Opinioni
Decoro + ordine = esclusione
Alfano vorrebbe punire l’accattonaggio, 20 anni dopo che la Corte Costituzionale aveva censurato una legge che considerava “le persone in condizione di povertà come pericolose e colpevoli”. È il segno dei tempi
Quasi vent’anni fa -era il dicembre 1995- la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale la norma del codice penale (articolo 670, primo comma) che puniva con l’arresto fino a tre mesi “chiunque mendica in luogo pubblico o aperto al pubblico”. Durante il mese di marzo il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha annunciato “una legge contro il degrado urbano e sulla sicurezza nelle città” che riporterà nell’ambito della punizione penale il cosiddetto “accattonaggio molesto”. La “riforma” in arrivo è dunque un ritorno al passato: un segno dei tempi che corrono lungo il crinale dei rapporti fra cittadini e istituzioni, specie se i cittadini sono poveri o appartengono a minoranze indesiderate (o, come spesso avviene, entrambe le cose).
Le sentenze della Consulta sono spesso segnali di importanti cambiamenti storici e sociali. E in effetti nel 1995, quando decise di depenalizzare l’accattonaggio – salvo i casi di simulazioni di infermità al fine di indurre pietà o di “mendicità vessatoria”- la Corte fece ampio uso di argomenti d’ordine sociologico. “Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le società più avanzate -scrissero i giudici della Consulta- producono condizioni di estrema emarginazione”, per cui “non si può non cogliere con preoccupata inquietudine l’affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a nascondere la miseria e a considerare le persone in condizione di povertà come pericolose e colpevoli”. I giudici coglievano dunque una trasformazione profonda nel corpo della società.
La norma contro la richiesta di elemosina affondava invece le radici nella dottrina penale ottocentesca, un’epoca nella quale mendicanti e senza tetto erano considerati “devianti”, e destinati, nella migliore delle ipotesi, al confino in istituti ad hoc. Questo approccio, secondo la Corte, era ormai superato e andava anzi ribaltato. A fronte di un’evidente estensione della fascia degli “esclusi” dalla società dei consumi, d si doveva passare alla punizione alla solidarietà e quindi non aveva più alcuna ragione di esistere la sanzione penale per la richiesta di elemosina.
Va detto che la decisione del 1995 seguiva due giudizi -il primo del ‘59, il secondo del ‘75- che avevano dato esito opposto, con il rigetto delle eccezioni di incostituzionalità, tanto che il direttore della Caritas del tempo definì la sentenza “tardiva, doverosa e legittima”.
Passati vent’anni, ecco riemergere la tendenza -per citare la Consulta- “a considerare le persone in condizione di povertà come pericolose e colpevoli”. Un’attitudine ottocentesca, da primo capitalismo industriale, si ripresenta appena aggiornata in una fase di economia globale finanziarizzata. La novità, se così vogliamo considerarla, è la nozione di “accattonaggio molesto”, utilizzata dal ministro Alfano e prima di lui da numerosi sindaci-sceriffo per legittimare l’obiettivo di colpire i poveri senza apparire troppo cattivi. Non si prende di mira la richiesta di elemosina in quanto tale -è la tesi implicita nella definizione- ma solo quello “molesto”, salvo scoprire che qualsiasi forma di accattonaggio può rientrare sotto simile categoria, visto che quello “invasivo” è già disciplinato dal codice penale.
Nella pratica di questi anni e anche nell’idea del ministro di inserire la norma contro la questua nel pacchetto “decoro e sicurezza”, la lotta contro l’accattonaggio “molesto” è stata condotta con ordinanze, transenne e controlli insistenti da parte di vigili urbani, carabinieri e polizia al fine di allontanare dai centri storici e dalle strade principali “l’umanità di scarto” (come la chiama Zygmunt Bauman) della società dei consumi. Ecco il decoro del quale si parla. Sappiamo tutti, e sa bene Alfano, di chi stiamo parlando: principalmente rom, rifugiati, immigrati, ossia categorie di indesiderati per i quali non valgono più le parole spese nel ‘95 dai giudici costituzionali. Come dire: dalla punizione alla solidarietà e ritorno.
Non è un segnale irrilevante, perché fa capire quanto i poteri politici siano assoggettati alla logica dei mercati, che chiedono efficienza, disciplina, sottomissione. Mentre l’economia reale radicalizza le diseguaglianze, le democrazie reali sembrano quindi decise a serrare i ranghi, rifiutando la dimensione della solidarietà e dell’apertura. E se papa Francesco, in controtendenza, chiama a un Giubileo della misericordia, la sociologa Saskia Sassen dice che la nuova parola chiave dell’ordine globale è “espulsione”. —