Ambiente / Opinioni
I compiti delle prime vacanze plastic-free
Abbiamo due mesi per ripulire da cima e fondo le nostre spiagge dai rifiuti (per l’80% in plastica). Si può fare, dobbiamo farlo. Tutti insieme. La rubrica del professor Paolo Pileri
Buona società fa buon ambiente. Ma come? Da un lato abbiamo continuamente bisogno di argomenti. Abbiamo bisogno di capire le questioni ambientali perché così si forma la miglior energia per reagire e impostare (e chiedere) buone politiche. Ma non possiamo solo teorizzare, occorre anche occuparsi delle “cose”: occorre “fare”. Insomma bisogna mettere in mano ai pensieri gli arnesi per aggiustare le cose che non vanno e darsi da fare personalmente. C’è il tempo dei pensieri e il tempo delle azioni. Meglio se collettive, quelle che tutti possiamo fare. Meglio ancora se hanno forza contagiosa per cui il solo farle insegna qualcosa a chi “le” vede e “ci” vede. Il tempo lungo e poroso dell’estate può essere un buon tempo per “fare”. In questi mesi molti di noi saranno in spiaggia. Avranno tempo. Tanto tempo.
Facendo due passi sulla sabbia, capiterà di inciampare tra rifiuti. L’80% sono di plastica: bottiglie, tappi, vaschette, reti, sacchetti. Lo dice il rapporto Beach Litter (Legambiente, 2019): 10 rifiuti per ogni metro di spiaggia. Che fare? Siccome le spiagge basse e accessibili, quelle di sabbia o di ciottoli, dove andiamo di solito, sono più o meno il 40% delle coste italiane (3.280 chilometri degli 8.300 totali, ISPRA, 2011), i rifiuti di plastica che abbiamo tra i nostri piedi sono circa 26,5 milioni. Si tratta di piccoli-medi rifiuti facilmente raccoglibili. Ed è qui che voglio mobilitarvi. Tutti questi rifiuti potremmo tirarli su mettendo in scena una enorme raccolta collettiva sui bordi del nostro Bel Paese. Secondo Assoturismo Confesercenti (CST, 2017) nel trimestre estivo sono 207 milioni i turisti in Italia, di cui 85,5 al mare.
Immaginando di occuparci noi italiani di pulire le nostre spiagge (l’unico “sovranismo” che posso accettare) senza scomodare gli ospiti stranieri, con due conti ho scoperto che in spiaggia ci sono più di mezzo milione di presenze al giorno nei soli tre mesi estivi. Mezzo milione di potenziali eco-raccoglitori al giorno.
Se ognuno raccogliesse 10 pezzi di plastica (esempio: 3 tappi, 2 bottiglie, 3 sacchetti, 1 rete per pallone, 1 vaschetta), si raccoglierebbero oltre 5 milioni di rifiuti al giorno ovvero 11 volte la quota giornaliera necessaria per pulire le nostre spiagge (441.450 rifiuti al giorno andrebbero presi). Questo significa che se solo 1 su 11 raccogliesse rifiuti, ci basterebbero luglio e agosto per avere tutte le spiagge plastic-free. Tanta roba. Se poi raccogliessimo anche il resto (quel 20% che non è plastica, come le lattine, le bottigliette, i mozziconi, le vaschette di alluminio) le tireremmo a lucido.
Se solo uno di noi su 11 raccogliesse 10 rifiuti di plastica in spiaggia al giorno, puliremmo le nostre coste in 2 mesi. Fate partire un tam-tam: #spiaggePlasticFREE o #viairifiutidallespiagge.
Pensate all’effetto. In spiaggia ne parlerebbero tutti. E molti comincerebbero a imitarci. Magari senza farsi vedere all’inizio, ma poi, pian piano. E forse inizierebbero a vergognarsi a buttare a terra rifiuti. E smetterebbero. La stessa cosa si potrebbe fare nei boschi, lungo i sentieri, in campagna, lungo i fiumi e i torrenti. Sarebbe una mega rivoluzione popolare ed ecologica da Sud a Nord del Paese. Un popolo che si mette a pulire la propria casa è un popolo meraviglioso. E siccome noi siamo meravigliosi e vogliamo rimettere in piedi questo Paese con le nostre mani e la nostra intelligenza partigiana, diamoci da fare. Dieci minuti al giorno, un rifiuto al minuto. In fondo usare l’intelligenza del fare bene e assieme, contagiando di buone pratiche noi e gli altri, è tornare a dare un ruolo sovversivo all’intelligenza. La nostra. Una bella dimostrazione che esistiamo, pensiamo, facciamo e non siamo né stupidi, né “asfaltabili”.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)
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