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Ambiente / Opinioni

Se nella Romagna alluvionata la politica chiede il voto su un programma di asfalto e cemento

© Michael Petrila - Unsplash

Realizzare la circonvallazione Nord a Faenza: lo propone Michele De Pascale, già sindaco di Ravenna, candidato alla presidenza dell’Emilia-Romagna per il centro-sinistra. Un’ipotesi paradossale, osserva il prof. Paolo Pileri, in un territorio che deve ancora superare le conseguenze catastrofiche degli eventi estremi che lo hanno colpito e che di tutto ha bisogno fuorché di ulteriore consumo di suolo

Nel programma elettorale del candidato alla presidenza della Regione Emilia-Romagna del centro-sinistra, Michele De Pascale, ho trovato qualcosa di assolutamente anacronistico: “Realizzare la circonvallazione Nord” a Faenza.

Mi spiego meglio. Nel bel mezzo della più grave crisi climatica, nel cuore della Romagna alluvionata due volte in pochissimi mesi (Faenza è stata l’epicentro della crisi), dopo aver consumato la voce per spiegare che la cementificazione impermeabilizza i suoli aumentando di almeno sei volte la permanenza dell’acqua in superficie aggravando i danni al territorio, per che cosa si impegna l’ex sindaco di Ravenna ora candidato alle regionali?

A realizzare una nuova strada di circa sette chilometri per una spesa di quasi 80 milioni di euro. Una strada che va ovviamente ad appesantire il già insostenibile bilancio di consumo del suolo di questa provincia che, ricordo, nel solo 2022 ha cementificato 52 ettari (l’8% del consumo di suolo annuo della Regione).

Ma come è possibile una proposta del genere? Peraltro in una Romagna dove ancora non sono state rimesse a posto le strade e i ponti, i servizi per la quotidianità, le abitazioni, etc. Come è possibile che tutto quel che è successo non abbia insegnato nulla a chi governa e vorrebbe governare una Regione che per due terzi del suo territorio è alluvionabile e/o a rischio frane? 

Forse una ragione la si può trovare nel curriculum cementizio del candidato ed ex sindaco di Ravenna. Nel 2021 il “suo” Comune ha cementificato ben 68,7 ettari (la metà di tutto il consumo di suolo provinciale di allora) diventando la seconda città italiana per consumo di suolo dopo Roma (secondo i dati dell’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale, Ispra).

Un record che forse è la chiave di lettura con la quale possiamo costruirci una ragione del fatto che nel 2024 ci tocca ancora vedere scritto su un volantino elettorale un impegno per realizzare una nuova circonvallazione. Forse è questo l’indizio che ci aiuta a capire?

In ogni caso oggi abbiamo bisogno di altri impegni: a togliere asfalto dalle città, a liberare le piazze dalle auto posteggiate, a piantare alberi là dove si è tolto il cemento, a sostituire l’agricoltura convenzionale e altamente inquinante per i suoli e le acque con agricolture ecologiche, a fermare subito il consumo di suolo, ad aiutare la cittadinanza a usare sempre meno le auto e sempre più mezzi pubblici, a migliorare le scelte alimentari delle persone riducendo impatti e sprechi, al risparmio energetico.

Ci sono migliaia di impegni al posto di quello a fare altro che una circonvallazione di asfalto e cemento (peraltro più o meno parallela a una strada già esistente).

Una strada del genere dà anche l’avvio a futuri consumi di suolo nei terreni attorno per via di appetiti logistici, commerciali e produttivi. Una circonvallazione appesantisce la crisi climatica e può essere perfino letta come un vero e proprio atto di negazionismo climatico, perché questa retorica assume diversi volti, spesso indecifrabili a prima vista. Non solo quello scomposto di chi nega l’evidenza di un clima che abbiamo stravolto, ma anche di chi si ostina a proporre politiche e infrastrutture che devono essere tolte dall’agenda pubblica perché semplicemente insostenibili e non più accettabili.

Mi chiedo che cosa faranno le donne e gli uomini dei partiti e dei movimenti verdi e ambientalisti che stanno sostenendo il candidato De Pascale. Quando si apriranno i cantieri della circonvallazione faranno ricorso? Sarebbe assurdo perché ora lo stanno sostenendo. Che cosa faranno allora? Che cosa dicono le forze ambientaliste alleate davanti a proposte del genere? Diranno come al solito che meglio così che spedire il voto altrove? Questo è il grande argomento che convincerà gli elettori e soprattutto coloro che da anni non vanno a votare? Non credo.

Alcuni giorni fa ero a Genova in un dibattito in occasione della proiezione del docufilm Romagna Tropicale di Pascal Bernhardt (che consiglio ai candidati per capire sé stessi) e avevo davanti a me alcuni giovani adulti ai quali ho chiesto quanto fossero soddisfatti di come vengono disegnate le politiche ambientali dalle attuali e poche forze politiche che se ne occupano.

La risposta non solo è stata negativa, ma mi hanno chiaramente detto che la loro grande delusione è di continuare a registrare l’assenza di proposte radicali tra coloro che si intestano politiche ambientali. La mancanza di idee ecologiche chiare e nette insieme alla continua reiterazione di proposte insostenibili è ciò che contribuisce a tenere distanti i giovani dal voto.

Figuriamoci se le future generazioni possono andare a votare leggendo di un impegno a una circonvallazione in una Regione colpita per ben due volte da alluvioni disastrose. Speriamo di non assistere al teatrino lamentoso di chi, dopo le elezioni, si chiederà -stupito- come mai i giovani non siano andati alle urne. Ecco, abbiamo provato ad anticipare qui una risposta.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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