Esteri / Reportage
Gli affari di Trump nella città senz’anima alle porte di Delhi
Reportage tra i grattacieli di Gurgaon, in India, dove il gruppo del presidente USA sta realizzando un complesso immobiliare di lusso. Un villaggio rurale diventato la terza città per reddito pro capite del Paese. Senza alcuna pianificazione
Dopo le torri di Pune e Mumbai, l’ultima delle Trump Tower sarà eretta a Gurgaon, periferia di Delhi: un complesso di 275 case di lusso per un investimento di mille crore di rupie, 125 milioni di euro. Cinque anni dopo il suo ingresso nel mercato immobiliare indiano, la Trump Organization -business venture che cura le iniziative imprenditoriali e gli investimenti della famiglia Trump- lo scorso gennaio ha lanciato il suo quarto e ultimo progetto residenziale in India. Proprio a Gurgaon -tecnicamente nello Stato dell’Haryana- emblema del vorace sviluppo capitalistico che qui ha trovato terreno fertile.
A far storcere il naso non è solo il conflitto d’interessi, questione che il gruppo Trump ritiene liquidata in quanto, appena divenuto presidente degli Stati Uniti, Donald padre ha ceduto le redini dell’azienda al figlio Donald Jr., mentre gli accordi sono stati tutti conclusi prima della sua elezione. La Ireo, una delle due società immobiliari alle quali la Trump Organization si è appoggiata per i suoi progetti in India dandogli in licenza il marchio, è coinvolta in un buco di 147 milioni di dollari ai danni degli investitori, secondo un’inchiesta del Washington Post. La compagnia è tuttora sotto inchiesta per riciclaggio e acquisizione illecita di terreni. L’altro partner, la M3M, è indagata per corruzione.
A febbraio scorso il primogenito della più nota famiglia d’imprenditori degli Stati Uniti è volato in India per promuovere le torri a marchio Trump di Kolkata, Pune e Mumbai e raddoppiare i propri investimenti con due nuovi progetti residenziali nella capitale. La visita è stata criticata, soprattutto quando è circolata la notizia che agli acquirenti degli appartamenti era stata offerta “una conversazione e una cena” con Trump Jr. in cambio di una tassa di “prenotazione” di 38mila dollari. Il fatturato della vendita dei lussuosi appartamenti si aggira sul miliardo e mezzo di dollari, rendendo l’India uno dei più grossi mercati esteri della Trump Organization, sia per vendite sia per numero di progetti. Da villaggio rurale e polveroso dell’Haryana, oggi Gurgaon è la terza città per reddito pro capite in India, cuore dell’high-tech, della finanza e l’industria, dove schiere di professionisti della nuova borghesia sono fioccati per inseguire l’“Indian Dream” della vita cittadina moderna. Circa 250 delle 500 società nominate dalla rivista Fortune hanno il proprio quartier generale o gli uffici in uno dei grattacieli di Gurgaon, di recente ribattezzata Gurugram, la cui vicinanza a Delhi offre un accesso strategico al centro politico. A livello nazionale la “Millennium City” è il paradigma della modernità ed è stata elevata a modello di sviluppo. Nel suo impetuoso sviluppo, hanno inciso anche lo status di zona economica speciale (Sez) e la liberalizzazione del mercato indiano dei primi anni 90.
Oltre le mura di cinta, i cancelli, il filo spinato e la security, il contrasto con il mondo surreale e ovattato dei condomini è forte. Al tramonto le strade diventano un ingorgo
Ma dietro le facciate degli edifici, dei centri commerciali e le distese verdeggianti dei campi da golf, la realtà dei residenti è fatta di gravi carenze di acqua ed elettricità, inadeguatezza delle infrastrutture, del sistema fognario e dei trasporti, e crescente criminalità fuori le mura dei compound residenziali. L’idea stessa di queste enormi gated society autosufficienti, protette da mura di cinta, è molto lontana da un’idea inclusiva. I nuovi edifici sorgono accanto a quelli più vecchi, colmando gli spazi ancora vuoti e ingoiando il verde urbano. Anche se i prezzi sono cresciuti costantemente, oggi hanno raggiunto un plateau. Le multinazionali continuano a trasferirvisi, quindi continua a esserci domanda.
Dalla fine degli anni 70, quando la Maruti Suzuki ha stabilito i propri uffici a Gurgaon, seguita poi dalla General Electric, molte altre compagnie sono state spinte a seguirle per la disponibilità di soluzioni di outsourcing, IT, e servizi. “Delhi aveva già iniziato a espandersi oltre i propri confini quando nacquero gli embrioni delle città satellite, un modo per aggirare le nuove leggi sull’edilizia che non permettevano ai privati di costruire nel perimetro della capitale”, spiega ad Altreconomia Avinash Srivastava, general manager della DLF, la società immobiliare che vent’anni fa ha acquisito vaste distese di terreno dai contadini a prezzi irrisori, sbaragliando la concorrenza.
I costruttori privati hanno avuto cieco sostegno da parte di politici di tutti gli schieramenti nell’accaparrarsi vaste aree di terreno da sviluppare. Noti sono gli scandali che hanno visto protagonista Robert Vadra, cognato del presidente del Partito del Congresso, Rahul Gandhi, della dinastia politica più influente d’India. O quelli che hanno interessato la prima compagnia di developer di Mumbai, il gruppo Lodha (partner della Trump Organization a Mumbai), del politico Mangal Prabhat Lodha, già segretario del Bharatiya Janata Party, il partito del premier Narendra Modi. Lodha, parafrasando il suo socio in affari americano, ha coniato un sinistro “Make Mumbai great again”. A Gurgaon, tutti gli edifici sono in grado di garantire una copertura elettrica costante solo grazie a generatori diesel autonomi, che rende i mega-condomini della smart city tutt’altro che sostenibili. Anche se i complessi DLF sono all’avanguardia in tema di trattamento e riciclo delle acque reflue, mancano le infrastrutture di base: servizio idrico e fognario, strade, trasporti. “È così che funziona qui -ammette Srivastava- il piano regolatore si fa ex post”. Ma la mano libera finora concessa ai costruttori privati è stata molto ridimensionata.
“Gurgaon è quasi unico nel suo genere: il capitale privato, facilitato dalla cooperazione della sfera pubblica, ha permesso a grosse aziende come DLF di svilupparsi liberamente”, spiega Sanjay Srivastava, docente di sociologia e autore di un saggio sulla città. È stato così per molti anni ma oggi sottopassi e cavalcavia, una metro privata che collega la cybercity -l’hub commerciale di DLF e suo fiore all’occhiello- all’area residenziale e un’autostrada a sei corsie, provano a colmare il vuoto lasciato da anni di sviluppo irrazionale.
Percorrendo i 16 chilometri che separano Delhi da Gurgaon, l’autostrada passa attraverso quartieri sempre più periferici per poi sbucare in una brulla piana da cui si intravede lo skyline, un ammasso di grattacieli che sbucano dal nulla. Ovunque nuovi e sfarzosi complessi abitativi dallo stile neoclassico all’ipermoderno, nuove strade e giganteschi mall in costruzione, rendono la città polverosa e caotica, un cantiere sempre aperto, restituendo un senso di precarietà. Oltre le mura di cinta e i cancelli, oltre il filo spinato e la security, il contrasto con il mondo surreale e ovattato dei condomini privati è forte. Al tramonto, quando gli uffici delle multinazionali si svuotano, un fiume di persone si sposta verso metro, risciò e, i più ricchi, verso auto immacolate con autista. Per due ore, le strade si trasformano un ingorgo. Oltre agli yuppie, migliaia di lavoratori migranti, aiuti domestici e operai non specializzati, che costituiscono la fascia più povera della città, attratti dalle possibilità di lavoro che il neonato centro urbano poteva offrire si sono stabiliti a Gurgaon. La città però non era pronta ad accoglierli. “Gli alloggi a prezzi accessibili sono stati pianificati solo in minima parte -commenta Sanjay Srivastava- qualche caseggiato popolare è stato costruito dai proprietari terrieri nei villaggi che circondano Gurgaon, ma il governo non ha attuato nessun tipo di intervento in materia”.
Il problema è dato anche dall’assenza di un unico ente responsabile: ci sono l’Haryana Urban Development Authority (Huda), i costruttori privati e la più recente Municipal Corporation. Diventa quasi impossibile arrivare a un piano olistico, coerente, per una città che continua a crescere in modo frenetico e irrazionale.
Nel discorso accademico sull’urbanismo, Gurgaon è quindi sommariamente e universalmente liquidata con critiche politiche e di classe. Thomas Oomen, urbanista e teorico dell’architettura che insegna design proprio a Gurgaon, pur condividendo le critiche, tenta un approccio diverso e guarda alla città come un “laboratorio urbano incosciente”, una sorta di “museo dei desideri” di designer e costruttori. “Siamo davanti al capitalismo nella sua forma più pura, un capitalismo clientelare che estromesso lo Stato dai giochi ma i cui attori sono rimasti a un’idea di modernità degli anni 50”.
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