A Johannesburg, dove finisce l’ambiente – Ae 30
Numero 30, luglio/agosto 2002Intervista esclusiva con Wolfang Sachs per fare il punto sul vertice “Rio + 10”: lì nacque il concetto di sviluppo sostenibile, ma in dieci anni che cosa abbiamo fatto? Le aree protette sono cresciute, la produzione di…
Numero 30, luglio/agosto 2002
Intervista esclusiva con Wolfang Sachs per fare il punto sul vertice “Rio + 10”: lì nacque il concetto di sviluppo sostenibile, ma in dieci anni che cosa abbiamo fatto? Le aree protette sono cresciute, la produzione di gas Cfc è in declino e le emissioni globali di carbone sono rimaste al livello del 1998.
Ma la salute del “paziente Terra” continua a peggiorare.
Sachs però avverte: non c'è solo questo in gioco nel vertice che si terrà in Sudafrica. Nodo cruciale per tutti è che cosa significano oggi, giustizia e sviluppo in uno spazio ambientale finito.
Sono passati dieci anni dalla prima conferenza Onu su Ambiente e sviluppo, tenutasi a Rio nel 1992: un punto di svolta nell'attenzione alle questioni ambientali. Lì nasce il neologismo “sviluppo sostenibile”. Per molti quell'idea era la panacea di tutti i conflitti tra attività entropiche ed ecosistemi; per altri un mostro linguistico dietro cui ripararsi per non affrontare i problemi. Il prossimo agosto il Summit mondiale sullo Sviluppo sostenibile di Johannesburg, in Sudafrica, costituirà un'occasione di revisione e riflessione.
Wolfgang Sachs, che qui intervistiamo, è probabilmente uno dei massimi esperti mondiali di quello strano neologismo, entrato ormai nelle orecchie di tutti.
Filosofo, studioso del movimento ambientalista, Sachs è ricercatore presso il tedesco Wuppertal Institut, che coordina il progetto “Europa capace di futuro”. Tra i suoi libri ricordiamo: “Archeologia dello sviluppo” e “Dizionario dello sviluppo”, dove Sachs porta in luce le basi politiche e ideologiche del paradigma economico dominante.
Come sta l'ambiente globale, 10 anni dopo Rio?
Tutto sommato, le tendenze sono ancora negative. In termini di aggregati globali, le sole buone notizie sono che le aree mondiali sotto protezione sono cresciute, la produzione di gas Cfc (uno dei più diffusi gas-serra, ndr) è in declino e le emissioni globali di carbone sono rimaste al livello del 1998. A parte questi casi l'impatto dell'azione umana sulla natura continua a crescere. L'estinzione delle specie e degli habitat è aumentata, la distruzione delle foreste continua indisturbata, la degradazione dei suoli fertili è peggiorata, è continuato l'eccessivo sfruttamento degli stock ittici e la nuova minaccia del caos geneticamente modificato è apparsa all'orizzonte. Naturalmente, gli aggregati globali nascondono successi in alcuni luoghi, così come nascondono fallimenti in altri. Ma visto che la vita è su scala planetaria, ciò che importa alla fine è l'integrità e la capacità di recupero di queste trame vitali che formano la biosfera. Diciamo che se pure l'operazione Rio fosse riuscita, la salute del paziente non è certamente migliorata.
Ma, attenzione, Rio non trattava solo l'ambiente, è stata invece una Conferenza sull'ambiente e lo sviluppo. All'epoca, l'accordo implicito fra Nord e Sud era abbastanza semplice: il Nord doveva cominciare per suo conto con la riconversione ecologica e trasferire al Sud soldi e tecnologia ambientale. Soltanto dopo questa fase il Sud sarebbe dovuto entrare in maniera attiva nel processo e assumersi la sua parte di responsabilità. È stato il Nord a mandare all'aria questa intesa. I principi di equità già a Rio erano piuttosto vaghi e vuoti di contenuto, o persino ipocriti, come la ripetizione della venerabile promessa di usare lo 0,7% del Prodotto interno lordo (Pil) annuale per l'aiuto dei Paesi in via di sviluppo. Il Nord ha promesso, in più, 125 miliardi di dollari per anno in aggiunta alla normale cooperazione allo sviluppo, per promuovere l'Agenda 21 nei Paesi del Sud. Ma di questi soldi negli ultimi dieci anni non è arrivato quasi niente.
Rio in rettrospettiva: a cosa è servito lo sviluppo sostenibile?
In primo luogo, l'ambiente è entrato definitivamente nell'agenda politica. Rio ha contribuito a fare della gestione ambientale un dovere per i governi in tutto il mondo. Poi, Rio ha favorito la nascita di nuove forme di governo internazionale. Sono stati creati tanti accordi internazionali, tra i quali la Convenzione quadro sul Cambiamento climatico e la Convenzione sulla diversità biologica. Esiste oggi un intricato processo decisionale per le politiche della biosfera. Inoltre, cambiamenti ci sono stati non solo a livello amministrativo, ma anche cognitivo. La stessa nozione di “sviluppo sostenibile”, attorno a cui la conferenza di Rio ruotava, si è evoluta in un compromesso di grande successo. I seguaci dello sviluppo e gli ambientalisti -che si erano opposti per decenni- si sono portati su un terreno comune. Tanto Shell quanto Greenpeace, la Banca mondiale come il movimento contro le dighe, invocano lo “sviluppo sostenibile”. In pochi ripudiano completamente il concetto. Al contrario, l'idea ha lavorato come un cemento universale, che incolla tutti insieme, amici e nemici nella stessa misura. Insomma, un successo politico grazie ad una pura operazione linguistica.
Che ruolo hanno avuto le organizzazioni non governative?
Rio è stato come un faro per tanti gruppi della società civile. Il messaggio di Rio veniva disseminato in lungo e in largo dai gruppi della società civile che lanciavano pubblici dibattiti, allestivano centri di ricerca, producevano pubblicazioni, e lottavano contro progetti di sviluppo distruttivi, da aziende che riorganizzavano i loro cicli produttivi e ripensavano i loro prodotti o dai governi locali, che promovevano il trasporto pubblico, un'agricoltura libera dai pesticidi e case energicamente efficienti. Le innovazioni eco-efficienti nel campo degli affari, e la diffusione dei programmi locali dell'Agenda 21, sono stati probabilmente la conseguenza più evidente della disseminazione del messaggio di Rio.
Ci sono numerose nicchie in tutto il mondo dove c'è stato un grande accordo nel rimodellare l'ambiente in direzione della sostenibilità, e dove sono maturate competenze per la transizione.
Cosi, nel nome della sostenibilità, Rio ha creato uno spazio di legittimazione per azioni innovative e dissidenti, anche se realizzate in netta opposizione al governo, alle imprese o alle istituzioni multilaterali. Rio è diventata la spina nel fianco dei poteri esistenti. !!pagebreak!!
Ambiente e commercio: quali relazioni tra Rio e Marrakech, dov è terminato il ciclo Gatt che ha dato vita alla Wto?
A Rio, i governi del mondo si erano presentati come i custodi della Terra, ma dopo solo due anni si sono di nuovo riuniti presentandosi come venditori della Terra a Marrakech. Mentre Rio riguardava la protezione e l'uso prudente delle ricchezze naturali, Marrakech, l'atto finale dell'Uruguay Round del Gatt, riguardava l'accesso senza condizioni delle imprese alle risorse naturali. Mentre Rio promuoveva l'autorità effettiva degli Stati per realizzare regole a favore dei beni comuni, Marrakesh indeboliva il potere di regolazione degli Stati in favore della libera mobilità aziendale. Le élite del Nord e del Sud hanno considerato le libertà dei mercati come valore supremo in politica. Per dirlo in una parola, Marrakech ha vinto su Rio.
Cosa ci aspetta a Johannesburg?
Dopo l'ultima conferenza preparativa a Bali sarebbe sbagliato riporre troppe speranze su Johannesburg. Non ci sono le condizioni politiche per andare oltre Rio. Anzi, c'è il pericolo molto concreto di slittare addirittura indietro, se consideriamo l'autismo politico degli Stati Uniti insieme alle riserve del G77+Cina (il blocco dei Paesi non allineati guidati dalla Cina, ndr) sotto l'egemonia dei Paesi Opec.
Quali sono i vostri obiettivi?
Tre punti. La restituzione dei debiti ecologici, innanzitutto. Non c'è una proposta che i Paesi del Sud rivendicano a Johannesburg che non preveda prestazioni finanziarie dal Nord. Il piano finanziario di Rio è rimasto in larga parte senza successo. Gli investimenti privati hanno raggiunto soltanto quindici Paesi e sono in chiaro calo. Un gesto di redistribuzione è perciò inevitabile, altrimenti non esisterà una base per una cooperazione con il Sud.
E poi?
Una strategia per le energie rinnovabili. Energia e anche materiali devono essere sempre più presi dal Sole, con il fotovoltaico ma anche in maniera indiretta con il vento, l'energia idraulica e la biomassa. Il vertice mondiale dovrà organizzare uno sforzo collettivo per promuovere questo cambiamento delle risorse di base nelle società moderne sia nel Nord che nel Sud. Sul tavolo rimane ancora la proposta dell'Unione Europea di impegnare tutti i Paesi a produrre il 15% dell'energia primaria da fonti rinnovabili fino al 2010. La proposta è molto contestata dagli amici del petrolio, ma la partita non è ancora chiusa. Quel che è certo è che se ci sarà un cambio di direzione, il vertice è da considerarsi fallito.
Infine al terzo punto direi: “Garanzia per i diritti alla sussistenza”.
Cosa intendi?
Johannesburg deve dirigere l'attenzione su argomenti come l'acqua, il suolo e le foreste, temi che sono tutti rimasti nell'ombra a Rio de Janeiro. Questi temi non hanno trovato attenzione perché spesso sono legati a conflitti e crisi locali, mentre Rio era concentrato sui temi globali perché questi toccano gli interessi del Nord. Il vertice mondiale deve puntare su accordi proprio sotto il titolo “lotta contro la povertà” che difendono i diritti delle società locali alle risorse naturali, di fronte alle richieste del sistema economico nazionale e internazionale. Sia una Convenzione sulle foreste o una Carta sull'acqua devono affrontare questo conflitto. Su questi temi si confrontano due visioni opposte e due sfere di interessi rispetto al trattamento delle risorse viventi. Da un lato le imprese transnazionali, con l'aiuto dei governi, chiedono accesso a queste risorse per usarle in modo economicamente efficiente e portarle come offerta sul mercato mondiale. Dall'altro i contadini e i popoli indigeni chiedono di avere il controllo su acqua, territorio e sementi per produrre per il mercato e per il proprio consumo.
La vostra agenda contiene alcune proposte molto avanzate. Puoi sintetizzarcele?
Innanzitutto intendiamo porre l'accento sul tema dei diritti. Un'efficace protezione dell'ambiente può avvenire solo in un sistema realmente democratico. È necessaria una Convenzione sui diritti alle risorse delle comunità locali: spesso, infatti, la sopravvivenza degli abitanti delle aree ricche di risorse è gravemente minacciata da estrazioni minerarie, di petrolio, di acqua, ecc. Inoltre, i diritti ambientali -inclusi quello all'informazione, quello dei consumatori, i principi di prevenzione e di precauzione, nonché il “chi inquina paga”- devono essere convertiti in legge, a tutti i livelli.
Poi viene il tema delle strutture dei prezzi. I prezzi del mercato devono riflettere meglio la reale natura dei costi ambientali. Un vero calcolo dei costi richiede la rimozione dei sussidi perversi e la promozione di riforme appropriate, in cui le tasse considerino il consumo di risorse, l'inquinamento e gli sprechi. Un calcolo dei costi completo richiede una tassazione sui global commons -tutti quei beni universali per cui esiste il problema giuridico di definirne lo status: comuni, privatizzabili…- soprattutto l'atmosfera e l'acqua. Una struttura dei prezzi così concepita assicurerà che le decisioni economiche siano prese con impatti ambientali minimi.
Quindi il tema di sempre, la governance del mercato. L'assetto del commercio internazionale deve promuovere non solo l'efficienza economica, ma anche la giustizia sociale e la sostenibilità. Le nazioni, in quest'ottica, dovrebbero avere maggiori opportunità di regolare il commercio incorporando la protezione dei beni pubblici. I trattati ambientali devono avere priorità sugli accordi commerciali. Questo si collega all'ultimo punto, le innovazioni istituzionali: una nuova, storica agenda deve inquadrarsi in un nuovo tipo di istituzioni. Innanzitutto, l'Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, dovrà agire all'interno di un'Organizzazione per l'ambiente mondiale; devono, infine, essere istituite l'Agenzia per le energie rinnovabili ed una Corte di arbitrato internazionale.!!pagebreak!!
Cercasi pensieri complessi e alternativi. Altrimenti non si cambia
“Il vecchio modello di sicurezza, basato sulla difesa del proprio territorio, non è sopravvissuto all'undici settembre. Gli attacchi terroristici hanno fatto crollare insieme al World Trade Center anche una serie di certezze intellettuali. L'attacco agli Usa non veniva né da fuori né da dentro, bensì trasversalmente a questa distinzione”. Così Wolfgang Sachs nel primo capitolo del suo ultimo libro “Ambiente e Giustizia”, pubblicato in questi giorni anche in Italia da Editori Riuniti.
Con grande anticipo sui tempi, ben prima che l'11 settembre ci imponesse radicali ripensamenti dei nostri paradigmi interpretativi, o che la globalizzazione mettesse sotto scacco la vecchia idea della sovranità statale, è stato proprio il pensiero verde, quello scaturito dal movimento ambientalista mondiale, ad insegnarci che ogni azione ha effetti complessi che ci impongono di ridisegnare completamente le nostre vecchie carte concettuali. Salta il dentro e il fuori, saltano “il mio” e “il tuo” tradizionali. Di questo ci parla, tra l'altro, Sachs nella sua intervista.
Che cosa ne sia oggi in Italia dell'eredità di questo pensiero è difficile dirlo. Il movimento verde ha prodotto grandi organizzazioni, molto meritevoli, ma che certo non brillano per acutezza delle analisi, salvo eccezioni s'intende, o quantomeno non riescono a imporre il proprio punto di vista complesso tra i rumors del dibattito globale. Il partito Verde ha cose più importanti da fare che ridisegnare la geografia del nostro pensiero. Il movimento nato a Seattle, nonostante la forte ricchezza interna, pare scivolare sempre di più nei canoni del vecchio estremismo gauchiste che poco ha a che vedere con un pensiero della complessità. Pochi, per non dire nessuno, sono anche in Italia gli intellettuali come Sachs capaci di scrivere una controagenda per Johannesburg ma pure di interloquire con i principali studiosi e politologi per affermare un punto di vista differente.
La Emi tradurrà questo ennesimo Rapporto (vedi box a pagina 16) scritto tutto da studiosi stranieri: un segnale inquietante del fatto che questo Paese, anche su questi temi, è un consumatore netto di cultura prodotta altrove, un importatore di idee. Investire sui saperi, e soprattutto su quelli complessi e alternativi, sarebbe un grande servizio ad una robusta crescita di movimenti capaci davvero di cambiare il mondo. Qualcuno ha voglia di farlo, questo investimento capace di futuro? M.M.
“The Johannesburg Memo”: un'agenda per l'equità
“Quale sarà la legittimità del Vertice di Johannesbourg a dieci anni da Rio? (…) In questo momento cruciale della storia del pianeta, pubblichiamo questo Memorandum per alimentare il dibattito intorno al Summit”. In questo modo si apre “The Johannesburg Memo, equità in un mondo fragile”. Redatto da un gruppo di 16 attivisti, intellettuali, manager e politici indipendenti coordinati da Wolfgang Sachs e riuniti su invito della fondazione Heinrich Böll, questo Memorandum suggerisce un'agenda per l'equità e l'ecologia del prossimo decennio per contribuire al dibattito internazionale dal punto di vista della società civile. Il Memo identifica numerosi temi che dovrebbero essere affrontati nei dibattiti del Summit. Al di là dei temi, però, vi è una questione cruciale: cosa significa giustizia in uno spazio ambientale “finito”? In un mondo fragile, per le tensioni interne e per la finitudine delle risorse, regge ancora quel faticoso compromesso che aveva dato vita al concetto di sviluppo sostenibile? O bisogna ripensare daccapo i nostri criteri di ricchezza, benessere, equità? Oppure dobbiamo abbandonare definitivamente l'idea democratica di un mondo aperto a tutti per difendere i fortini del benessere? Intorno a queste cruciali questioni il Memo richiama i delegati del vertice di Johannesburg.
La pubblicazione italiana è curata dalla Emi. Info: www.emi.it