Ambiente
L’Onu e la sostenibilità dei rifiuti nei cementifici
In Messico, nello Stato di Hidalgo, un movimento comunitario blocca l’utilizzo della basura nei forni dell’impianto Cemex. Un progetto ad alto impatto ambientale cui le Nazioni Unite potrebbero riconoscere, però, il diritto a generare "crediti di emissione" di carbonio, da scambiare sul mercato
Era il 20 settembre di un anno fa. La comunità di Huichapan, nello Stato messicano dell’Hidalgo, riuscì in un’impresa che aveva dello storico. Bloccare un progetto della multinazionale cementiera Cemex, che avrebbe bruciato nei forni del cementificio di Huichapan migliaia di tonnellate di rifiuti per produrre energia.
Ma Cemex non solo è una delle principali multinazionali del settore delle costruzioni, con 15 miliardi di dollari di fatturato 2011, oltre 2 miliardi di utili e più di 44mila dipendenti nel mondo. È anche una delle realtà industriali che potrebbero vedersi riconosciuto dalle Nazioni Unite un vantaggio economico non indifferente, grazie alla disponibilità di “crediti di emissione” da scambiare sul mercato del carbonio: alcuni degli impianti dell’impresa, infatti, potrebbero essere riconosciuti all’interno dei Clean Development Mechanisms, e tra questi c’è anche quello di Huichapan, contro cui s’era mossa l’opposizione pacifica del movimento comunitario Ciudadanos Unidos por el Medio Ambiente (CUMA), che lo considerava un attacco alla salubrità e alla qualità ambientale.
A un risultato storico, per la comunità locale, corrisponde però la sordità e il disinteresse dell’impresa: pochi mesi dopo lo stop all’incenerimento dei rifiuti, Cemex ha comunque presentato alle Nazioni Unite (registro CDM) il progetto 8035 intitolato “CEMEX Mexico: Biomass project at Huichapan cement plant” dove si evidenzia come “l’attività del progetto rimpiazzerà parzialmente l’utilizzo di combustibili fossili storicamente consumati nell’impianto di Huicapan con biomasse e rifiuti solidi urbani”.
Insomma, ciò che esce dalla porta grazie alle mobilitazioni delle comunità entra dalla finestra grazie alle Nazioni Unite. “Biomasse e rifiuti solidi urbani” arriverebbero dalla discarica di Bordo Poniente, chiusa nel dicembre del 2011, che con oltre 72 milioni di tonnellate di spazzatura, e uno strato di rifiuti profondo 17 metri, a coprire il fondo di un lago oramai prosciugato di 375 ettari, era stata definita una delle discariche più grandi del mondo, situata a qualche decina di chilometri da una delle megalopoli più popolate al mondo, cioè Città del Messico e la sua area metropolitana, dove vivono oltre 20 milioni di abitanti. Ogni giorno 700 camion trasportavano in quel pozzo apparentemente senza fondo 12.700 tonnellate di rifiuti solidi ed organici, un trasporto dimezzatosi negli ultimi anni proprio per il progressivo esaurimento della disponibilità del sito.
Secondo le autorità messicane, la chiusura di Bordo Poniente avrebbe permesso una gestione diversa del ciclo dei rifiuti, con il tentativo di riciclo dell’organico, di parte della componente secca e il temporaneo conferimento dei rifiuti rimanenti in discariche del circondario.
Obiettivo dichiarato da parte di Marcelo Ebrard Casaubon, fino al dicembre 2012 capo di Governo del Distrito Federal (Df, lo Stato messicano dove risiede Città del Messico), era la diminuzione dell’impatto ambientale del sito, con un decremento di oltre 2 milioni di tonnellate nell’emissione annua di CO2.
Ma come dimostra anche la questione “CDM”, la spazzatura e la sua gestione sono in primo luogo un affare economico. Come ebbe modo di chiarire ai tempi della chiusura del sito Juan Jose Garcia Ochoa, sottosegretario agli Interni del Df, quando rese pubblico il coinvolgimento del gigante Cemex, interessato ad utilizzare 3mila tonnellate al giorno di rifiuti organici per produrre energia. Rimase dietro le quinte l’informazione sul costo per le casse pubbliche, calcolato attorno ai 20 euro a tonnellata.
La conseguenza è stato un debito accumulatosi progressivamente, una crisi igienico sanitaria “conclamata” già agli inizi del 2012, con le strade della capitale invase dai rifiuti e migliaia di persone coinvolte nella raccolta dei rifiuti (i cosiddetti waste-pickers o pepenadores) passate da un guadagno miserrimo che oscillava tra i 39 e i 60 dollari a settimana a zero.
Tutta colpa della mancata programmazione, denunciano diverse realtà della società civile come Carbon Market Watch. Con una scelta che sembra favorire più che il bene collettivo, grandi gruppi privati come il gigante cementiero messicano. E non solo per i soldi che dalle tasche del contribuente finiscono nei conti correnti dell’impresa, ma anche per il sostegno che i mercanti di carbonio potrebbero dare a queste vere e proprie miniere d’oro.
Solo in Messico Cemex ha nove impianti registrati e uno in attesa nel registro CDM, tutti con partner di Gran Bretagna e Irlanda, Paesi "Annex 1". Si tratta di una patente di "sostenibilità ambientale", che viene rilasciato dall’Onu agli inceneritori di rifiuti, in questo caso per la produzione di energia per il funzionamento dei forni nei cementifici. Patente concessa nonostante l’impatto ambientale che questi hanno dal punto di vista del rilascio di sostanza nocive per l’ambiente e per la salute umana.
Ma l’attività di Cemex non si ferma al Messico: ci sono progetti in attesa per impianti simili in Egitto, Colombia, Repubblica Dominicana e Costa Rica. Solo per l’impianto egiziano si parla di una riduzione prevista di 416.528 tonnellate all’anno di CO2, che corrispondono a 81.805 dollari, anche se nel primo periodo di monitoraggio la riduzione accertata è stata di un po’ più della metà. Cemex Egitto ha richiesto di poter aggiungere alle biomasse utilizzate (legnose e provenienti dagli scarti della produzione agricola) anche i rifiuti solidi urbani e gli olii esausti. Il periodo riconosciuto si concluderà il 28 febbraio 2018.
Quale sia il vantaggio per l’ambiente e le comunità per impianti come quelli a Huichapan, in Messico, o in Egitto è da dimostrare, ma i benefici per le casse dell’azienda e per CEMEX International Finance Company e CO2 Global Solutions International S.A., partner del progetto, sono già del tutto evidenti. E hanno la forma di crediti di carbonio da vendere sul mercato.