Ambiente / Approfondimento
Il feudo del cane a sei zampe
Esplosione della raffineria Eni di Sannazzaro. Il nostro racconto dell’impianto della multinazionale e del suo “percorso amministrativo” dell’ottobre 2011
Sannazzaro de’ Burgondi, in provincia di Pavia, è un paese di circa 6mila abitanti alle porte della Lomellina, la terra del riso e dei castelli. Qui le sole torri che svettano alla fine dell’unica strada che porta nel centro cittadino sono quelle della raffineria Eni. Quattordici i pennacchi d’acciaio rivolti verso due cieli. Uno di colore azzurro acceso su campi verdi a grano e papaveri, l’altro di colore bianco spento sui camini dell’impianto di raffinazione. A circa 300 metri di distanza, sulla sinistra, i primi condomini; una barriera in mattoncini rossi a difesa dell’abitato, a tratti inghiottito da 2,3 chilometri quadrati di agglomerato industriale: una vera e propria città, con tante macchine bianche e decine e decine di autobotti di greggio, tra le 20mila che in un anno si vedono transitare.
La produzione non si ferma mai, perché “il petrolio serve per far camminare le macchine e i trattori”, dice un gruppetto di anziani nei pressi della stazione, anche se di trattori per le strade e per le terre ce ne sono pochi. I dieci milioni all’anno di petrolio greggio lavorato -pari a circa 180mila barili al giorno-, i 3,3 milioni di tonnellate all’anno di benzine e i 3,4 milioni di tonnellate all’anno di diesel prodotti sono numeri importanti, che delineano la mappa di un’infrastruttura considerata tra le più efficienti e produttive d’Europa. Dal 1963 ad oggi Sannazzaro, Ferrera Erbognone e altri paesini limitrofi hanno vissuto di questo, e non di agricoltura. Un fazzoletto di Pianura Padana un po’ anomalo che per l’Eni rappresenta un vanto e per gli autoctoni un’opportunità. Gli occupati, tra la raffineria e l’indotto, sono oltre 1.700, almeno 500-600 di Sannazzaro. Stime destinate a salire forse a 2.000 unità di lavoro stagionale, perché l’Eni intende espandersi. Entro la fine del 2012 dovrebbe entrare in funzione, in un’area limitrofa, un nuovo impianto. Si chiama “Est” (Eni Slurry Technology) ed è basato su una tecnologia innovativa -sperimentata e testata dal 2005 presso la raffineria di Taranto- destinata alla conversione in benzine di oli pesanti e bitumi, derivanti dagli attuali processi di raffinazione. Il risultato sarà quello di portare le tonnellate di petrolio lavorato a 11 milioni e cento. Insomma, una nuova raffineria adiacente con una lavorazione da 23mila barili di greggio in più al giorno. In pratica servirà a convertire il “fondo di barile” in carburanti da trasporto (benzine e gasolio), sfruttando il recupero degli scarti di raffinazione, ovvero il bitume. Si produrranno prodotti considerati maggiormente pregiati e più compatibili con l’ambiente. Quasi un eufemismo, che però apre un nuovo scenario, quello della “valorizzazione di risorse non convenzionali, come i greggi extra-pesanti e i bitumi da tar sands”, come si legge sulla scheda del progetto Est, sul sito Eni. L’obiettivo sarà quello di svolgere un ruolo importante nella crescita delle forniture energetiche, magari al servizio di quanto sta avvenendo nel Canada occidentale, con la trasformazione delle sabbie bituminose in prodotti petroliferi. E proprio le sabbie bituminose hanno allertato “l’Airone”, il circolo locale di Legambiente, che per bocca del presidente, Gaspare Amari, parla del nuovo progetto come di una “delle follie fossili maggiori che si conoscano, in forte controtendenza con la politica delle rinnovabili e causa di un considerevole aumento dei livelli di inquinamento già esistenti a Sannazzaro, dove andremmo ad aggiungere altre criticità su terreni dove la falda acquifera limitrofa è inquinata fino a 12-13 metri ed anche oltre”. Quello della bonifica della falda freatica contaminata, all’altezza di tre grosse cisterne dell’impianto di desolforizzazione che sembrano quasi in disuso, è un problema da non sottovalutare considerando l’espansione in atto della raffineria. Una bonifica che però “sta procedendo regolarmente e non comporta nessun tipo di pericolo per le acque destinate ad usi potabili ed irrigui”, rassicura Pierangelo Fazzini, vicesindaco ed assessore all’Ambiente del Comune di Sannazzaro, primo cittadino dal 1990 al 1992 ed ex quadro dirigente Eni. La preoccupazione per l’ampliamento della raffineria sembra toccare solo Gaspare Amari: i cittadini di Sannazzaro, infatti, non parlano o lo fanno malvolentieri. Sono almeno venti anni che non si registra la costituzione di comitati oppositori della raffineria, classificata “Sito industriale a rischio di incidente rilevante”.
Il silenzio è a tratti assordante, tranne la notte tra martedì 4 e mercoledì 5 ottobre, quando un’esplosione cupa -che alcuni inquilini delle palazzine più prossime alla raffineria descrivono “come un aereo vicinissimo ai tetti”- illumina tutto intorno. Una fiammata alta oltre dieci metri, coltri di fumo per oltre un’ora e mezza ed emissioni maleodoranti. Tanta paura e tanta difficoltà, da parte dei vigili del fuoco. “Poteva avere conseguenze più gravi”, confessa un lavoratore preoccupato. Il piano di emergenza interno alla raffineria ha funzionato. Nessuna traccia della sirena che dovrebbe suonare in tutto il paese in caso di incidente, introvabili i libretti informativi pubblicati e distribuiti da Eni in merito al piano di emergenza esterno.
La mattina successiva l’incidente alcuni cittadini raccontano di altri incidenti simili negli anni passati, ma che rientrano nella quotidianità di chi vive vicino una raffineria, “tanto porta lavoro”, anche se precario. Questo è quello che importa, anche se la mattina ti risvegli con le auto cosparse di una patina melmosa, “tanto si lavano”, il cielo opaco, le sostanze immesse in atmosfera dall’impianto potrebbero essere pericolose per la salute. Sostanze immesse nell’aria che fino al 2007 -anno in cui le centraline di monitoraggio sono passate in gestione all’Arpa Lombardia- erano monitorate dall’Eni, per decenni controllore e controllato. E proprio sull’aumento di possibili inquinanti sono concentrate, in parte, le osservazioni all’iter di pronuncia di Compatibilità ambientale del progetto “Est” presentate da parte della Consulta per l’ambiente e la qualità della vita di Sannazzaro, composta da enti e associazioni, quando -in un verbale datato 20 gennaio 2009- viene evidenziata come possibile causa la realizzazione di 3 nuovi camini. La multinazionale di San Donato Milanese tranquillizza, confermando che il nascente impianto è “un esempio d’innovazione tutta italiana”, un modello “capace di trasformare bitumi, oli non convenzionali e greggi extra pesanti in benzina e gasolio” come spiega Giacomo Rispoli, direttore Ricerca e sviluppo tecnologico della divisione Refining&marketing di Eni e responsabile della Tecnologia Est. La spa italiana ha incassato anche il lasciapassare economico della Banca europea degli investimenti con un finanziamento di 500 milioni di euro, in due tranche da 250 milioni entro il 2011.
Il progetto Est è considerato strategico per il “potenziamento delle raffinerie esistenti”, al fine di migliorare la “competitività e di convertire i prodotti petroliferi pesanti ai combustibili di alta qualità”, regolamentato dalla direttiva europea 85/337/CE sulla “valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici”, come motiva la Bei sul portale www.eib.org. Dal punto di vista ambientale, quindi, tutto in linea con le disposizioni comunitarie. Il punto di vista sanitario, invece, è quello di C., che dice di essere uno dei primi operai ad aver lavorato in raffineria, da molti anni in pensione. Non vive a Sannazzaro e “forse non c’ho mai vissuto”. Quando parla al telefono tossisce. Ha un tumore alla laringe. “Le cure vanno bene. Non so se è stata la raffineria, forse era destino”, racconta. Non è dato conoscere quanti altri signor C. ci siano a Sannazzaro. Si sa solo che sono due le indagini sanitarie esistenti, e l’ultima risale al 2003. Entrambe incomplete ed inspiegabilmente interrotte. La prima, avviata nel 2002, scansionava i dati dal 1995 al 2000. Fu Michele Debattista, primo cittadino dal 2000 al 2009, a volerle, interpellando alcuni esperti tra i quali Ermenegildo Zecca, titolare di Igiene ambientale all’Università di Pavia. “Era previsto -conferma il professor Zecca- lo svolgimento di indagini tra di loro connesse: una di tipo igienico-ambientale e l’altra di natura epidemiologica. La prima non ottenne la dovuta autorizzazione e non fu svolta”. La ricerca epidemiologica fu in parte delineata, illustrando una situazione generale in linea con quella della Lombardia, ad eccezione di alcune patologie respiratorie. Lo studio non venne completato: si rendeva necessario entrare in raffineria, esaminare in dettaglio le procedure tecnologiche, i punti di scarico degli eventuali tossici nell’ambiente, ma i ricercatori non visitarono mai l’impianto. A questo punto viene da chiedersi se i risultati epidemiologici sono realmente espressivi del rapporto tra la salute dei cittadini di Sannazzaro e le attività della raffineria. Nessuno ha risposto a questa domanda. Lasciando Sannazzaro si ha l’impressione di aver visitato un feudo, dove “il cane a sei zampe” si è spesso intrecciato con la vita amministrativa. Ne è un esempio Roberto Bolognese: eletto sindaco nel 2009, è mancato nel 2010. Tra vari incarichi, ricoprì quello di Direttore generale del circuito di raffinerie Eni in Italia e all’Estero. —
Cemento-amianto, discarica in progetto
È in progetto una discarica di cemento-amianto, al confine di Sannazzaro ma nel Comune di Ferrera Erbognone. Dove oggi sorge un bosco di pioppi, in prossimità della raffineria Eni, verrebbero raccolte fino a 700mila tonnellate di monorifiuto, circa 240 tonnellate al giorno. Sono i numeri del progetto di smaltimento presentato dalla società Acta srl, per far fronte in parte all’emergenza cemento-amianto della Regione Lombardia, nella quale si contano quantità di manufatti di amianto da smaltire pari a 2,7 milioni di m3, distribuiti su 23.972 edifici privati e su 4.228 edifici pubblici. Il circolo di Legambiente e il Comitato Nuova Sannazzaro sono sul piede di guerra.