Brown risultava sin dall’inizio anch’essa ampiamente inefficace.
Se si considerano i 62 paesi che richiedono una cancellazione al 100 per cento per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite entro il 2015, questi pagano complessivamente ben 10 miliardi di dollari in servizio sul debito ogni anno alle istituzioni multilaterali!
Il finanziamento “creativo” della cancellazione
Ma soprattutto è il come finanziarie questa cancellazione del debito che getta profonde perplessità sulla serietà dell’iniziativa del G8, aprendo scenari alquanto preoccupanti rispetto a quello che comporterà la cancellazione.
A tal fine è necessario leggere testualmente quanto dice il comunicato finale dell’incontro di Londra riguardo alla procedura concreta con cui avverrà la cancellazione del debito.
1. “Nel caso dell’IDA e della Banca africana di sviluppo, la cancellazione del 100 per cento dello stock sarà consegnata alleggerendo degli obblighi di pagamento i ‘paesi HIPC dopo il punto di completamento’ che risultano in linea con i loro programmi ed aggiustando i flussi complessivi di aiuto dell’ammontare condonato”. Ossia, i paesi dovranno sempre attuare le solite condizioni economiche, alquanto discutibili, e vedranno come prima cosa una diminuzione dei fondi dell’aiuto a loro disposizione.
2. “I donatori forniranno contributi addizionali all’IDA ed alla Banca africana di sviluppo, secondo quote accordate, per coprire dollaro per dollaro la quota di capitale originaria prestata ed il ripagamento degli interessi del debito cancellato. Fondi addizionali saranno resi disponibili immediatamente per coprire i costi totali durante il periodo di ricostituzione di capitale IDA 14 e AfDF 10. Per il seguente periodo, i donatori si impegneranno a coprire i costi totali per la durata dei prestiti cancellati, stanziando contributi addizionali alle regolari ricostituzioni di capitale dell’IDA e della Banca africana di sviluppo”. Ciò significa che risorse addizionali non sono stanziate direttamente ai paesi beneficiari della cancellazione, ma alle istituzioni che hanno stornato il debito dovuto da questi paesi dai flussi di aiuto allo sviluppo previsti per loro.
Va notato che i rifinanziamenti triennali delle due banche da parte dei paesi donatori richiedono approvazioni parlamentari in questi paesi che vedono allungare i tempi degli stanziamenti delle risorse in maniera signficativa. Si pensi che l’Italia nell’ultimo caso dell’IDA è stata in ritardo di 3 anni! Quindi c’è dell’ironia nell’uso dell’avverbio “immediatamente”.
Inoltre, va sottolineato che alcuni paesi, come gli Stati Uniti ed il Giappone, non hanno contributo aumentando la loro quota per il rifinanziamento di IDA-14, ed è probabile che al prossimo rifinanziamento (IDA 15) alcuni paesi ridurranno addirittura la loro quota, considerando in anticipo che dovranno dare una parte in più per la cancellazione del debito, di fatto non producendo quell’addizionalità rispetto all’aiuto allo sviluppo tanto decantata. Anche in questo caso Gordon Brown ha fallito, e complessivamente sembra essere prevalsa di più la linea degli americani che chiedevano l’utilizzo di buona parte delle risorse già a disposizione delle istituzioni finanziarie internazionali, poiché allergici a dare nuovi finanziamenti al sistema multilaterale.
Persino nuove condizioni “politiche” per ricevere la cancellazione del debito
“I contributi addizionali dei paesi donatori saranno allocati ai paesi riceventi degli aiuti dell’IDA e della Banca africana di sviluppo sulla base dei sistemi di allocazione esistenti presso l’IDA e la Banca africana di sviluppo fondati sulla performance”.
Questo passaggio del comunicato del G8 è quanto mai preoccupante per due motivi:
1. I soldi pari al valore del debito cancellato scalato dagli aiuti da destinare ai 18 paesi HIPC saranno riallocati tra tutti i paesi potenziali beneficiari degli aiuti dell’IDA e della Banca africana di sviluppo – ben 66. Di fatto, se l’Uganda, che fa parte dei 18 “paesi HIPC post-completion”, ad esempio dovesse pagare nel 2006 50 milioni di servizio sul debito, questo pagamento verrebbe fermato ma i contributi IDA per l’Uganda verrebbero diminuiti di 50 milioni, i quali sarebbero versati nella casse di tutta l’IDA da cui l’Uganda riceverebbe la sua quota normale di finanziamento, sempre che sia valutata positivamentre secondo complessi indicatori della sua performance, ottenendo realisticamente alla fine ad esempio soltanto il 10 per cento di quei 50 milioni. In questo modo, le risorse liberate a disposizione per le spese sociali sarebbero molto limitate e di fatto è come se il 90 per cento del debito – ormai inesigibile – fosse stato lo stesso ripagato rispetto al flusso di aiuti previsto!
In questo caso il principio dell’addizionalità è scientificamente violato, e l’accordo sembra chiaramente protendere in favore dell’originaria proposta americana. L’unica nota positiva di questo perverso meccanismo è che qualche paese non-HIPC potrebbe avere qualche finanziamento in più, se però dimostra di avere una buona performance per i donatori.
2. A questo riguardo va detto che gli indicatori di performance, noti come Country Policy and Institutional Assessment (CPIA), di fatto oggi rappresentano l’approccio della Banca mondiale più contestato dalla società civile internazionale. La Banca mondiale valuta la bontà di un paese rispetto alla sua capacità di attuare correttemente tutte le solite riforme economiche che richiede – un palese conflitto di interessi tra ruolo di valutatore e ruolo di finanziatore! Inoltre la Banca considera anche aspetti legati al “buon governo”, alla lotta alla corruzione, alla bontà del sistema giudiziario, e così via. Aspetti che in linea di principio sono componenti importanti dello sviluppo di un paese, che però di fatto sono valutati in gran segreto dallo staff della Banca mondiale e del FMI senza che li approvino nemmeno i consigli dei direttori delle due istituzioni. In un clima di elevata politicizzazione dell’aiuto allo sviluppo, a fronte dell’inizio dell’era Wolfowitz alla presidenza della Banca mondiale – ovvero del fautore dell’export della democrazia nel mondo, in maniera però soggettiva e funzionale agli interessi geopolitici statunitensi – senza dubbio tali valutazioni della Banca risultanto preoccupanti poiché potrebbero escludere per motivi politici alcuni paesi dal beneficiare degli aiuti allo sviluppo o della cancellazione del debito da parte della Banca, ed a cascata da parte degli altri donatori.
Va aggiunto che una tale scelta del G8 va a sostenere ancora di più il nuovo approccio alla valutazione della sostenibilità del debito di tutti i paesi in via di sviluppo da parte della Banca mondiale e del FMI, che adotta come parametro centrale proprio i nuovi indicatori CPIA.
Infine, va notato che il G8 va oltre, aggiungendo altri elementi che adombrano ulteriori nuove condizioni: “Chiediamo alla Banca mondiale ed al FMI di riferire a noi sul miglioramento della trasparenza da parte di tutti e sulla lotta contro la corruzione, così da assicurare che tutte le risorse siano usate per la riduzione della povertà. Crediamo che il buon governo, l’accountability e la trasparenza siano cruciali per liberare i benefici della cancellazione del debito”. Complessivamente anche su questo punto Gordon Brown ha ceduto alla linea dell’amministrazione americana, che ha utilizzato in maniera strumentale l’argomento della corruzione per ottenere di fatto la possibilità di aggiungere ulteriori condizioni su condizioni per accordare la cancellazione del debito. Dimenticando, per inciso, che oltre a chi riceve le tangenti nel Sud del mondo, ci sono anche le imprese del ricco Nord che le pagano senza problemi.
La storia degli ultimi anni ci porta a vedere la realtà sul campo oltre i principi enunciati a gran voce e ci mostra che il confine tra condizioni economiche e quelle di “buon governo” è alquanto labile ed ha consentito a Banca mondiale e FMI di imporre privatizzazioni con pesanti impatti sociali, con la scusa della necessità di migliorare la gestione e di portare trasparenza.
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Il caso particolare del debito controllato dal Fondo monetario internazionale
E’ senza dubbio importante che si parli anche di cancellazione del debito dovuto al FMI, dal momento che il servizio sul debito al Fondo da parte dei paesi HIPC nei prossimi cinque anni costituisce la metà di tutto il servizio sul debito dovuto da questi alle istituzioni multilaterali.
Se si legge, però, la parte del comunicato del G8 finanziario inerente al come finanziare la cancellazione del debito dovuto al FMI, la vaghezza regna sovrana.
“I costi della copertura totale della cancellazione dello stock del debito del FMI saranno affrontati tramite l’uso delle risorse esistenti del FMI, senza minare la capacità finanziaria del Fondo. In situazioni dove altri obblighi esistenti o previsti di cancellazione del debito non possono essere coperti con l’uso delle risorse esistenti del FMI (ad esempio, la Somalia, la Liberia ed il Sudan), i donatori si impegnano a fornire le risorse aggiuntive necessarie. Invitiamo contributi volontari, incluso dai paesi produttori di petrolio, per un nuovo fondo fiduciario per sostenere i paesi poveri nell’affrontare le oscillazioni dei prezzi delle materie prime ed altri shock esogeni.”
Un discreto artificio di finanza creativa, si potrebbe commentare!
Va ricordato, intanto, che Gordon Brown ha dovuto accettare l’opposizione americana alla vendita di parte delle riserve auree del FMI, con la quale si possono recuperare subito fino a 45 miliardi di dollari con cui pagare la cancellazione del debito dovuto al FMI, e non solo, da parte di numerosi paesi poveri. Il Tesoro americano voleva in ogni caso almeno l’utilizzo delle risorse finananziarie esistenti del FMI ed ha ottenuto che si sblocchino i profitti della prima parziale rivalutazione delle riserve auree del Fondo effettuata nel 1999.
Ciononostante, visto che questi soldi potrebbero non bastare, tutti i paesi donatori – e non solo quelli del G8 – si dovrebbero eventualmente impegnare a fornire risorse addizionali. Un impegno che ricorda quello parzialmente disatteso del finanziamento della iniziativa HIPC da parte del G8 negli ultimi anni.
In ogni caso il G8 sa bene che gli effetti della liberalizzazione dei mercati globali continueranno a far soccombere i paesi più poveri ed indebitati e quindi alcune misure addizionali andranno finanziate per procedere ad ulteriori cancellazioni del debito – di fatto l’ennesima ammissione che l’HIPC non ha risolto il problema strutturale del debito, e che molto probabilmente anche la nuova cancellazione non lo farà.. E per questo valido fine il ricco G8 si affida a contributi volontari, in particolare da quei paesi produttori di petrolio che in ogni caso il loro debito – talvolta odioso ed illegittimo – lo ripagano regolarmente grazie alle entrate della vendita dell’oro nero!
Con questa affermazione surreale si mette in discussione la volontà del G8 di cancellare davvero il debito del FMI, a fronte di una prevedibile mancanza di risorse per far fronte alle prossime emergenze di domani.
Conclusioni
Se si fanno due conti, siamo in presenza di una cancellazione al “G” 8 per cento, più che della tanto sospirata e falsamente sbandierata cancellazione al 100 per cento.
La decisione del G8 finanziario dovrà essere ratificata, come probabile, dal prossimo vertice dei capi di stato e di governo del G8 che si terrà a Gleneagles, in Scozia, dal 6 all’8 luglio. Ma più importante tale decisione dovrà essere approvata dai consigli dei governatori della Banca mondiale e del FMI agli incontri annuali di fine settembre a Washington, e poi dai paesi donatori dell’IDA che dovranno impegnarsi e versare eventuali risorse aggiuntive.
Quindi la battaglia è tutt’altro che finita, a differenza di quello che i governi del G8 e molti media ci vogliono far credere. E’ necessario denunciare chiaramente che una tale proposta non solo è insufficiente, ma porta con sé conseguenze pericolose per lo sviluppo futuro di molti paesi poveri. Oggi come non mai è necessario che la società civile internazionale si riappropri di una vera nozione di cancellazione totale del debito dei paesi poveri sulla base di un principio politico di giustizia, e non di elemosina opportunistica da parte del G8. Le mobilitazioni delle prossime settimane in vista del vertice del G8 in Scozia a luglio offrono un’importante occasione per ristabilire la verità sulla cancellazione del debito e chiedere chiaramente che il G8 si assuma le sue responsabilità storiche e cancelli il debito al 100 per cento.
E’ giunto il momento di parlare della complessità del mostruoso debito finanziario che il Sud del mondo ha verso il ricco Nord, incluso quello dei paesi a medio reddito. Inoltre, non si può pensare che la cancellazione del debito non riguardi i creditori privati, che oggi controllano globalmente ben il 60 per cento dei 2.500 miliardi di dollari complessivi del debito finanziario del Sud del mondo.
Ma soprattutto è necessario porsi la domanda sul perché devono essere sempre e soltanto i creditori a decidere quali soluzioni trovare alla cancellazione del debito, senza interpellare i paesi debitori direttamente interessati. Servono meccanismi internazionali che valutino la legitimità del debito, in particolare per quel che concerne il debito “odioso” creato ai tempi di diittature militari sostenute dall’occidente per interessi politici e commerciali, e quindi procedino ad una cancellazione condivisa tra debitori e creditori. Oggi il pronunicamento del G8 non affronta affatto questo squlibrio di potere reale a livello globale. Qualsiasi soluzione alla crisi del debito che voglia essere durevole, richiede che tutte le parti interessate posso sedersi intorno al tavolo con pari diritti. Ma forse questo non è e non deve essere il compito del G8.
[1] In Africa: Benin, Burkina Faso, Etiopia, Ghana, Madagascar, Mali, Mauritania, Mozambico, Niger, Ruanda, Senegal, Tanzania, Uganda, Zambia; in America Latina, Bolivia, Guyana, Honduras, Nicaragua.
[2] Tutti in Africa: Camerun, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Gambia, Guinea Conakry, Guinea-Bissau, Malawi, Sao Tome e Principe, Sierra Leone.
[3] In Africa: Burundi, Repubblic Centroafricana, Comore, Repubblica del Congo, Costa d’Avorio, Liberia, Somalia, Sudan e Togo; in Asia: Laos, Myanmar.