Ambiente
Tra Onu e Wto finisce a cibo in faccia
Il direttore della Wto Pascal Lamy ha deciso di rendere pubblica una sua lettera di scontento contro il rapporteur del diritto al cibo delle Nazioni Unite Olivier De Schutter, reo di aver accusato l’organizzazione e le sue regole di aggravare la crisi alimentare globale
Chi avrebbe mai creduto, alla vigilia dell’Ottava ministeriale della Wto, che tra Wto e Nazioni Unite sarebbe scoppiata una zuffa pubblica dai toni inediti sulla sicurezza alimentare? Il tema demodé come l’agricoltura è stato ripescato nel G8 dell’Aquila tra le priorità politiche globali da Grandi in cerca di credibilità tra le macerie, fisiche e metafisiche, di un sistema di affari corrotto e autolesionista. Da quei giorni, di G8 in G20, di vertice in vernissage, tutti i leaders globali hanno fatto a gara per mettere le mani su uno dei grandi affari del secolo: come vendere a più caro prezzo il pane quotidiano a una popolazione globale in rapida espansione.
Ora che, però, le risorse scarseggiano, il clima cambia, la fame rovescia rivoluzioni in piazza e il commercio globale rallenta perché le comunità cominciano a tenersi stretta l’opportunità di produrre e mangiare in autonomia, il re bottegaio sembra sempre più nudo e, quando fa la voce grossa con chi ha dalla sua la ragione dei dati evidenti, non può che avere la peggio. Ed è così che, ancor prima che l’Ottavo vertice iniziasse, nella sorpresa generale, il direttore della Wto Pascal Lamy ha deciso di rendere pubblica una sua lettera di scontento contro il rapporteur del diritto al cibo delle Nazioni Unite Olivier De Schutter, reo di aver accusato l’organizzazione e le sue regole di aggravare la crisi alimentare globale. ”Sono radicalmente contrario alla sua affermazione che gli Stati devono limitare la loro dipendenza dal mercato globale per raggiungere la propria sicurezza alimentare” obietta Lamy. Oppone, in polemica risposta, un’altro organismo delle Nazioni Unite, la task force di Alto Livello creata da Ban Ki Moon, da sempre sotto accusa dai movimenti contadini per i legami diretti di molti suoi membri con l’agrobusiness. Un organismo che, spesso a braccetto con la Banca Mondiale, sostiene infatti che “un mercato globale piu’ liberalizzato contribuisce alla sicurezza alimentare rendendo il cibo piu’ disponibile”. L’appartenenza alla Wto, segnala in sintesi Lamy, costringe i Paesi membri a monitorare i prezzi e gli eventuali sbilanciamenti con maggior attenzione, e questo contribuisce in misura determinante a mitigare gli effetti della crisi alimentare. L’idea di portare, dunque, l’agricoltura fuori dalla Wto e piu’ vicina ai percorsi Onu delle agenzie romane (soprattutto Ifad e Fao) tratteggiata nell’ipotesi di de Schutter, e’ respinta al mittente: ”non sono convinto – dice Lamy – del bisogno di creare nuovi processi per discutere e valutare la sicurezza alimentare e il commercio”. Non contento della poca risonanza mediatica raggiunta, Lamy ieri rilancia e organizza per la stampa un briefing dedicato in cui fa spiegare dal direttore della Divisione Agricoltura Clemens Boonekamp che ”quello che de Schutter considera sicurezza alimentare e’ l’autosuffienza dei singoli Paesi. Ma se essi sono chiamati a a garantire, all’interno degli accordi che hanno condiviso con altri Paesi, la disponibilita’ di cibo a tutti i loro cittadini, devono poter contare sul commercio per procurarselo e renderlo piu’ facile e’ esattamente il compito della Wto”. Boonekamp ha richiamato dati Fao, che confermano la crescita del numero degli affamati nel mondo a un miliardo, e la responsabilita’ di perdita del 25% del cibo disponibile a causa di incapacita’ commerciali e infrastrutturali nel sud del mondo. ”Il commercio non e’ il proiettile d’argento che risolve tutto, ma e’ parte delle soluzioni, non il problema come sostiene De Schutter”.
Alla fine della seconda giornata di lavori della Ministeriale dell’Organizzazione mondiale del Commercio a Ginevra, la risposta del relatore speciale sul Cibo delle Nazioni Unite Oliviers De Schutter alle critiche mosse contro di lui come ”nemico della Wto” e’ arrivata e molto chiara: la Wto sta difendendo un’agenda obsoleta rispetto al tema delle sicurezza alimentare. ”La globalizzazione crea grandi vincitori e grandi sconfitti. Ma quando si parla di sistemi alimentari, perdere significa cadere nella poverta’ e nella fame. Una visione della sicurezza alimentare che divide i Paesi tra importatori ed esportatori, e tra vincitori e vinti semplicemente non puo’ essere accettata”, sottolinea De Schutter. L’impatto delle leggi commerciali non puo’ essere considerato solo a livello degli Stati. Deve tener conto di quello che davvero determina la sicurezza alimentare: ”chi produce per chi – spiega – a quale prezzo, e con quali ripercussioni economiche, sociali ed ambientali. Il diritto al cibo on e’ una merce e dobbiamo smettere di trattarlo cosi”’. Quello che il rapporteur condivide con il direttore generale della Wto Pascal Lamy che lo ha criticato e’ che la sicurezza alimentare e’ un obiettivo politico fondamentale per i Governi, e per questo saluta con apprezzamento la possibilita’ di presentare ai membri della Wto i risultati della propria ricerca. Ma la corretta premessa per far partire questo dialogo e’ il riconoscimento da parte di tutti che affidarsi eccessivamente al commercio e’ un pericolo per i Paesi poveri. E che bisognerebbe misurare la compatibilita’ delle regole con i diritti umani.
L’aumento della spesa per il cibo dei Paesi piu’ poveri di sei volte tra il 1992 e il 2008 e’ la miglior prova che la popolazione vulnerabile, in realta’, e’ stata consegnata a una poverta’ e fame endemiche. Le importazioni contano per circa il 25% del loro pasto quotidiano e piu’ si affidano alle importazioni, meno investono nella loro agricoltura, e meno sostengono i loro contadini, piu’ si devono affidare al commercio ed essere soggetti alla volatilita’ dei prezzi. Se, al contrario, supportiamo i produttori piu’ piccoli, i piu’ poveri dei poveri, li possiamo portare direttamente fuori dalla poverta’, sostenere la produzione locale e dar da mangiare alle loro comunita’. Non c’e’ dunque, secondo De Schutter, nessun motivo per impedire agli Stati nazionali, come fa la Wto, di investire a livello nazionale e proteggere i propri piccoli produttori. ”E’ fastidioso – ha concluso De Schutter – che quando anche i G20 riconoscono che i paesi poveri devono essere aiutati sempre piu’ nel futuro non a mangiare ma a sfamare se stessi, la Wto continua a combattere le stesse battaglie del passato”. E al re bottegaio, scopertosi canuto oltre che nudo, si addice a questo punto un maestoso silenzio.