Ambiente
“Welcome to Italy, Glencore!”
Con interessi dal cibo all’alluminio, la multinazionale svizzera che vorrebbe acquisire lo stabilimento Alcoa di Portovesme è un’impresa multi-funzionale. Che -secondo rapporto di alcune Ong ed inchieste giornalistiche- avrebbe problemi dal Nord al Sud del mondo, dalla tutela dei diritti e dell’ambiente a una certa propensione alla speculazione sul cibo e le altre commodities
Chris Mahoney, direttore del comparto "Food" della multinazionale svizzera Glencore, in un’intervista al quotidiano britannico the Guardian è chiaro come l’acqua di fonte: "In termini di prospettive per il resto dell’anno, il contesto è buono. Prezzi alti, molta volatilità […], molte opportunità di arbitraggio [l’acquisto e la vendita di un bene al fine di trarre profitto dalle differenze di prezzo nei diversi mercati]". Insomma, una delle peggiori siccità che gli Stati Uniti d’America hanno vissuto dal 1930 ad oggi, con il 45% delle coltivazioni di grano e il 35% di soia andate perdute, è un’ottima opportunità di business per la multinazionale svizzera.
Una posizione pesantemente criticata da diversi esponenti della società civile e delle Nazioni Unite, come Concepcion Calpe, chief economist alla Fao, che ha dichiarato come sia giunto "il momento di cambiare le regole e le normative su come operano Glencore ed altre multinazionali come la Monsanto e ADM".
Quanto questa posizione abbia poi dignità di ascolto all’interno delle stanze dell’Onu è lecito dubitarne, considerato come addirittura la questione della fame nel mondo e delle forniture umanitarie sia diventato fonte di business, come è possibile notarlo dai contratti che addirittura il World Food Programme (programma Onu) conclude con le grandi imprese private che offrono forniture all’agenzia delle Nazioni Unite tutt’altro che a poco prezzo, con oltre 7 milioni di dollari di forniture di grano per l’Etiopia od oltre 3 milioni per la Corea del Nord (il totale per Glencore, sempre secondo the Guardian, supererebbe i 75 milioni di dollari). In che modo tutto questo sia nell’alveo di garantire l’accesso al mercato per i produttori più deboli è ancora da capire, ma dopotutto anche questo è partnership pubblico – privato.
In ogni caso, welcome to Glencore, la corporation multifunzionale pronta ad acquisire lo stabilimento Alcoa di Portovesme (CI), con un bello sconto sulla bolletta energetica per i prossimi 15 anni. Il tutto mentre si appresta a diventare uno dei colossi del settore delle hard e delle soft commodities: grazie alla fusione con il colosso minerario Xstrata, Glencore diventererebbe un colosso con oltre 50 miliardi di dollari di capitalizzazione, entrando di diritto tra le prime 100 compagnie quotate nell’FTSE (l’indice azionario delle 100 società più capitalizzate quotate al London Stock Exchange).
Ma le classifiche potrebbero anche essere diverse. Il rapporto "Glencore in the Democratic Republic of Congo: profit before human rights and the environment" diffuso lo scorso aprile dall’Ong svizzera Cisde presenta una serie di violazioni della multinazionale svizzera ai diritti umani e all’ambiente nel Paese africano: condizioni di lavoro al limite della sopravvivenza, discriminazione dei lavoratori locali, straordinari non pagati, licenziamenti senza preavviso ed inquinamento della falde acquifere. Accuse che la multinazionale ha decisamente negato, ma che non ha impedito alla società civile di chiedere ulteriore trasparenza e prove effettive: "Chiediamo che Glencore riconosca l’esistenza di problemi e dica chiaramente come intende risolverli" ha dichiarato Chantal Peyer, autrice della ricerca.
Trasparenza chiesta anche dai media internazionali, come la BBC che in un recente programma di approfondimento, "Panorama: Billionaires Behaving Badly?", ha puntato i riflettori sulle accuse di presunti accordi da 1,8 milioni di dollari che la multinazionale svizzera avrebbe fatto con paramilitari coinvolti nell’uccisione di 10 persone nella zona di El Prado per questioni direttamente collegate alla miniera di carbone di Calenturitas, accuse nettamente smentite dalla Glencore.
Ma i problemi non si presentano solo nel cosiddetto "Sud del mondo". Negli Stati Uniti d’America la Century Aluminium, partecipata al 44% dalla Glencore, e la sua sussidiaria Virgin Islands Alumina Corporation (Vialco) sono state al centro dell’attenzione dei media e delle proteste delle comunità locali per violazioni a normative ambientali e per contaminazione delle falde acquifere.