Ambiente
Vai col “VenTo”
Una ciclabile lungo la valle del Po, tra Torino e Venezia: un’autostrada per “due ruote” di 687 chilometri, capace di generare lavoro e indotto. Basterebbero 80 milioni di euro — duccio facchini
“Questo Paese si salva se rinuncia alla cazzuola e salta sulla bicicletta”. Paolo Pileri, docente di Tecnica e pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano, la fa semplice. Ed è stato semplice, a parer suo, percorrere in bibicletta -tra fine maggio e inizio giugno- poco meno di 700 chilometri in 8 giorni tra Torino e Venezia, facendo tappa anche a Milano. Lungo “VenTo” (www.progetto.vento.polimi.it), la dorsale ciclistica che potrebbe risollevare le economie locali lungo il Po, dando credito a un settore -quello del cicloturismo- che in Europa è in espansione, a differenza del nostro Paese.
Professore, perché “VenTo” è strategica?
Partiamo dai numeri: costruire una dorsale di 679 chilometri lungo il fiume Po richiede un investimento di 80 milioni di euro. E non è una semplice ciclabile. Passatemi il paragone: è un’“autostrada per le biciclette”. Il che significa un tracciato più lineare e flessibile possibile in termini di interscambio con il tessuto ferroviario e navigabilità fluviale, collegandosi alla rete urbana e periurbana che esiste già (a Piacenza o a Cremona, ad esempio). Quello messo a punto dal Politecnico è proprio un progetto di fattibilità, non una linea tracciata sulla carta. Comprende i manufatti, ciò che serve per rendere effettivamente pedalabile quella linea: passerelle, ponti, pavimentazioni adeguate, nuovi tratti di ciclabile. Ecco perché noi abbiamo sempre chiamato “VenTo” una grande opera pubblica.
Quali sono le principali caratteristiche delle dorsali? E quali le opportunità?
Sono a impatto zero, richiedono una mobilità che non produce esternalità ambientali e in più mettono in moto economie. Le dorsali ciclistiche in Europa riescono a produrre indotti economici di 150, 300, 400mila euro per chilometro. In Germania, qualcosa come 8 miliardi di euro all’anno, mezzo punto di Pil. Da noi non ci sono dorsali, tranne alcune piccole, si fa per dire, nel Trentino-Alto Adige. Lì, un sistema di poche centinaia di chilometri di ciclabilità produce indotti economici per oltre 76 milioni di euro all’anno. E questi soldi non vanno nelle tasche di qualche concessionario, ma sono diffusi sul territorio, a sostenere tutte quelle attività di ricettività, culturali, enogastronomiche, sportive e meccaniche che sono a servizio della bicicletta. Stimiamo che si possano generare così 2mila posti di lavoro.
Come hanno reagito gli enti locali che avete incontrato?
Hanno capito che l’infrastrutturazione leggera, che oggi è totalmente assente dall’idea di governo, è invece un asset importante su cui il Paese può investire. E come ci ha piacevolmente a metà della nostra pedalata il ministro ai Beni, le attività culturali e il turismo, Massimo Bray, probabilmente uscire dalla crisi oggi vuol dire uscirne con i pedali, mettendo in moto economie in quelle aree meno interessate dagli investimenti degli ultimi anni. Penso alla valle del Po. “VenTo” corre al suo interno, perché i fiumi sono ambienti straordinari per la ciclabilità (data la pendenza minima), e corre in una sequenza di ambienti dove ci sono già 10mila aziende agricole, tante attività di ristorazione, piccole e medie imprese, stravolte anche dall’assenza di turismo. Durante gli 8 giorni di pedalata abbiamo incontrato solo due cicloturisti, tedeschi peraltro.
Quali sono le principali dorsali su cui investire?
L’Europa ci ha già pensato. Esiste una rete che si chiama “EuroVelo” (www.eurovelo.org), che copre tutte le dorsali ciclistiche, immaginandosi una grande e sicura rete di mobilità ciclabile. Se dovessi suggerire dove realizzare nuove dorsali consiglierei di recuperare quella mappa. Specialmente perché dal 18 dicembre scorso, ciascun Paese può impiegare quota parte dei finanziamenti infrastrutturali europei per le dorsali, il che è una novità. L’asse del Po è infatti un “EuroVelo 8”, poi c’è il rafforzamento dell’asse del Brennero, la via Francigena fino a Roma. Perché non immaginare che i Comuni si facciano motori di una capacità di suscitare economie locali a partire da alcune infrastrutture leggere, capaci di rimettere in linea le migliori risorse di cui l’Italia dispone. —