Ambiente / Opinioni
Cambiamento climatico: siamo con le spalle al muro
L’ultimo rapporto del comitato Onu sul clima ha posto nuove frontiere per contrastare il climate change. Occorre agire subito
Con la pubblicazione del rapporto speciale dell’IPCC (il comitato dell’Onu sul clima) si è chiarito un altro passaggio chiave della lotta al cambiamento climatico, quello dell’obiettivo a cui è necessario puntare. A lungo si è parlato di un aumento di +2 °C, rispetto ai livelli pre-industriali, come la soglia di sicurezza per il Pianeta; ma c’era chi, ad esempio il recente premio Nobel per l’economia William Nordhaus, in un articolo pubblicato nel 2007 aveva indicato in +2,8 °C la temperatura “ottimale” del Pianeta, in grado di ottimizzare a suo dire il bilancio fra i costi della mitigazione e i benefici degli impatti evitati. Dopo 10 anni, si è capito che anche la metà di quel valore sarebbe eccessiva.
Le 729 pagine del rapporto IPCC, e le 33 della Sintesi per i decisori politici, spiegano in modo a tratti brutale perché anche il mezzo grado di differenza fra 1,5 °C e 2 °C è importante, molto più di quanto si pensasse nel passato.
Entro il 2100 l’innalzamento del livello del mare su scala globale potrebbe essere più basso di 10 centimetri con un riscaldamento globale di 1,5 °C rispetto a 2 °C; detta così sembra poca cosa, ma un livello medio globale dei mari più basso di 10 centimetri, aggiunge l’IPCC, potrebbe voler dire che 10 milioni di persone sarebbero sottoposte a minori rischi. Oppure, 420 milioni di persone in meno sarebbero esposte alle ondate di calore se si limitasse il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto a 2 °C. Neanche 1,5 °C è una soglia di sicurezza, visto che già oggi con un aumento di 1 °C stiamo vedendo molti impatti del riscaldamento globale. Ma un modo spiacevole per spiegarlo è dire che le barriere coralline potrebbero ridursi del 70-90% con 1,5 °C, mentre con 2 °C sparirebbero completamente (perdita maggiore del 99%).
In una riga e mezzo della Sintesi si spiega un altro fatto epocale, ossia che se la temperatura aumentasse tra 1,5 °C e 2 °C potrebbero essere innescate alcune perturbazioni catastrofiche al sistema climatico globale, quali la destabilizzazione della calotta continentale della Groenlandia, in grado di provocare un aumento del livello medio dei mari di molti metri per secoli o millenni.
1,5 °C di aumento della temperatura media globale è la nuova frontiera della lotta contro il cambiamento climatico
Se vogliamo provare a trovare buone notizie anche in questo rapporto, una è che limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C è possibile; richiede però rapide e lungimiranti transizioni in molti settori quali gestione del suolo, energia, industria, edilizia, trasporti e pianificazione urbana: è necessario che le emissioni antropogeniche nette globali di CO2 entro il 2030 diminuiscano di circa il 45% rispetto i livelli del 2010, raggiungendo lo zero intorno al 2050. Quindi, pur se è ancora possibile limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C, per farlo è necessario qualcosa di davvero straordinario. Non solo abbandonare il carbone, chiaramente incompatibile con uno scenario a 1,5 °C, ma anche il gas: solo l’8% dell’elettricità prodotta nel 2050 avverrebbe con il gas naturale, in impianti con cattura e stoccaggio del carbonio.
Con il linguaggio asettico e attento a mostrare il livello di affidabilità alle sue affermazioni, l’IPCC ci dice in sostanza che siamo con le spalle a muro: i percorsi di emissioni a 1,5 °C richiedono di rilanciare in modo rilevante i primi impegni assunti nell’ambito dell’Accordo di Parigi, perché i livelli attuali ci porterebbero verso i 3 °C.
Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2016).
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