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Opinioni

Che cosa c’insegna ciò che accade in Grecia

Il Paese ellenico è sull’orlo del default, e subisce dall’Europa e dai "mercati" un trattamento che possiamo descrivere tra il paradossale, e il brutale

Tratto da Altreconomia 136 — Marzo 2012

C’è qualcosa di paradossale e brutale in quel che sta accadendo alla Grecia. Il paradosso è che stiamo parlando di uno Stato con un prodotto interno lordo di meno di 240 miliardi di euro, il cui problema è un debito pubblico che supera i 355 miliardi di euro, con un rapporto di quasi il 150%. Il pretesto per le misure che le istituzioni internazionali stanno imponendo al Paese, però, non è il debito in sé, ma il pagamento degli interessi (15 miliardi di euro entro marzo).
Senza minimizzare, si tratta di cifre piuttosto modeste. Niente a che vedere con gli oltre 4mila miliardi di dollari messi in campo per salvare i mercati finanziari per la crisi del 2008. Pochi anche se paragonati alle performance di alcune multinazionali: tanto per fare un esempio, 15 miliardi di euro sono il cash flow di Eni, che nel 2011 ha ottenuto un utile di 6,9 miliardi di euro.
Ecco allora dove sta la brutalità: l’austerità imposta alla Grecia sta facendo sprofondare il Paese in una recessione senza fine. Già oggi i disoccupati ellenici hanno superato il milione, il 19% della popolazione attiva. La crisi greca è esplosa proprio due anni fa, nella primavera del 2010, e oggi ha assunto connotati drammatici. Tagli e licenziamenti erano così necessari?
È ormai chiaro che l’atteggiamento europeo nei confronti della Grecia riflette quello tedesco, la cui intransigenza sa tanto di “punizione” verso un Paese colpevole di non aver tenuto sotto controllo i conti, minacciando la stabilità della zona economica. È certamente vero che la Grecia ha giocato coi numeri, che il livello di evasione era eccessivo e il sistema pensionistico insostenibile, ma è anche il caso di ricordare che molte delle colpe sono di un governo populista sostenuto anche dall’esecutivo tedesco.
Ora dire alla Grecia che uscirà dalla crisi dichiarando il default, uscendo magari dall’euro, e diventando competitiva, ovvero tramutandosi in una piccola Cina del Mediterraneo, è, appunto, brutale.

La vicenda greca è un chiaro monito anche per l’Italia, che affronta problemi simili anche se con maggior certezze, in parte legate alla quantità di debito pubblico detenuto da Germania e Francia. La radice dei guai sta nelle cause che hanno creato questi debiti così elevati e nelle dinamiche che hanno permesso che perdurassero. Ci sono innumerevoli misure che andrebbero messe in campo, a patto però di non considerare questa crisi economico finanziaria come un incidente di percorso, ma come l’indicatore chiaro e lampante del fallimento di un modello, anche europeo. Questo modello ha bisogno di essere profondamente riformato, e alcune misure possono essere indicate.
La prima riforma ovvia è una regolamentazione dei mercati finanziari, che oggi rappresentano un caos ingovernato. Una situazione non accettabile, che va eliminata. Poiché sappiamo che la finanza non è mai disgiunta dall’economia reale, misure come una tassa sulle transazioni finanziarie vanno adottate senza perdere altro tempo. Senza senso sono le repliche di chi invoca come indispensabili adozioni “planetarie”.
In secondo luogo, si deve riportare equilibrio nella distribuzione delle ricchezze, con misure patrimoniali forti e non di facciata. Sullo stesso tema, non sono più accettabili remunerazioni stratosferiche di politici, dirigenti, manager pubblici o privati. Molti di questi lavorano per banche che oggi approfittano della situazione favorevole per rafforzarsi, ignorando le esigenze  dell’economia reale. Finché renderanno conto solo ai propri azionisti, non torneranno a fare il proprio mestiere, che è quello di garantire il diritto al credito. E magari continueranno a puntare su faraonici progetti immobiliari o grandi opere, investendo alla caccia di rendite “fumose” (meglio sarebbe chiamarle “bolle”) i soldi dei correntisti (una cosa analoga tra l’altro vale per molti fondi di investimento e fondi pensione).
Infine, va messa in campo una profonda azione culturale. Due numeri per l’Italia: 60 miliardi di euro di corruzione e il 22% di evasione fiscale. Sono cifre che ci coinvolgono tutti: rigore o non rigore, una volta usciti dalla crisi -e le ossa saranno ben rotte- non potremo far finta di niente. —

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