Della resistenza e della resa
L’editoriale di Altreconomia di Aprile, ringraziando Roberto Mancini e Dietrich Bonhoffer
Nella splendida pagina che chiude questo numero di Altreconomia, Roberto Mancini svela i meccanismi che ci rendono da un lato insensibili, dall’altro tolleranti verso qualsiasi ingiustizia o sopruso, anche verso noi stessi.
Di fronte a questo odierno e capillare processo di “banalizzazione del male” – come Mancini lo definisce -; di fronte alle macerie – sociali, politiche, economiche – cui assistiamo un po’ sbigottiti, siamo tutti chiamati a una serena e incosciente assunzione di responsabilità.
La serenità sta nel capire che, per sua stessa natura, l’assunzione di responsabilità comprende l’accettazione del fatto che non tutti risponderanno a questa chiamata. Serenamente, dobbiamo infatti abituarci all’idea che la responsabilità non è equa: non tutti, sia pur chiamati, la faranno propria. E il peso di questa quindi – la pazienza, in senso etimologico – graverà su pochi. (Eppure, la pazienza non può essere sacrificio, il quale di solito pretende qualcosa in cambio, un compenso, un regolamento di conti).
L’incoscienza sta invece nel fatto che palese è il fallimento delle persone ragionevoli, le quali, animate dalle migliori intenzioni e misconoscendo ingenuamente la realtà, credono di poter rimettere in piedi l’impalcatura crollata usando un po’ la ragione. Sessantacinque anni fa, il 9 aprile 1945, moriva impiccato nel carcere di Flossembürg il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer, a soli 39 anni. Era stato arrestato due anni prima per aver cospirato per l’assassinio di Hitler, in un attentato poi fallito (la figura di Bonhoeffer meriterebbe ben più memoria di quella di cui siamo capaci).
Del periodo trascorso in carcere ci resta la straordinaria corrispondenza raccolta nel celebre volume Resistenza e resa (in Italia pubblicato da San Paolo): una lezione che tutti dovrebbero ascoltare. “Abbiamo vissuto e pensato troppo nella convizione che sia possibile garantire in precedenza ogni azione vagliando le possibilità, in modo tale che essa poi si compia completamente da sola” scrive nel 1944. “Abbiamo imparato un po’ troppo tardi che l’origine dell’azione non è il pensiero ma la disponibilità alla responsabilità”.
Neanche il nostro è il tempo della teleologia o dell’accettazione. È semmai l’epoca del dubbio, della speranza, della fiducia. E della resistenza. “Mi sono chiesto spesso dove passi il confine tra la necessaria resistenza e l’altrettanto necessaria resa davanti al destino”, scrive ancora nel 1944. “Credo che dobbiamo effettivamente por mano a cose grandi e particolari, e fare però contemporaneamente ciò che è ovvio e necessario in generale; dobbiamo affrontare decisamente il destino e al momento opportuno sottometterci ad esso. (…) I limiti tra resistenza e resa non si possono determinare dunque sul piano dei principi: l’una e l’altra devono essere presenti e assunte con decisione”.
Solo chiedendo responsabilità, solo educando alla responsabilità possiamo guardare – sereni, incoscienti e consapevoli dei rischi – al futuro.