Ambiente
Clima: parola d’ordine mediare
Se dovessimo trovare una metafora di questo primo accenno di negoziati Onu sul clima, il calcio di avvio rischia di essere come la strada che da Cancun centro porta al Moon Palace, sede del vertice: lunga, ripetitiva ed un po’…
Se dovessimo trovare una metafora di questo primo accenno di negoziati Onu sul clima, il calcio di avvio rischia di essere come la strada che da Cancun centro porta al Moon Palace, sede del vertice: lunga, ripetitiva ed un po’ fuorviante con la sua (unica) pala eolica piantata a pochi metri dalla strada.
Tutti sanno che queste quasi due settimane nella poco ridente città messicana saranno niente più che un momento di passaggio verso un più promettente Sudafrica, dove pressati dalla scadenza del primo periodo del Protocollo di Kyoto, le Parti saranno indotte a trovare un accordo. Pena la perdita definitiva degli ultimi scampoli di credibilità rimasta.
Non sarà il vertice dei grandi Capi di stato, ma a volte la sostanza sta nei processi e non nei colpi di scena. Ed il processo negoziale, all’interno degli ultimi spazi multilaterali rimasti attivi ed in piedi, andrà curato con molta cautela. Perchè se il Copenhagen Accord è stato un tentativo di sostituire le logiche del consenso con quelle della presa d’atto, gli ultimi vertici di medio periodo a Bonn e a Tianjin avevano insegnato che per ritornare attorno ad un tavolo senza rigidità, bisogna, se non altro, ascoltare i diversi punti di vista.
I tentativi di forzatura comunque ci sono, denunciati dalle reti della società civile che hanno sottolineato come sulle bozze di discussione proposte dalla presidenza di turno messicana ci sia stato un bel repulisti delle proposte dei Paesi del sud del mondo che chiedono maggiori impegni e maggiori risorse, numeri e scadenze alla mano.
Ma il negoziato procede. Ci vorranno tutte le due settimane programmate per capire dove si riuscirà ad arrivare perchè, come dice la stessa Segretaria generale UNFCCC Figueres 2si tratta di un negoziato complesso" in cui tutti dovranno fare un bel gioco di mediazioni.
Aldilà forse del Giappone, che ha scelto le maniere forti per spiegare che un secondo periodo di impegni dopo Kyoto potrebbe non essere nell’agenda nipponica.
Perchè la mitigazione delle emissioni è il grande omissis di questi negoziati. Perchè presuppone una riconversione industriale, e quindi investimenti, che il settore privato non vuole accollarsi ed il settore pubblico non riesce a decidere. Ed intanto il mondo non ci aspetta: anche da un meeting di basso profilo come la presentazione della struttura del 5° studio dell’IPCC, il Panel Onu di scienziati ed esperti internazionali, in preparazione per il 2013 (un’ora e mezza di sommario, indice e filosofia ispiratrice del lavoro), emerge che i mari stanno crescendo di 3,3 millimetri all’anno. Con buona pace del cuneo salino che sta progressivamente inquinando le falde acquifere di intere zone, Italia compresa.
E allora non c’è alternativa a questo negoziato. E adesso che il confronto si farà accesso sui finanziamenti, sarà interessante sapere cosa emerge. Non fosse altro perchè l’altro braccio che dovrebbe sostenere l’adattamento al cambiamento climatico (che reti come Climate Justice Now vorrebbero ribattezzare "sostegno alla sopravvivenza di molte comunità umane"), e cioè il trasferimento tecnologico, non funziona a causa di un mercato internazionale che non permette l’autosviluppo di piccola imprenditoria nei Paesi del sud del Mondo, stretta dall’apertura dei mercati alla concorrenza internazionale e il blocco alla diffusione delle conoscenze a causa dei "diritti di proprietà intellettuale" che proteggono spasmodicamente i brevetti industriali delle imprese occidentali.
E mentre i vari blocchi si studiano, i campesinos camminano.
Le carovane partite da San Luis Potosí, Guadalajara e Acapulco, sono arrivate a Città del Messico e si dirigeranno a Cancun dove incontreranno le carovane provenienti da Oaxaca e dal Chiapas. Fiumi di persone che stanno denunciando come il modello di sviluppo stia impattando sul Paese reale e sui fiumi quelli veri, basti pensare che il 60% delle falde freatiche e dei bacini idrologici sono inquinati, che oltre il 70% dei terreni subisce una qualche forma di erosione e desertificazione. E se a questo si aggiungono i segni lasciati dall’estrazione mineraria, come quella dell’impresa canadese New Gold-Minera San Xavier con la sua estrazione di oro ed argento a San Pedro, vicino a San Luis Potosì, lo scenario si chiarisce. E basterebbe sostituire i nomi e le località per capire come i problemi siano globali, New Gold con Acna e San Pedro con Cengio (Savona), o le falde acquifere messicane con quelle vesuviane o con quelle milanesi delle aree ex Montedison.