Ambiente / Attualità
Corsa a ostacoli per l’auto elettrica, ma la rivoluzione è in arrivo
Entro i prossimi 25 anni, la diffusione delle automobili “ricaricabili” potrebbe rendere superflui 13 milioni di barili di petrolio al giorno. Fotografia di un mercato in espansione, dove l’Italia gioca ancora un ruolo marginale
Mercedes ha definito “Future Days” il fine settimana del 9 e 10 aprile, quando ha presentato al pubblico nuove soluzioni tecnologiche legate al controllo autonomo delle vetture. Ma la vera auto del futuro c’è già, e -a differenza di quanto immagina la casa automobilistica tedesca- fa a meno del motore a scoppio: potrete girarci intorno quanto vi pare, ma non troverete un tubo di scappamento; nel listino, invece, non c’è bisogno di nessun riferimento alle emissioni di gas climalteranti: il motivo è scritto a chiare lettere sulla fiancata, “zero emissioni”. Significa niente ossidi di azoto, né PM10 o PM2.5. Niente che vada a peggiorare la qualità dell’aria.
Nel 2015 in tutto il mondo sono state vendute 462mila auto elettriche, il 60 per cento in più rispetto all’anno precedente. Secondo le stime di Bloomberg New Energy Finance, invece, nel 2040 il 35% delle nuove auto immatricolate sarà alimentato grazie a uno spinotto: in termini assoluti, stiamo parlando di 41 milioni di veicoli. Nello stesso anno, le auto elettriche utilizzeranno l’11% dell’attuale domanda di energia elettrica, “rendendo superflui” 13 milioni di barili di petrolio al giorno. Se davvero -e sono gli scenari del World Energy Outlook 2015- nel 2040 le rinnovabili arriveranno a soddisfare il 33% della domanda elettrica mondiale, allora le auto elettriche potrebbero rappresentare anche un contributo alla mitigazione dei cambiamenti climatici.
Tra i Paesi dell’Unione europea, però, l’Italia è fanalino di coda per quanto riguarda la penetrazione delle auto elettriche, ferme allo 0,1% del mercato. Mentre nel mondo si registra il boom per gli ordini della Tesla Model 3 (sarebbero oltre 300mila in meno di due settimane i potenziali acquirenti del nuovo modello presentato dalla casa americana a fine marzo 2016), un’auto elettrica da 35.500 dollari di prezzo di listino e 345 chilometri di autonomia, i dati delle nuove immatricolazioni relativi al primo trimestre 2016 (diffusi dall’associazione di categoria, ANFIA, il 7 aprile) restituiscono per il nostro Paese un meno 31% per i veicoli elettrici. Che sono, in tutto, 404. Di questi, quasi la metà -184- sono Nissan Leaf, cioè l’auto elettrica più venduta al mondo, con 211mila esemplari distribuiti dal 2010. Quello dell’azienda giapponese, che è tra i leader mondiali del mercato dell’auto, e nel 2014 ha registrato un fatturato di oltre 100 miliardi di dollari, è un esempio indicativo del tipo di sviluppo di un auto elettrica. “Siamo arrivati alla terza generazione di Leaf: se il primo modello del 2010, commercializzato dal 2011, aveva un’autonomia di 175 chilometri, oggi, con il modello lanciato a fine 2015, la nuova batteria da 30 kWh arriva a 250 chilometri -spiega l’azienda, in un’intervista con Altreconomia-. E al recente Salone di Ginevra, a marzo 2016, abbiamo annunciato per il 2020 una versione da 550 chilometri, con una capacità di 60 kWh”. Nel 2015, secondo Bloomberg, il costo medio di una batteria al litio è di 350 dollari per kWh: il valore stimato per quella utilizzata sulla Leaf è così di 10.500 dollari. Nel 2010 la stessa batteria ne sarebbe costati 30mila, nel 2030 costerà meno di 4mila dollari. Questa riduzione dei costi, fino a 120 dollari per kWh, oltre a un aumento delle autonomie, permetterà di rendere più accessibili le auto elettriche: oggi quelle in commercio in Italia hanno prezzi che vanno dai 20-23mila per le utilitarie ai 40mila euro, per le auto adatte a una famiglia.
“Chi oggi sceglie di acquistare un auto elettrica, nel nostro Paese, lo fa con una forte motivazione personale -spiega ad Ae Piero Menga, presidente di CIVES, la Commissione italiana veicoli elettrici a batteria, ibridi e a celle a combustibile-: l’esigenza di modificare le proprie abitudini, legate alla ‘ricarica’, è percepita come penalizzante. Inoltre, i veicoli elettrici sono mediamente più costosi, e in Italia non esistono quasi meccanismi di incentivazione economica individuale”. L’ultimo intervento degno di nota, nel 2013, prevedeva un contributo a fondo perduto di “5mila euro per l’acquirente dell’auto elettrica, che solo per metà era a carico dello Stato e per l’altra metà al costruttore” continua Menga.
Secondo il presidente di CIVES (sezione italiana del network AVERE, nato alla fine degli anni Settanta in seno alla Commissione europea), chi sceglie un auto elettrica dovrebbe avere vantaggi in termini di circolazione, prevedendo -ad esempio- la sosta gratuita, l’utilizzo delle corsie preferenziali, l’accesso a zone a traffico limitato. “Oggi il codice della strada non prevede nemmeno che i parcheggi nei pressi dei ‘punti di ricarica’ pubblici su strada siano riservati ai veicoli elettrici, e l’eventuale veicolo che lo occupasse in modo abusivo non potrebbe essere sanzionato”.
Le infrastrutture di ricarica (costano tra gli 8 e i 50mila euro compresa l’installazione) sono l’elemento che connota l’impegno di Enel -la più grande azienda italiana nei settori della generazione e distribuzione di energia elettrica- sul fronte dello sviluppo della mobilità elettrica. “Nel 2016, l’autonomia di molti veicoli supera i 200 chilometri, e in Italia c’è qualche milione di vetture che quotidianamente non supera i 100-120 chilometri di percorrenza, cioè i ‘pendolari’ che vivono nelle città allargate -spiega Nicola Lanzetta, Senior vice-president e responsabile Mercato Italia Enel-: In virtù di queste analisi sul potenziale mercato, stiamo assistendo a due fenomeni: da un lato cresce l’attenzione di tutte le case automobilistica, se escludiamo un grande produttore ‘italiano’; dall’altro, il sistema europeo sta facendo riflessioni importanti sull’infrastruttura, sull’esigenza di avere a disposizione una stazione di ricarica. Le opzioni sono varie: quella domestica permette ad un costo irrisorio, la possibilità di ricaricare la vettura nel proprio garage; per quanto riguarda le strutture diffuse, già oggi in Italia ce ne sono 2mila solo a marchio Enel, di cui circa 700 ad uso pubblico. Alcune sono Fast-Recharge, e consentono una ricarica completa della batteria in circa venti minuti”. L’elenco è su www.eneldrive.it. L’azienda è inoltre partner del progetto europeo EVA+, acronimo di Electric Vehicle Arteries, che consiste nello studio e nella realizzazione di una rete di infrastrutture di ricarica veloce lungo i principali corridoi europei autostradali. In Italia, il budget del progetto è di circa 12 milioni di euro, e prevede l’installazione di 200 stazioni di ricarica veloce. “Nel tempo di un caffè, l’auto sarà pronta per ripartire” dice Lanzetta. Che dal proprio osservatorio evidenzia che cosa impedisca, oggi, il boom dell’auto elettrica anche in Italia: “I governi di altri Paesi facilitano l’acquisto di auto-elettriche, con contributi che in media vanno tra i 4 e i 10mila euro; nel nostro Paese non esiste alcune facilitazione, tranne l’esenzione del bollo. E l’acquisto di un auto elettrica non è nemmeno detraibile, come lo è invece la ristrutturazione di un edificio capace di ridurne i consumi energetici”. Tra i suggerimenti che l’azienda avrebbe avanzato al governo, c’è anche quello di un incentivo fiscale: ad esempio, si potrebbe prevedere una riduzione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) sul bene, che nel caso dell’auto elettrica è al 22%, e potrebbe scendere al 4%. Ciò potrebbe portare più aziende, ad esempio, a scegliere di seguire l’esempio di SIBEG, l’imbottigliatore siciliano di Coca-Cola, che ha siglato un accordo con Enel e investito 2,4 milioni di euro per acquistare 100 auto elettriche (modello Citroën C-zero) e creare la prima flotta aziendale a zero emissioni. Nell’ambito del progetto Green Mobility Project, inoltre, in collaborazione con Enel sono state installate 50 colonnine di ricarica in tutta la Sicilia. Nella primavera 2016, intanto, anche alcune Regioni -il Veneto e la Lombardia- hanno pubblicato bandi pubblici per un investimento complessivo di 6,3 milioni di euro nell’ambito del Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica. Le risorse -del ministero delle Infrastrutture- saranno assegnate entro maggio.
La rivoluzione della mobilità elettrica si compie affrancando la mobilità dalle oil company. Nissan, ad esempio, ha scelto di controllare tutta la filiera: l’auto, la batteria e l’infrastruttura. “Abbiamo sviluppato una partnership con NEC per le batterie -spiega l’azienda-; collaboriamo con le utility per lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di infrastrutture di ricarica rapida (12 sono arrivate a Milano in vista della finale di Champions League). E poi abbiamo pensato ad un sistema di connessione dei veicoli elettrici alla rete energetica”. È un progetto in partnership con Enel, che si chiama Vehicle-to-Grid (V2G) ed è già attivo in fase sperimentale in Danimarca. Parte da un assunto: “Per il 90% del tempo, le nostre auto sono ferme. Quindi, le batterie in caso di necessità potrebbero offrire energia alla rete, a un costo più basso di quello necessario all’eventuale avvio di una centrale” spiega Lanzetta di Enel. “L’auto diventa una batteria su ruote”, e nel caso di Nissan è previsto anche il recupero delle batterie una volta dismesse, che potrebbero essere utilizzate per lo storage domestico, lo stoccaggio dell’energia autoprodotta da fonti rinnovabili. Perché la rivoluzione dell’auto elettrica sia completa, infatti, questa dovrebbe portare a una “transizione verso la generazione diffusa”, come spiega Ugo Salvoni, ingegnere che lavora per FERA (Fabbriche energia rinnovabili alternative: in Sardegna, l’azienda ha messo a disposizione una colonnina che fornisce gratuitamente energia elettrica presso uno dei propri impianti). A casa sua lui ricarica grazie ai pannelli fotovoltaici montati sul tetto.
In dettaglio
I LIMITI DEL GAS NATURALE E DEL GPL
Nel 2015 in tutta Europa sono stati immatricolati 218.713 veicoli alimentati con gas naturale o Gpl, quasi 84 su cento dei quali nel nostro Paese. Guarda all’Italia, quindi, il nuovo report di Transport&Environment, “Natural gas in vehicles-on the road to nowhere”, che confuta la tesi secondo la quale il gas possa rappresentare un “combustibile ponte”, in grado di realizzazione l’obiettivo di de-carbonizzare il settore dei trasporti, perché “i benefici per quanto riguarda la riduzione di gas responsabili dei cambiamenti climatici o di contaminanti dell’aria sono molto bassi o addirittura inesistenti”, spiega ad Ae Cristina Mestre, Climate and biofuels officer a T&E. Secondo lo studio -affidato al centro di ricerca indipendente inglese Ricardo Energy & Environment- solo nel caso di utilitarie alimentate a benzina la sostituzione comporta una riduzione del 18% delle emissioni di CO2, mentre per tutte le altre tipologie di veicoli si registra un aumento, calcolato -continua Mestre- “valutando anche i costi associati alla produzione del combustibile, comprese le perdite di metano durante le fasi di estrazione e distribuzione, dato che queste hanno un potenziale di riscaldamento globale 30 volte maggiore rispetto al biossido di carbonio”. Nel report si valutano anche i costi legati alle infrastrutture d’approvvigionamento da fuori regione: per ridurre la dipendenza energetica, non ha senso investire per aumentarne la capacità.
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