Ambiente
Doha. I costi del clima
Secondo il Global Climate Risk Index 2013 di Germanwatch le politiche di adattamento non sono più rinviabili: servono risorse per rendere più resilienti i territori a eventi atmosferici sempre più estremi. Da Doha lo sottolinea anche l’IPCC, ma il Green Fund rimane ancora un’utopia e nei vuoti di una politica distratta si inserisce una finanza sempre più vorace.
Pochi giorni prima che le piogge torrenziali colpissero nuovamente Toscana e Liguria e che un tornado di proporzioni statunitensi devastasse Taranto e la Puglia, il centro di ricerca Germanwatch ha diffuso il Global Climate Risk Index 2013 (GCR) che anno dopo anno analizza come gli effetti dei cambiamenti climatici colpiscano le comunità umane e, di conseguenza, quanto stia salendo il prezzo dell’inazione, sotto forma di perdita di Prodotto interno lordo e di vite umane.
Il GCR analizza i dati sia puntualmente (l’ultimo anno messo sotto la lente è il 2011) sia in scala storica, integrando le informazioni degli ultimi 20 anni, in questo caso dal 1992 al 2011. E’ una ricerca da prendere con le pinze, dalle tabelle pubblicate non si possono fare assunzioni sulle tendenze del sistema climatico, ma se non altro si possono dimostrare gli impatti che eventi meteorologici estremi ormai sempre più frequenti hanno sulla vita delle persone.
I vari criteri adottati per le classifiche, dal tasso di mortalità da eventi come alluvioni, tempeste ed onde di calore alla perdita in milioni di dollari rispetto al PIL, non indicano gli effetti assoluti del climate change, ma sono lenti importanti per capire le capacità di adattamento di un territorio, e quindi di resilienza, ai fenomeni climatici.
La prima conclusione è che i Paesi in via di sviluppo e quelli emergenti sono quelli più colpiti dal cambiamento in atto, ma nella lunga lista anche l’Italia fa la sua bella figura. Sulla scala di misurazione dei passati 20 anni, il nostro Paese è 24°. In questa poco fortunata classifica essere tra i primi posti vuol dire avere un "rischio climatico" particolarmente elevato, ed alcuni eventi estremi come l’estate torrida del 2003 (con i decessi conseguenti) hanno contribuito a farci salire nella scaletta.
Non dipende tanto (o soltanto) dall’intensità, ma dalla capacità che il territorio ha di rispondere in modo adeguato. La cementificazione selvaggia, l’imbrigliamento di fiumi e torrenti, il disboscamento di intere colline rendono le nostre città isole di calore torrido durante l’estate, e vere e proprie piscine dove si accumulano i nostri corsi d’acqua, gonfiati da piogge che versano oramai in poche ore la quantità d’acqua che una volta si distribuiva su mesi.
Miliardi di euro di danni, che se non affrontati per tempo non potranno fare altro che salire.
Secondo Rajendra Pachauri, presidente dell‘IPCC, relatore al seminario "Climate Change and Disaster Risk Management", i costi dell’adattamento potrebbero crescere e facilmente toccare il 10% del Prodotto interno lordo mondiale, se non si agisce immediatamente.
Soprattutto perchè sulla base degli scenari proposti dall’IPCC "senza misure addizionali di mitigazione" fenomeni come le giornate estremamente torride, una volta piuttosto rare, secondo Pachauri potrebbero passare "alla fine del 21° secolo da una ogni 20 anni ad una ogni due in molte regioni del globo, eccetto le alte latitudini dell’emisfero settentrionale" dove avrebbero una frequenza di una ogni cinque anni. Tutti dati ed informazioni che saranno l’ossatura del 5° report del Panel intergovernativo (Fifth Assessment Report – AR5) atteso per il 2014, ma che ricordano come la concretezza degli stanziamenti per il Green Climate Fund sia ora più che mai non rinviabile.
Pochi meeting in Corea del Sud, sede del Fondo, per definirne il profilo organizzativo, ma di rispetto degli impegni presi a Cancun (30 miliardi di dollari come fast-track e 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020) durante la 16a COP neanche l’ombra. Con la scusa della parziale operatività del fondo, le risorse non vengono versate.
Ma mentre il pubblico latita, il privato si fa avanti: "il World Economic Forum è lieto di lavorare assieme al segretariato dell’UNFCCC" ha dichiarato Børge Brende, Managing Director del World Economic Forum "per aiutarlo a diffondere documenti e modelli pubblico-privati di successo capaci di sviluppare finanza innovativa per combattere il cambiamento climatico".
Un impegno sotto la campagna "Momentum for change", un’iniziativa che vede la partecipazione della Green Growth Action Alliance che coinvolge più di 50 aziende tra cui le principali compagnie energetiche, istituzioni finanziarie internazionali e banche per mobilizzare investimenti su energia, trasporti ed agricoltura. Dopo Rio+20 la finanziarizzazione della natura vede un ulteriore, sostenuto, passo in avanti.