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Opinioni

L’inutile rigore

La Francia non rispetterà il vincolo del pareggio di bilancio. Una scelta che dovrebbe invitare la Germania a rivedere le politiche imposte ai Paesi dell’Unione europea, che si sono rivelate fallimentari per l’area mediterranea dell’UE. Il rischio è che lo squilibrio tra le parti diventi "tanto grande da far implodere l’architettura complessiva dell’Unione Europea" secondo il commento di Alessandro Volpi

L’Europa pare essere sempre più la terra dei rinvii. La decisione del governo francese di rimandare la data del raggiungimento del pareggio di bilancio rappresenta l’ulteriore conferma delle difficoltà in cui è invischiato il modello di Maastricht, ormai davvero insostenibile.
Di fronte ad un quadro in cui sono presenti paesi che hanno già conosciuto costosi interventi di salvataggio, come nel caso di Grecia, Irlanda e Portogallo, e Paesi che hanno rinviato a più riprese il rispetto degli obblighi imposti dal Patto di Stabilità, appare evidente che le politiche del rigore non sono realmente attuabili e, in concreto, sono state adottate solo da alcuni membri dell’Eurozona, tra cui, quasi una rara eccezione, l’Italia.
Alla luce di ciò, è altrettanto palese che per garantire la tenuta dell’euro e per evitare il fallimento di alcuni Stati sia risultato molto più decisivo il “bazooka” di Mario Draghi -tanto da far tremare i mercati alla prima delusione- delle ricette propinate dalla cancelliera Merkel ai membri “mediterranei” della Ue e, in larga misura, inascoltate.
Chi crede veramente che la fiducia nei confronti dell’Italia possa dipendere dall’esistenza di un avanzo primario dei conti pubblici, quando il debito è esploso superando i 2200 miliardi di euro?
Chi può credere che la forza della moneta unica europea rispetto al dollaro possa discendere dal raggiungimento del pareggio di bilancio, imposto in Costituzione, quando la gran parte dei paesi del Vecchio Continente ha deficit ampiamente superiori al 3% del Pil?

La logora esortazione, proveniente da Berlino, che invita i partner europei a fare i compiti a casa, suona decisamente stucchevole e fin quasi inutile. In Francia e in Italia, fare i compiti a casa significa porre in essere una fatica tanto improba quanto improduttiva perché non in grado di centrare mai l’obiettivo, ormai chiaramente anacronistico. Dovrebbe essere semmai la Germania, ora, a cominciare ad esercitare il proprio ruolo perché molte delle criticità che impediscono a Francia, Italia e ad altri Paesi di fare fino in fondo i propri compiti a casa derivano dal gigantesco suprlus commerciale, coltivato negli ultimi anni dalle politiche economiche tedesche.
Se la domanda interna rimane stagnante in terra teutonica e le esportazioni lievitano troppo celermente, la Germania non svolge la necessaria funzione di mercato per le altre aree economiche dell’Europa, aggredite invece dalla concorrenza tedesca. In una zona a moneta unica e con istituzioni politiche comuni, con una medesima banca centrale e con molteplici processi di integrazione già completati, è indispensabile che vengano corrette non solo le distorsioni dipendenti dall’eccessivo indebitamento di alcuni Paesi ma anche quelle legate alla riluttanza da parte dell’economia più forte a fare da traino per le economie con la domanda interna più debole. In estrema sintesi, fare i compiti a casa in Europa, significa prima di tutto che ogni Stato membro deve assolvere alle proprie funzioni di equilibrio generale perché, in caso contrario, i deficit degli Stati più deboli cresceranno così come aumenteranno i suprlus di quelli forti, fino a quando lo squilibrio tra le parti non diverrà tanto grande da far implodere l’architettura complessiva dell’Unione Europea.

Le già ricordate dichiarazioni francesi, che annunciano il rinvio del pareggio, peraltro aggiungono elementi di squilibrio allo squilibrio esistente. Se il mancato rispetto dei vincoli europei tende a diventare un dato ricorrente, allora dovrebbe essere rapidamente formalizzato e reso comune per evitare, su tale versante, una sorta di pericolosa “concorrenza sleale”. Ogni punto di deficit vale per l’Italia circa 16-17 miliardi di euro e se la Francia conserva il suo deficit al 4,3 per questo e per il prossimo anno e la Spagna lo mantiene al 4,2, il rispetto del vincolo del 3% significa per il nostro paese una perdita di competitività rispetto a tali paesi per circa 4-5 miliardi di euro, che avrebbero potuto essere impiegati più utilmente per ridurre il costo del lavoro e per fare investimenti produttivi. Ora più che mai occorre quindi superare la gabbia del Patto di stabilità; il governo italiano in parte lo ha fatto presentando un Documento economico e finanziario in cui i tagli della spending review sono crollati da 15 a 5 miliardi di euro proprio per evitare ulteriori effetti depressivi. Tuttavia quanto quella gabbia pesi ancora emerge dalla ricomparsa nel medesimo Def, a fronte della riduzione dei tagli, di una pesante clausola di salvaguardia, che stabilisce nel 2016 un gravoso, mortale aumento di Iva e imposte dirette per quasi 13 miliardi di euro nel caso in cui la ripresa dell’economia non consentisse un incremento del Pil in grado di avvicinare il deficit allo zero. Per superare i continui rinvii e restituire coesione all’indispensabile Europa, occorre rimuovere il retaggio antistorico di vincoli pensati quando eravamo ammalati di inflazione e di consumi eccessivi.

* Università di Pisa

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