Ambiente
Il negoziato Durban si trova nelle sabbie. Bituminose.
I negoziati, appena iniziati, rispolverano le vecchie posizioni già conosciute a Copenhagen e a Cancun nelle scorse edizioni della COP. Da una parte i Paesi industrializzati stufi di regole e di impegni, dall’altra i Paesi del Sud che chiedono certezze e responsabilità. Dietro a tutto questo il business-as-usual delle imprese, che parlano bene ma per fare profitti razzolano molto, molto male.
A Durban si tratta. Ma in Canada si estrae. A poco più di una settimana dalla scelta impegnativa di uscire dal Protocollo di Kyoto, Ottawa si trova al centro di un’ulteriore, grave denuncia.
"Le pesanti operazioni di estrazione delle sabbie bituminose portate avanti da Shell e dalle altre grandi multinazionali petrolifere stanno distruggendo la nostra terra e stanno violando i nostri diritti di caccia e pesca" dichiara Daniel T’seleie, membro della Canadian Youth Delegation, un movimento di giovani nativi del Nord del Canada. "Il Canada è complice di questi crimini e di altre violazioni dei diritti umani causate dai combustibili fossili e dal conseguente cambiamento climatico."
Daniel è stato uno degli organizzatori di una serie di azioni concordate e che si sono svolte contemporaneamente il 30 novembre in Gran Bretagna, Canada e Sudafrica, per denunciare la pericolosa politica estrattiva delle compagnie petrolifere, che trovano nei Governi nazionali consenzienti e in un negoziato globale inefficace una strada facile per sviluppare il proprio business.
A Durban, di fronte ad una raffineria della Shell, un presidio di giovani attivisti ha sostenuto la protesta della comunità dell’Athabasca Chipewyan First Nation (ACFN), che ha recentemente annunciato un ricorso contro Shell.
"Ironicamente Durban, oggi sede dei negoziati internazionali, ha lottato contro la raffinerisa Shell che è il simbolo del cambiamento climatico e dell’ingiustizia ambientale" ha dichiarato Bobby Peek, direttore dell’organizzazione sudafricana Groundwork, "Shell si è resa responsabile di crimini contro le comunità locali, dove gli incidenti sono comuni e dove gli oleodotti ormai arrugginiti hanno disperso nell’ambiente più di un milione di litri di petrolio. Siamo nettamente contrari al piano di importare sabbie bituminose in Sudafrica" conclude Bobby "e pretendiamo che Shell possa essere ritenuta responsabile per le sue violazioni contro le comunità".
Tutto questo mentre, all’interno del vertice ufficiale, crescono le pressioni verso i Paesi industrializzati perchè accettino un secondo periodo di impegni, come previsto dal Protocollo di Kyoto. L’Argentina, a nome del G77 e della Cina, ha ricordato come Kyoto debbba essere "preservato e rafforzato, per mantenere il sistema di regole multilaterali legalmente vincolanti che sono state create all’interno della Convenzione Quadro". Secondo il portavoce argentino ogni altra decisione "mettere in dubbio i nostri impegni condivisi sul multilateralismo e sulle azioni necessarie che devono essere intraprese se vogliamo mantenere realistiche le probabilità di contenere l’aumento delle temperature medie" come richiesto dagli scienziati dell’IPCC.
L’Africa "non sarà la tomba del Protocollo di Kyoto" ha rilanciato l’Africa Group, per bocca del delegato del Congo.
La palla passa ora a Paesi industrializzati come Canada, Australia, Giappone che già da Cancun hanno scelto di mettere la parola fine al Protocollo globale. La Conferenza è ancora lunga ed i giochi, almeno per ora, sono ancora tutti aperti.
Il servizio di Al Jazeera su un presidio davanti alla Shell