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Ambiente

Il prezzo di un’economia fossile

Un articolo di due ricercatori statunitensi fa il punto sui costi dell’energia che consumiamo, contabilizzando anche quelli sociali ed ambientali. Ecco che il solare fotovoltaico e l’eolico "onshore" risultano essere quelli più convenienti, rispetto a petrolio, carbone e gas naturale

Date un’occhiata all’ultima bolletta arrivata a casa. O ricordate quanto avete speso per l’ultimo pieno fatto al distributore. E immaginate, solo per un attimo, che cosa significherebbe se quel prezzo fosse solo una parte del costo reale dell’energia che state consumando, il cui costo totale verrà pagato sotto forma di ulteriori tasse nel prossimo futuro da voi, dai vostri figli ed i vostri nipoti.

È quello che suggerisce "The social cost of carbon in U.S. regulatory impact analyses: an introduction and critique", articolo di Laurie T. Johnson e Chris Hope, due studiosi americani della Judge Business School dell’Università di Cambridge, recentemente pubblicato sul Journal of Environmental Studies and Sciences. Secondo la ricerca il Governo degli Stati Uniti avrebbe ampiamente sottostimato i costi sociali dei combustibili fossili, costi che verranno caricati sia sull’attuale generazione che su quelle che verranno.

Ogni anno negli Stati Uniti vengono liberate in atmosfera più di 7 miliardi di tonnellate di CO2 e di altri gas climalteranti. L’agenzia intergovernativa incaricata dal 2009 di monitorare e di dare "un prezzo" all’inquinamento, un’attività necessaria per standardizzare un set di valori utili alle politiche di efficientamento energetico, ha calcolato un costo di circa 21 dollari alla tonnellata che però risulterebbe ampliamente sottostimato, secondo la ricerca recentemente pubblicata. Utilizzando diversi parametri di calcolo, tra cui il tasso di sconto, i costi salirebbero considerevolmente passando a 55 dollari e, in certi casi, persino a 266 dollari a tonnellata. Sono quantità che riassumono i costi sociali, rappresentati non solo dagli effetti del cambiamento climatico su ambiente ed economia, ma anche dai costi delle cure per le malattie polmonari, i giorni di lavoro o di scuola persi per questioni sanitarie dovute all’inquinamento legato ai combustibili fossili.

Sono stati confrontati sette diverse fonti di energia: dal carbone al gas naturale, con e senza CCS (Carbon Capture and Storage, il sequestro della CO2 nel sottosuolo) dal fotovoltaico all’eolico e i risultati ottenuti incorporando i costi sociali all’interno del prezzo dell’energia sono evidenti: il solare fotovoltaico e l’eolico "onshore" risultano essere quelli più convenienti, dando un duro colpo ai combustibili fossili ed ai loro sostenitori. Carbone e gas naturale tornano in corsa solo collegati a sistemi di CCS, ma i costi degli impianti, come hanno dimostrato vari studi, rischiano di essere troppo alti.
Ma quanto siano pesanti i costi del carbone e dei combustibili fossili è cronaca quotidiana. La magistratura brindisina ha appena rinviato a giudizio 13 dirigenti Enel, assieme a due imprenditori locali, per dispersione di polveri di carbone dal nastro trasportatore della centrale Federico II, che ha portato all’inquinamento delle zone circostanti.

La richiesta della Provincia è molto alta: 500 milioni di euro, 54 milioni dei quali serviranno a finanziare il registro tumori, per monitorarne l’incidenza; 75 milioni per riparare il danno ambientale, 20 milioni per le bonifiche, 100 milioni per risarcire il danno all’agricoltura, il cui mercato è crollato dal 2004 al 2010 per 564 milioni di euro.

Questo mentre più a Nord, nel Polesine, il Pubblico ministero ha aggravato la posizione degli imputati al processo collegato alla Centrale ad olio combustibile di Porto Tolle e che vede coinvolti, tra gli altri, l’attuale amministratore delegato di Enel Fulvio Conti e i suoi predecessori Franco Tatò e Paolo Scaroni, oggi amministratore delegato di Eni.
Secondo l’accusa gli indagati non avrebbero messo in atto tutte le azioni necessarie per prevenire l’inquinamento collegato all’utilizzo dell’olio combustibile che, secon do l’Istituto nazionale tumori di Milano, avrebbe provocato patologie respiratorie in un raggio di 25 chilometri dall’impianto.

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