Ambiente / Varie
All’Italia serve una politica forestale
Il Corpo forestale dello Stato non è solo una "polizia ambientale", ma un corpo tecnico per la gestione dei territori montani. Secondo il professor Pettenella, che insegna all’Università di Padova ed è presidente di FSC Italia, il dibattito sullo smembramento del CFS, dopo la legge Madia dell’estate 2015, non ha evidenziato come quest’identità sia stata accantonata negli ultimi decenni: "Di fronte all’opinione pubblica conta di può denunciare il reato ambientale che fare assistenza tecnica, monitorare, raccogliere statistiche, controllare e promuovere investimenti nel settore forestale"
Davide Pettenella è il presidente dell’associazione FSC Italia, nata nel 2001 come sezione nazionale del Forest Stewardship Council, un’organizzazione internazionale non governativa, indipendente e senza scopo di lucro, che dal 1993 promuove la gestione responsabile di foreste e piantagioni. Pettenella, docente di economia e politica forestale e coordinatore del dottorato “Land, Environment, Resources and Health” dell’Università di Padova, è tra i promotori di un appello rivolto al ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, che nasce dal dibattito in corso sullo smembramento del Corpo forestale dello Stato (CFS), dopo l’approvazione della legge Madia di riforma della pubblica amministrazione. Sintetizzando, l’appello chiede al Paese di dotarsi di una politica per la tutela delle foreste italiane, perché una polizia (il CFS, appunto) non è sufficiente.
Secondo Pettenella, le riflessioni sul Corpo forestale, iniziate nell’estate del 2015 con l’approvazione della legge Madia (qui l’approfondimento pubblicato su Ae 175, http://bit.ly/corpoforestale), avrebbero mancato di evidenziare il problema principale: “Il CFS era un tempo il corpo tecnico e di polizia per la gestione dei territori montani, ma è andato negli ultimi decenni a focalizzarsi sulle funzioni di polizia, perdendo poco a poco la propria identità ‘forestale’, e quasi tutte le funzioni di carattere tecnico”.
Pettenella le elenca: “Il coordinamento delle politiche forestali delle Regioni, il ruolo di cerniera tra queste e ciò che viene definito a livello internazionale, la raccolta delle statistiche forestali, il monitoraggio delle foreste, la gestione del patrimonio forestale del Demanio statale, che dovrebbe essere condotto in modo esemplare, come modello di riferimento gestionale, promozione e coordinamento nel settore. Faccio un solo esempio nel campo dell’economia e politica forestale -aggiunge il docente dell’Università di Padova-: non è dato sapere quanto legname si taglia in Italia. Questo dato da 2 anni non viene più raccolto, non è più disponibile, e non viene trasmesso alla FAO e agli altri organismi internazionali di statistica”.
Per comprendere davvero ciò che sta accadendo serve tornare indietro, a quando “il Capo del CFS era un dirigente del settore ‘Economia montana e foreste’ [del Ministero dell’Agricoltura, ndr], e il Corpo rappresentava l’amministrazione civile e tecnica dello Stato nei territori montani. Con la regionalizzazione, a partire dalla fine degli anni Settanta, e poi con l’evoluzione del settore, il CFS è cambiato. Alcun funzioni sono passate alle Regioni, che oggi faticano a portale avanti. Altre sono state accantonate perché non erano premianti, almeno nella logica di chi oggi guida il CFS: di fronte all’opinione pubblica conta molto di può denunciare il reato ambientale che fare assistenza tecnica, monitorare, raccogliere statistiche, controllare e promuovere investimenti nel settore forestale”.
“L’aspetto più problematico è che il CFS ‘spegnendosi’ nelle proprie funzioni ha limitato la capacità dell’autorità centrale dello Stato di promuovere politiche attive di gestione delle risorse forestali che sono oggetto di estesi fenomeni di abbandono”.
Si legge nel testo della petizione online: “Sembra […] che per l’autorità centrale dello Stato il fatto che la superficie forestale nazionale sia raddoppiata negli ultimi 50 anni, che l’Italia sia il più grande importatore di legname illegale in Europa e il primo importatore mondiale di legna da ardere, che sia un paese molto più forestale di Francia, Germania e Regno Unito, e con una superficie boscata in forte espansione ma anche sempre più abbandonata, siano tutti elementi di scarsa rilevanza, tanto da comportare uno smantellamento progressivo di un ruolo di governance del settore” .
Secondo il professor Pettenella, è su questi aspetti che dovrebbe essere aperto nel Paese un dibattito, che ad oggi si è però limitato ad affrontare il tema della riorganizzazione delle funzioni di polizia in ambito ambientale ed agroalimentare legata al possibile accorpamento di alcune attività del CFS all’interno dell’Arma dei Carabinieri, con conseguente militarizzazione del Corpo.
“Mi sembra di poter dire che la situazione attuale, con CFS, Polizia di Stato, Carabinieri e talvolta anche Guardia di Finanza impegnate sulle stesse tematiche crea una sovrapposizione” dice Pettenella. Con la riforma Madia, afferma il docente dell’Università di Padova, “si è colpito l’anello più debole: avrebbe avuto molta più logica, come nel disegno iniziale, abolire anche la polizia penitenziaria, e pensare di andare a 2 corpi di polizia, di cui uno con una organizzazione territoriale capillare, come i Carabinieri, ed uno specializzato in diverse funzioni -postale, penitenziaria, ferroviaria, finanziaria, etc.-. Ciò comporterebbe un risparmio in termini di funzioni di servizio e logistiche, oltre che sugli stipendi dei quadri dirigenti”. Secondo un articolo pubblicato nel 2014 su lavoce.info dal professor Roberto Perotti -che allora coordinava un gruppo di lavoro della segreteria di Matteo Renzi sulla spesa pubblica-, nel CFS c’è oggi un dirigente in posizione apicale ogni 90 dipendenti (nella Polizia di Stato lo stesso dato è di circa 100, nei Carabinieri è di oltre 250, anche se lo stipendio medio di un dirigente del CFS è in media di 15-20mila euro inferiore a quello che si registra negli altri corpi).
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