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La “guerra del carbone”, al confine tra Polonia e Repubblica Ceca
La centrale elettrica e la miniera di Turów, in Polonia, sorgono in mezzo alle case del comune di Bogatynia. Ma le conseguenze sull’ambiente si fanno sentire anche nel Paese vicino. Fino al 2019 la miniera sarà assicurata dall’Italiana Generali. Che oggi, durante l’assemblea dei soci, ha visto la presenza di un gruppo di “azionisti critici”
I gabbiotti del controllo di frontiera sono vuoti, abbandonati nel tratto di strada che si allarga un po’, per poi restringersi subito in mezzo agli alberi del fitto bosco che si trova a cavallo del confine tra Polonia e Repubblica Ceca. Siamo in quella che tra le due guerre mondiali veniva identificata come la regione dei Sudeti e ora si frammenta in Bassa Slesia (Polonia), distretto di Liberec (Cechia) e Sassonia, perché a pochi chilometri da qui c’è anche la Germania.
Quello che visitiamo sotto un’intensa nevicata di fine marzo è un lembo d’Europa che è stato segnato profondamente dalla storia, dove intere popolazioni sono state rilocate, spostate e hanno visto succedersi varie dominazioni. E dove ora c’è un’ingombrante fonte di enormi frizioni, per lo meno tra polacchi e cechi: la centrale a carbone, con annessa, sconfinata, miniera di Turów, da cui si estraggono 7,5 milioni di tonnellate di lignite l’anno.
L’impianto si trova nella cittadina della Bassa Slesia di Bogatynia, letteralmente in mezzo alle case. Un po’ come in Italia era il caso della centrale di Vado Ligure. Ma se quest’ultima è in fase di dismissione e si sta per aprire un processo per chiedere il conto dei danni ambientali provocati per decenni dalla combustione del carbone, qui si sta procedendo con l’ampliamento della struttura (che ora produce 2.100 megawatt) con una nuova unità da 460 megawatt. Come se non bastasse, la società elettrica polacca PGE ha intenzione di prolungare la vita di Turów fino al 2044, nonostante la concessione mineraria sia in scadenza nel 2020 e l’Unione europea preveda uno stop definitivo al carbone entro il 2030.
Oltre ai prevedibili impatti sulla qualità dell’aria, il casus belli è costituito dalla drastica riduzione delle riserve d’acqua al di là del confine: in territorio ceco. “Il nostro territorio è molto particolare da un punto di vista idrogeologico, secondo il nostro monitoraggio l’espansione della miniera sta drenando acqua dalle nostre falde”, spiega Dan Ramzer, il sindaco della città ceca di Frýdlant. “D’estate dobbiamo supplire alle carenze idriche con le autobotti. Per noi è chiaramente un problema e abbiamo espresso tutta la contrarietà, ma per risolvere la questione serve che si parlino i governi”, aggiunge. Ma non è un negoziato facile: Varsavia, infatti, può rinfacciare a Praga altri impatti transfrontalieri, questa volta sul territorio polacco, causati dalle industrie dell’Alta Moravia. Per il momento i 18 comuni dell’area, in cui abitano oltre 30mila persone, hanno dato vita a una coalizione “a protezione dell’acqua”, come ribadisce Pavel Farsky, il vice-sindaco di Hrádek, il villaggio più vicino al confine polacco.
La “crescita” di Turów sta ovviamente accrescendo i timori dei cittadini della regione di Liberec, mentre a livello internazionale l’oggetto dell’attenzione sono le compagnie assicurative che sostengono e garantiscono il comparto carbonifero. Tra queste, con un ruolo tutt’altro che secondario, c’è anche l’italiana Generali, la quale assicura la contestata miniera tramite un contratto che scadrà nel 2019.
Il Leone di Trieste ha inoltre investito più di 70 milioni di euro nella società elettrica polacca PGE che gestisce la centrale elettrica e la miniera. Complessivamente, Generali, AEGON, Allianz, Aviva, Nationale Nederlenden e AXA possiedono l’8,6% dell’utility polacca, che ha in programma di aumentare di 5 gigawatt la produzione legata al carbone, che già in Polonia ammonta per oltre l’80% del mix energetico nazionale.
Nelle ultime settimane la più grande compagnia assicurativa italiana ha comunicato che aumenterà di 3,5 miliardi di euro il suo impegno finanziario in “progetti sostenibili” e non effettuerà più investimenti in società legate al comparto carbonifero. Per quanto riguarda la sua esposizione corrente al settore del carbone, pari a circa 2 miliardi di euro, Generali si è impegnata a dismettere gli investimenti azionari e a disinvestire progressivamente da quelli obbligazionari. Ma ha anche stabilito che “applicherà delle eccezioni in quei Paesi dove la produzione di energia elettrica e per il riscaldamento è ancora dipendente, senza alternative significative nel medio periodo, dal carbone”. Quindi Generali non intende uscire dal business della polvere nera in Polonia nonostante i suoi impatti sul clima e la salute della popolazione.
Per chiedere al Leone di Trieste di rivedere la sua decisione all’assemblea degli azionisti in programma a Trieste il 19 aprile mattina hanno partecipato vari “azionisti critici” europei e italiani. Potete recuperare il live-tweeting dall’assemblea su @Recommon.