Ambiente / Varie
Come cambiano gli appalti
La Commissione ambiente della Camera chiede al governo di superare la legge Obiettivo, cioè la legge del 2001 sulle opere strategiche che ha reso più spedito l’iter autorizzativo per autostrade inutili e TAV. Tra le novità del Codice arriva anche l’obbligo per i concessionari autostradali di "affidare" l’80% dei lavori sulla rete tramite gare e bandi pubblici. Adesso il testo votato nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre andrà in aula. Poi toccherà all’esecutivo, chiamato ad esercitare la delega (entro il 31 luglio 2016)
La Commissione ambiente della Camera dei deputati ha votato ieri notte la riforma del Codice degli appalti. Dopo il voto dell’Aula, darà mandato al governo di modificare la cornice entro la quale si svolgono le gare relative a concessioni, servizi e lavori pubblici. Sono le regole in base alle quali gli enti pubblici e i soggetti che gestiscono una infrastruttura pubblica scelgono come spendere le risorse che hanno a disposizione. Il testo prenderà forma di una legge delega, cioè demanderà all’esecutivo l’attuazione -entro il 31 luglio del prossimo anno- degli indirizzi espressi dai parlamentari, che sono chiamati a dare attuazione a tre direttive comunitarie.
Il Codice degli appalti “tocca” anche il settore delle infrastrutture: in questo ambito le scelte della Commissione ambiente delineano un possibile cambio di direzione da parte di una maggioranza che ha convertito in legge, nel novembre del 2014, lo “Sblocca-Italia”, quello che noi di Altreconomia abbiamo definito “Rottama Italia”.
Il voto in Commissione ha però ridotto la portata “rivoluzionaria” di alcune indicazioni. In particolare, è stato leggermente modificato l’emendamento -a firma del presidente della Commissione ambiente, Ermete Realacci- che delega il governo ad abrogare “le disposizioni di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443”, ovvero a cancellare la “legge Obiettivo”. Invece della parola abrogazione adesso c’è scritto “superamento”, ma ciò dovrebbe comunque assicurare un passaggio epocale: il governo Renzi dovrà eliminare dopo quindici anni quel provvedimento che garantisce iter autorizzativi più spediti per alcune opere infrastrutturali considerate “strategiche” -comprese, ad esempio, autostrade come la BREBEMI o il Passante di Mestre, e la TAV in tutto il Paese-.
Lo stesso emendamento obbliga ad applicare alle opere che finora ne erano escluse “le procedure di valutazione ambientale strategica (VAS) e di valutazione di impatto ambientale (VIA)”, regolate dal Testo unico dell’ambiente del 2006, quelle procedure di analisi che servono ad evidenziare le problematicità che potrebbero rendere irrealizzabile un intervento (quando, ad esempio, esso finirebbe con l’alterare l’equilibrio di un territorio, o avrebbe un carattere invasivo in un’area protetta). Oggi per le opere realizzate secondo la legge Obiettivo era sufficiente una VIA realizzata sul progetto preliminare.
Resta da sciogliere -in sede legislativa e interpretativa- un nodo importante: la nuova disciplina sarà applicabile anche a quelle opere “strategiche” il cui iter autorizzativo è in corso e che sono al momento escluse da VAS? È il caso, ad esempio, della TAV Brescia-Verona, oggi ferma al ministero dell’Ambiente per la VIA.
Un altro parziale dietro front c’è stato in materia di concessioni autostradali. È stato il governo a chiedere ai deputati di modificare il contenuto della delega relativa alla regolamentazione delle gare per i lavori sulla rete autostradale. Il testo in origine prevedeva che tutti i soggetti titolari di concessioni avrebbero dovuto affidare i contratti mediante gare ad evidenze pubbliche.
Questa previsione è stata rivista al ribasso, lasciando ai concessionari la possibilità di affidare il 20 per cento dei lavori in house, cioè a quelle imprese controllate cui oggi va però senza gara una fetta molto più consistente (intorno al 50%) delle opere di manutenzione e investimento sulla rete autostradale.
La mediazione al ribasso voluta dall’esecutivo è da considerarsi, però, un risultato positivo, se si pensa che molti emendamenti presentati dalla maggioranza dei partiti (dal PD a Forza Italia, passando per Area popolare-NCD e Scelta civica) chiedevano addirittura la soppressione del provvedimento.
Quello presentato dall’onorevole Giuseppina Castiello di Forza Italia (non approvato) esplicitamente avrebbe escluso la validità dell’obbligo di gara “per le concessioni autostradali in essere, ivi comprese quelle prorogate e/o rinnovate”, chiedendo che “le associazioni imprenditoriali di categoria di settore comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, e, per l’edilizia, comunque firmatarie del contratto collettivo nazionale, possono concordare, tramite un protocollo d’intesa unitario, siglato dalla totalità delle stesse, la quota di lavori, riferita anche a singole tratte, realizzabile in via diretta, senza ricorso a procedure di gara ad evidenza pubblica”.
Se i concessionari hanno ottenuto di poter realizzare il 20 per cento dei lavori “senza affidarli tramite gara”, saranno però obbligati a non sub-appaltare i lavori: se le controllate dei concessionari dovessero ricorrere a ditte esterne, allora dovranno sceglierle tramite una gara ad evidenza pubblica, e sottostare alle verifiche di compatibilità dell’Autorità anti-corruzione.
Come indicato anche dalla Banca d’Italia in una recente audizione parlamentare, in Italia le concessionarie autostradali investono poco sulla rete in opere di manutenzione, e se il governo eserciterà le delega in modo adeguato verrò meno quel meccanismo per cui pagando il pedaggio oggi contribuiamo almeno un paio di volte ai bilanci dei gruppi imprenditoriali che fanno capo alle famiglie Benetton (Autostrade per l’Italia) e Gavio (è il secondo concessionario autostradale per estensione della rete, di cui fanno parte tre le altre l’A4 Torino-Milano e l’A21 Torino-Piacenza).
Ci sono infine alcune note davvero positive: un altro emendamento di maggioranza, che vede sempre come primo firmatario Ermete Realacci, amplia la descrizione relativa all’introduzione nell’ordinamento italiano del “dibattito pubblico”, una delle forma di inclusione delle comunità locali dei territori interessati dalla realizzazione di grandi progetti infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale che hanno “impatto sull’ambiente, la città o sull’assetto del territorio”, e prevede anche “una procedura di acquisizione dei consensi tecnici e amministrativi necessari per realizzare un’opera che sia semplice, vincolante e non modificabile nel tempo” oltre alla pubblicazione online dei progetti. Se ben esercitata, la delega potrebbe finalmente riconoscere efficaci meccanismi di partecipazione anche dei comitati.
Inoltre, per la prima volta si fa riferimento all’esigenza di utilizzare anche il “costo del ciclo di vita” tra i criteri oggettivi per l’aggiudicazione di un appalto.
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