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Opinioni

Banche italiane al capolinea [2]

Gli istituti di credito del nostro Paese erogano meno prestiti. Senz’altro, è minore il numero delle imprese che chiedono denaro, ma la situazione è frutto dei problemi dei portafogli-crediti delle banche stesse, sempre più ricchi di "sofferenze" secondo la Banca d’Italia

La ripresa non arriva e molti indicatori economici continuano a registrare tempo molto perturbato. Un dato però appare particolarmente pesante per i riverberi che produce nel tessuto sociale e produttivo del Paese: il credito alle imprese sta riducendosi con rapidità e sta diventando sempre più costoso. Da settembre, rispetto ad un anno prima, è sceso di 38 miliardi, con una contrazione pari al 4,2%, ben oltre il rallentamento del Pil; nel caso toscano, i primi sei mesi del 2012 hanno conosciuto un calo del credito alle imprese pari al 5,4% e nei mesi estivi il quadro non è affatto migliorato.
Dunque le banche stanno erogando meno prestiti, sia per una minore domanda legata alla crisi delle aziende, sia -soprattutto- per le condizioni molto onerose praticate alla clientela. Gli oneri finanziari e gli interessi hanno pesato nel 2011 sulle imprese italiane per 26,5 miliardi, con un aumento del 17,5% rispetto all’anno precedente, nonostante il tasso di interesse applicato dalla Bce sia fermo allo 0,75% e nonostante la gigantesca iniezione di liquidità avviata “gratis” dallo stesso istituto di Francoforte a partire da gennaio 2012.
In un tale quadro le imprese toscane che hanno segnalato un peggioramento delle condizioni di accesso al credito sono state pari ad oltre il 70% del totale. Dietro questa restrizione creditizia si pongono in gran parte le difficoltà crescenti del sistema bancario che manifesta alcuni problemi sempre più spinosi. In primo luogo stanno crescendo le sofferenze e i crediti deteriorati che gli istituti hanno in portafoglio: secondo Bankitalia -infatti- le sofferenze hanno raggiunto il 12,3% del totale dei prestiti alla clientela, con una forte tendenza ad un ulteriore deterioramento.
Monte dei Paschi, ad esempio, ha prestiti a rischio per 28.777 milioni di euro, con una percentuale di prestiti deteriorati in portafoglio pari al 18% sul totale e con un aumento percentuale anno su anno del 26% (della situazione di Mps, Ae ne ha parlato anche con il professor Alessandro Penati, nell’intervista pubblicata sul numero di ottobre). Peraltro la stessa Mps ha bisogno di 3,9 miliardi di euro in “Monti bond” -di fatto aiuti di Stato- per coprire operazioni strutturate che avevano Btp come sottostante e un tale intervento, in prospettiva, significa la “nazionalizzazione” della banca. Simili sofferenze impongono una costante svalutazione del portafoglio stesso che peraltro in Italia non comporta neppure benefici fiscali tangibili. In secondo luogo sta allargandosi in maniera preoccupante il divario fra i depositi dei clienti, intorno ai 2.340 miliardi, e i prestiti ai residenti in Italia, pari a 2.860 miliardi di euro. Esiste, del resto, una difficoltà tangibile delle famiglie italiane a risparmiare: solo il 28% di esse ha risparmiato nel 2011 anche perché le stesse famiglie spendono oltre 22 miliardi per prestazioni di tipo assistenziale a fronte dei crescenti tagli alla spesa sociale che, solo per gli interventi più tipicamente assistenziali, è crollata dai 2,5 miliardi del 2008 ai 344 milioni della previsione per il 2012. Si profila quindi una differenza tra prestiti e depositi di circa 500 miliardi che dovranno essere finanziati ricorrendo al mercato o facendo ancora una volta affidamento sulla Bce, due strade ad oggi assai complesse. Finanziarsi sul mercato significa trovare compratori molto difficili e che pretendono interessi quasi proibitivi per le banche italiane, una condizione resa ancora più ostica dalla gran massa di bond in scadenza delle banche stesse. La Bce dal canto suo ha già sparato numerose delle proprie munizioni e non sembra intenzionata a nuovi interventi a breve termine, almeno fino a quando non prenderà pienamente vita il meccanismo anti-spread. Il declassamento della Francia, d’altra parte, riduce ulteriormente il numero di paesi europei che possono disporre della tripla A e ciò rende più difficile e costoso finanziarsi anche per i medesimi meccanismi di salvataggio europei. In un simile panorama, le banche tendono quindi da un lato a chiedere sempre maggiori garanzie per la concessione dei propri crediti e dall’altro a puntare su quelle attività di trading finanziario assai distanti dall’economia reale ma decisamente molto remunerative per quanto altrettanto rischiose. In estrema sintesi, il pericolo è che il sistema bancario finisca per concentrarsi sull’acquisto di titoli del debito pubblico italiano e dei propri titoli in scadenza, utilizzando in entrambi i casi la provvista della Bce e dirottando poi l’attività dal credito alle imprese e alle famiglie al versante delle operazioni finanziarie tout court. Per tentare di sopravvivere e magari di distribuire qualche dividendo per non vedere demolito il prezzo.

* Università di Pisa

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