Opinioni
La minaccia Donald Trump
Una vittoria del candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti su flussi migratori, politica monetaria della Federal Reserve e politiche commerciali Usa potrebbe comportare effetti negativi anche per l’economia italiana e la stabilità globale. L’analisi di Alessandro Volpi
Donald Trump ha stravinto le primarie del Partito repubblicano ed è ufficialmente candidato alla presidenza degli Stati Uniti, peraltro con buone possibilità di successo. Si tratta di uno snodo decisivo della storia mondiale: per la prima volta un outsider, osteggiato persino da una parte dei repubblicani e in grado di inquietare i governi di molti paesi per il suo controverso passato, per le sue posizioni troppo smaccatamente populiste e xenofobe e per la sua evidente bizzarria, potrebbe trovarsi a guidare la più grande potenza mondiale. Le conseguenze di una simile situazione sarebbero, ad una prima analisi, assai significative per l’Europa e anche per il nostro Paese.
1) Il recente G7 ha sottolineato con forza la natura globale del tema delle migrazioni, riconoscendo che lo spostamento delle popolazioni in fuga da guerre, regimi e carestie rappresenta uno degli aspetti cruciali dei prossimi anni. L’Italia è coinvolta in pieno in questo fenomeno con numeri decisamente crescenti; solo per fornire un dato indicativo, nel 2015 i migranti accolti nelle strutture temporanee, nei centri di prima accoglienza e negli hotspot sono stati quasi 104mila e sono già 115mila nei primi cinque mesi del 2016. È drammaticamente cresciuta anche la conta dei morti nel Mediterraneo, in direzione Italia, che è passata da una stima di poco superiore alle 700 vittime nel 2013 alle circa 3mila del 2014 e del 2015. Dal punto di vista geopolitico, l’elemento più rilevante è costituito dalla provenienza dei soggetti che si imbarcano verso la nostra penisola: le nazionalità largamente prevalenti sono quelle della Nigeria, dell’Eritrea, del Gambia, della Somalia, della Costa d’Avorio, della Guinea, del Mali, del Senegal e del Sudan, a cui si aggiungono poi le provenienze dall’Egitto, dalla Siria e da altre parti del Nord Africa e del Medio Oriente. È evidente, quindi, che i flussi hanno origine in zone martoriate da crisi politiche, sociali ed economiche rispetto alle quali sono determinanti le azioni dei grandi player internazionali, a cominciare proprio dagli Stati Uniti. La linee strategiche della politica estera di Trump, per quanto molto caoticamente nebulose, fanno immaginare la ricomparsa di un isolazionismo celebrato al grido di “America first” che non lascia affatto ben sperare. Senza una presa in carico globale della questione delle migrazioni, costruita anche su un impegno finanziario condiviso e sull’adozione di regole commerciali che smettano di trasformare i mercati in giungle, è molto difficile che nei prossimi decenni non avvenga uno spostamento "biblico" di disperati, aggravato dalle sciagurate ipotesi di chiusura dei confini degli stessi degli Stati Uniti. Gli egoismi nazionalistici santificati dal magnate potrebbero davvero essere la fine di qualsiasi logica di equilibrio internazionale, scatenando analoghe strategie di chiusura ad opera di altri soggetti dello scacchiere mondiale, a cominciare dalla Cina.
2) C’è poi una seconda serie di ricadute di carattere più tipicamente economico che l’elezione di Trump potrebbe portare con sé, e che assumono un rilievo decisivo nel caso italiano. Come hanno messo in luce autorevoli analisi recenti, lo 0,8% di crescita dell’economia italiana del 2015 è dipeso per circa tre decimi dalla flessibilità consentita in materia di deficit nei conti pubblici, per una percentuale analoga dai benefici derivanti dalla linea di politica monetaria della Bce e per una porzione non facilmente stimabile dal basso prezzo del petrolio. Una vittoria di Trump determinerebbe probabilmente una strategia della Federal Reserve molto più aggressiva a difesa della moneta americana e renderebbe il mercato americano assai più chiuso e al contempo speculativo, con inevitabili conseguenze sulle scelte dalla Bce che dovrebbe rivedere molte delle sue posizioni di fronte ad una vera e propria guerra delle valute. Nei pochi accenni fatti all’economia, il candidato repubblicano ha richiamato le politiche protezionistiche degli anni Venti, ha minacciato dure sanzioni alle imprese intenzionate a delocalizzare e ha promesso tariffe stellari destinate a bloccare l’accesso delle merci cinesi; in sostanza, nel caso di una sua vittoria si tornerebbe ad un clima economico da guerra fredda che stravolgerebbe gli scenari attuali. In altre parole, la sensibile dipendenza dell’economia italiana dalle variabili internazionali, vista la debolezza dei consumi interni, rende il nostro Paese molto vulnerabile rispetto a un cambiamento di rotta della politica economica americana. Del resto, nella storia economica del nostro Paese l’affermarsi interno e internazionale dei protezionismi non ha mai prodotto risultati positivi.
* Alessandro Volpi, Università di Pisa
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