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All’economia di Gaza serviranno decenni per superare le distruzioni della guerra
Le distruzioni causate dall’invasione militare israeliana hanno provocato una contrazione del prodotto interno lordo della Striscia del 24%. Anche se la guerra finisse immediatamente, avverte l’agenzia delle Nazioni Unite Unctad, l’economia tornerebbe ai livelli pre-invasione solo nel 2092
Le distruzioni agli edifici e alle infrastrutture civili causate dai bombardamenti e dalle operazioni militari israeliane sulla Striscia di Gaza hanno “notevolmente aggravato il declino dell’economia” del territorio, che già nei primi mesi dell’anno aveva registrato profonde criticità. Secondo le stime di un recente rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad) tra gennaio e settembre 2023 il Prodotto interno lordo (Pil) della Striscia aveva già registrato una contrazione del 4,5%.
“L’operazione militare israeliana ha accelerato questa tendenza e ha provocato una contrazione del Pil del 24%, pari a 655 milioni di dollari”, si legge nella valutazione preliminare dell’impatto economico della distruzione a Gaza, pubblicato il 31 gennaio.
Anche se l’operazione militare lanciata da Israele all’indomani degli attacchi di Hamas del 7 ottobre dovesse concludersi immediatamente, con un contestuale avvio degli interventi di ricostruzione, all’economia della Striscia servirebbero decenni per ritornare ai livelli precedenti. Stimando un tasso di crescita annuale dello 0,4% (pari a quello registrato tra il 2007 e il 2022) Gaza riuscirebbe a ripristinare il Pil del 2022 solo alla vigilia del nuovo secolo: nel 2092.
Persino in presenza di uno scenario più ottimistico, con una crescita del prodotto interno lordo del 10%, bisognerebbe comunque aspettare il 2035 per fare in modo che il Pil pro-capite degli abitanti della Striscia ritorni a quello del 2006, l’anno precedente al blocco terrestre, aereo e marittimo imposto dal governo israeliano.
“La ripresa dell’economia di Gaza dall’attuale operazione militare richiederà un impegno finanziario di molte volte superiore ai 3,9 miliardi di dollari investiti dopo l’operazione militare ‘Margine di protezione’ del 2014 -si legge nel documento di Unctad-. E richiederà uno sforzo internazionale coordinato per ripristinare le condizioni socio-economiche precedenti il 7 ottobre”.
Occorre però precisare che il contesto economico e sociale della Striscia di Gaza nel 2022 era tutt’altro che roseo. Due terzi degli oltre due milioni di abitanti del territorio (uno dei più densamente popolati al mondo) vivevano in condizioni di povertà e il 45% della potenziale forza lavoro era disoccupata. Larga parte della popolazione civile non aveva un accesso adeguato all’acqua potabile, mentre le forniture di energia elettrica erano sporadiche. “L’operazione militare in corso ha sfollato l’85% della popolazione di Gaza, bloccando le attività economiche e peggiorando ulteriormente la povertà e la disoccupazione”, sottolinea Unctad.
A dicembre 2023, la disoccupazione era salita al 79,3%. Nel frattempo, 37.379 edifici (equivalenti al 18% delle strutture totali) sono stati danneggiati o distrutti dai bombardamenti o a seguito di abbattimenti deliberati effettuati dall’esercito israeliano. Di conseguenza la Striscia di Gaza, la cui metà della popolazione è costituita da bambini, è ora resa quasi inabitabile.
Sottolineando l’urgente necessità di interrompere il ciclo di distruzione economica “che ha reso l’80% della popolazione dipendente dagli aiuti internazionali”, Unctad insiste poi sul fatto che l’obiettivo finale non può essere il semplice ritorno alla situazione pre-ottobre 2023: “È necessario -si legge nel documento- spezzare il circolo vizioso di distruzione e ricostruzione parziale. Occorre comprendere i vincoli economici, radicati in 56 anni di occupazione e in un blocco durato 17 anni, e servono strategie realistiche per sbloccare il potenziale della Striscia, attraverso misure che includono il ripristino dell’aeroporto internazionale di Gaza (oggi inutilizzabile), la costruzione di un porto marittimo e la possibilità per il governo palestinese di sviluppare i giacimenti di gas naturale scoperti negli anni Novanta nel Mediterraneo al largo di Gaza per contribuire a finanziare la ricostruzione delle infrastrutture”. La fine delle operazioni militari e la revoca del blocco, conclude Unctad, rappresentano i primi due passi fondamentali per la realizzazione di una soluzione a due Stati lungo i confini del 1967, “in linea con il diritto internazionale e le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite”.
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