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Ambiente

Ricordando Michele

La drammatica morte di un operaio nello stabilimento dell’acqua Vera riporta l’attenzione sul tema della sicurezza nell’industria dell’imbottigliamento Michele Zoccarato è morto di lavoro. All’alba del 15 aprile, alla fine di un turno di notte, è rimasto schiacciato da una…

Tratto da Altreconomia 128 — Giugno 2011

La drammatica morte di un operaio nello stabilimento dell’acqua Vera riporta l’attenzione sul tema della sicurezza nell’industria dell’imbottigliamento

Michele Zoccarato è morto di lavoro. All’alba del 15 aprile, alla fine di un turno di notte, è rimasto schiacciato da una gabbia. La macchina che l’ha ucciso serve ad impilare sui pallet i faldoni da 6 bottiglie di acque minerale. L’operaio Michele Zoccarato, infatti, lavorava nello stabilimento dell’acqua Vera, a San Giorgio in Bosco (Padova).
Era, cioè, dipendente di Nestlé Waters Italia, una multinazionale che controlla 8 marchi di acque in bottiglia, 7 di bibite ed è il primo produttore di “minerale” nel Paese (vedi il libro Imbrocchiamola!, Altreconomia, 2011). Di una società del gruppo Nestlé, che poche settimane prima aveva annunciato i risultati per il 2010, chiuso in crescita con un fatturato di 109,7 miliardi di franchi svizzeri (oltre 87 miliardi di euro) e utili per 34,2 (pari a 27,1 miliardi du euro). Eppure, nonostante sia avvenuta nel giorno in cui, per la prima volta, una sentenza ha riconosciuto colpevole di omicidio volontario l’amministratore delegato di un’azienda, la Thyssenkrupp Italia, per la morte di sette operai (nel rogo del 6 dicembre 2007), la morte di Michele Zoccarato nello stabilimento Nestlé di San Giorgio in Bosco è rimasta confinata alla cronache locali. Come se questa “morte bianca” fosse una “notizia” solo per i lettori de Il Mattino di Padova e del Corriere del Veneto. È stata Irene Barichello, un’amica di Michele, a sollevare il velo su questa storia, raccontando Michele (non solo l’incidente) in una lettera al quotidiano l’Unità. Irene, trent’anni, è presidente della sezione Anpi di Limena (Pd). Anche Michele era iscritto.
La lettera è diretta alla Cgil (di cui Zoccarato era un dirigente, componente del direttivo principale del Flai, la Federazione dei lavoratori dell’agroindustria) e alla sua segreteria Susanna Camusso. “Chissà, segretario, se si ricorda di Michele, di quel primo maggio a Portella della Ginestra organizzato dall’Anpi e dalla Cgil. Michele era iscritto ad entrambe le associazioni, era rappresentante sindacale all’acqua Vera, dove lavorava, dove è morto sotto una pressa venerdì mattina, il 15 aprile, alle cinque di mattina circa. Meno di un’ora e avrebbe finito il suo turno. Meno di un anno fa, all’Albero di Falcone a Palermo mi chiese una foto con lei, Susanna, [che] non era ancora diventata segretario della Cgil. Michele non avrebbe dovuto morire -spiega Irene-, ma non solo perché a 49 anni non è il momento, non solo perché su 330 lavoratori ne erano rimasti 220 causa licenziamenti a fare la stessa produzione, non solo perché i turni sono massacranti, non solo perché in quel reparto non avrebbe dovuto essere da solo (si sono accorti dell’incidente quanto all’inizio della catena le bottiglie cominciavano a ingorgarsi…). Sa Susanna, l’avevo visto la sera prima a una conferenza sulla storia del Risorgimento promossa dall’Anpi -se i turni glielo consentivano non perdeva nessuno di questi appuntamenti- ci siamo lasciati alle 19, con la promessa che ci saremmo presto rivisti per guardare le foto del suo ultimo viaggio in Israele. Poi ci siamo salutati, andava a casa perché alle 22 inizia il suo turno. Quello che non ha mai finito”. “Facciamo qualcosa, Susanna” conclude Irene. Andrea Gambillara, segretario padovano della Flai-Cgil e amico di Michele, conferma ad Ae le parole di Irene: “Quel macchinario era in linea da 25 anni. Aveva due movimenti, uno orizzontale, con un braccio per spingere i faldoni, e uno verticale.
Il blocco automatico, in caso di presenze estranee, scattava solo per il primo”. E così Michele è morto sotto la gabbia, che veniva attivata da una fotocellula: “Se l’operatore lavora sulla parte posteriore della macchina, può intercettarla”. Probabilmente è successo questo, intorno alle 4.30 di venerdì 15 aprile: Michele si è sporto a causa di un faldone mal posizionato. La macchina l’ha “visto”, e la gabbia è scesa. “Lo Spisal (Servizio igiene sicurezza ambienti di lavoro, ndr) è intervenuto immediatamente -racconta Gambillara-. Il verbale è stao consegnato alle procure. Il responsabile dello stabilimento è stato iscritto nel registro degli indagati. È stata fatta l’autopsia, ma il risultato non è ancora a conoscenza delle parti”. Potrebbe stabilire, ad esempio, se Michele è morto sul colpo. L’incidente è stato scoperto dopo le 4.30; l’ultimo controllo era avvenuto alle 4.20. “Per regolamento, il caposquadra deve verificare il funzionamento dell’impianto ogni mezz’ora -spiega Gambillara-. Ma su quella linea 5, che imbottiglia bibite, dove fino a cinque anni fa si lavorava in quattro, oggi gli operai sono solo 3, due operatori fissi ed uno che gira. In ogni caso, lontananza e rumorosità rendono ognuno solo”.
Lunedì 18 aprile a San Giorgio in Bosco c’è stato uno sciopero. L’azienda avrebbe voluto ripartire subito, la Cgil ha contestato che in linea ci fosse un altro impianto identico a quello che ha causato la morte dell’operaio (che è sotto sequestro). “È stato chiuso, non era possibile lavorare in sicurezza” commenta Gambillara. Che ricorda: “Quella notte erano in 3, ma i primi tre turni della settimana Michele li aveva coperti con un solo collega. Lunedì, martedì e mercoledì sera un collega malato non si era presentato al lavoro, ma non è stato sostituito”. Anche se, racconta il sindacalista, “all’acqua Vera vige il ‘contratto di solidarietà’, che consiste nel fatto che 32 persone sono a casa a rotazione. È stato istituito nel 2009, per scongiurare i licenziamenti annunciati da Nestlé Italia, 278 in tutta Italia dei quali 85 a Padova. Oggi l’azienda continua a dichiarare 50 esuberi”. A nostra domanda specifica (“all’interno dello stabilimento vige da oltre un anno un ‘regime di solidarietà’; una trentina di dipendenti, cioè, sono a casa e non lavorano. Nel corso dell’ultima settimana prima dell’incidente, però, sul turno di notte in cui era impegnato Zoccarato sono stati impiegati per tre giorni due operai invece di tre. Perché l’azienda non ha richiesto di sostituire il dipendente in malattia con uno di quelli in regime di solidarietà?”), Nestlé ha risposto in questo modo: “In merito, invece, alle tematiche di carattere sindacale che hanno coinvolto lo stabilimento di San Giorgio in Bosco, l’Azienda intende precisare che nell’aprile 2009, in un contesto di difficoltà indotta dalla crisi economico-finanziaria mondiale e dalla contrazione dell’intero mercato delle acque minerali in Italia, che perdura tuttora, ha siglato un accordo, con le organizzazioni sindacali di categoria, per il rilancio dello stabilimento”. Valutazioni che Gambillara non condivide: “Nel 2010, Nestlé ha chiuso un bilancio positivo, ma la distribuzione dei diversi marchi è stata decisa a monte. Nella logica di una multinazionale si decide d’investire su un marchio piuttosto che su un altro, a prescindere dal fattore lavoro. Che si decida a Ginevra che i costi devono essere contenuti, posso ancora capirlo. Ma devo riuscire a far capire loro che dall’altra parte c’è un limite anche fisico oltre il quale non è ragionevole andare. Perché si rischia la vita”. Gambillara contesta la strategia azienda: l’acquisto di Vera Santa Rosalia, in Sicilia, ad esempio, dove l’azienda ha dirottato in pochi anni almeno 300 milioni di bottiglie prima prodotte a San Giorgio in Bosco: “Come sindacato, durante la trattative in merito al canone di concessione, abbiamo lavorato affinché non fossero eccessivamente gravosi (è la trattativa che ha dimezzato il canone, da 3 euro a 1,5 per metro cubo, per il triennio 2010-2012, ndr). In cambio, ci è stato assicurato un riconoscimento di tipo occupazionale. Ma la situazione che viviamo merita un chiarimento. Secondo loro l’accordo è rispettato: ‘Non abbiamo licenziato nessuno’, affermano. È vero: c’è una mobilità controllata, ma continuano a dichiarare 50 esuberi. Quando la Regione dovrà fare una valutazione a consuntivo -spiega Gambillara-, dovremo guardare oltre le dichiarazioni. E misurare i risultati. Se siamo tre intorno al tavolo, ognuno deve mettere un tassello. Se qualcuno sceglie di delocalizzare, di abbandonare un marchio, il suo tassello manca”.

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