Opinioni
Responsabilità o controllo
Chiedendo che i magistrati “paghino” per i loro errori, i parlamentari italiani puntano a limitare l’indipendenza di uno dei tre poteri dello Stato. Ce lo spiega la Corte Suprema Usa
Nel dibattito sulla responsabilità civile dei giudici la magistratura è sola a difendere non l’impunità di casta, ma un valore. Perché il “privilegio” dell’esenzione dalla responsabilità diretta in caso di errore, che assiste chi svolge il lavoro giudiziario (in alcuni sistemi non solo il giudice e l’accusatore, ma anche il cancelliere), è basato su un principio riconosciuto fin dagli albori dello Stato moderno: la ragione è la peculiarità della funzione giudiziaria, la cui essenza è la libertà da interferenze e condizionamenti, anche solo indiretti, come quelli causati dal timore di incorrere in errore o di essere ricattati da una parte cui si sia dato torto. Non è giustizia quella che assicura solo le decisioni più comode. Per questo, tutti i Paesi di tradizione anglosassone garantiscono a giudici e pubblici ministeri addirittura la totale immunità per i loro atti. Nel panorama delle legislazioni mondiali, il sistema italiano è già fra quelli che prevedono con maggiore ampiezza la responsabilità civile del giudice. Una responsabilità limitata ai casi di dolo o colpa grave, in cui chi agisce nei confronti del magistrato è lo Stato, a titolo di rivalsa. In sede parlamentare si è sostenuto, mentendo, che la Corte di Giustizia europea aveva statuito l’obbligo di prevedere una responsabilità diretta del giudice. La Corte, invece, aveva imposto una più ampia responsabilità dello Stato e non dei singoli magistrati. È singolare che, mentre qui è eccitata a dismisura l’opinione pubblica, negli Stati Uniti d’America la Corte Suprema ha da poco frustrato anche un tentativo di restringere il principio della totale immunità ivi vigente. Il caso riguardava il Procuratore di New Orleans, accusato di aver nascosto al difensore una prova del Dna che avrebbe scagionato un condannato alla pena capitale in attesa di esecuzione da 14 anni. Dopo la scarcerazione, il condannato aveva citato in giudizio il procuratore capo, sostenendone la responsabilità civile per non aver adeguatamente istruito i suoi sostituti circa i loro doveri di correttezza professionale. Il giudice gli aveva dato ragione, riconoscendo un risarcimento di 14 milioni di dollari. Nel marzo 2011 la Corte Suprema ha ribaltato il giudizio, osservando che il procuratore capo poteva ragionevolmente confidare nell’efficacia dei meccanismi di responsabilità disciplinare, da soli sufficienti a prevenire le violazioni. Si noti che il procuratore e i suoi sostituti, nel giudizio civile, ammisero di non conoscere bene le regole di procedura, e il procuratore di non essersi più aggiornato da quando aveva assunto il suo incarico. Uno studio dell’Università di Yale, diffuso dal New York Times, ha dimostrato quanto poco efficiente sia anche il sistema disciplinare, e come la responsabilità dei procuratori rimanga un mito.
Ancora, a gennaio 2012 i giudici della Corte Suprema hanno annullato una condanna a causa di gravi irregolarità commesse da un procuratore, ed è emerso che negli ultimi anni in quello stesso ufficio si erano verificati ben 28 casi analoghi. Alla contestazione che un così alto numero di condanne era stato inquinato da comportamenti scorretti, il procuratore non li ha negati, ma si è limitato a dire che non si trattava di 28 ma “solo” di 13 casi. In Italia non si registrano casi così eclatanti e ripetuti, né gli errori giudiziari sono più frequenti che altrove, eppure il tema della responsabilità dei magistrati è costantemente riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica, forse perché il fine che si persegue non è quello di reprimere e prevenire colpevoli errori, ma quello di offrire strumenti utili a intimorire e “tenere in scacco” chi esercita una funzione giudiziaria. Lo Stato italiano, che ha a cuore le vittime di possibili errori giudiziari, non ha ancora risarcito le vittime della scuola Diaz e si è affrettato ad approvare una legge che in caso di condanna preserverebbe dalla rivalsa funzionari e agenti imputati. La magistratura non gode di altrettanta protezione, ma è una fortuna: vuol dire che ha fatto il suo mestiere, sebbene costanti attacchi rischino di fiaccarne l’impegno. La Corte Suprema Usa ha idee più chiare: alla base dell’immunità del procuratore sta “la preoccupazione che la molestia di denunce infondate possa deviare energie dall’adempimento dei suoi doveri pubblici e la possibilità che egli sfumi le sue decisioni invece di esercitare l’indipendenza di giudizio richiesta dalla sua pubblica responsabilità”. —