Missioni di pace?
S’intitola “Perché in Parlamento” l’intervista a Sabina Siniscalchi, ex segretario nazionale di Mani Tese, recentemente eletta alla Camera dei deputati.
L’intervista è pubblicata su Altreconomia di luglio (che trovate nelle Botteghe del commercio equo) ma qui potete leggerne uno stralcio, dedicato a un argomento di attualità, il rifinanziamento delle missioni militari all’estro, in particolare quella in Afghanistan.
Otto minuti, la prima volta in aula, ed è “come per gli esami all’università: quando sei lì ti ricordi tutto e hai la lucidità necessaria”. Sabina Siniscalchi, neoletta per Rifondazione comunista, non ha dovuto aspettare neanche un giorno per l’esordio alla Camera.
A lei è toccato, al momento del voto di fiducia, l’intervento in aula a nome del suo gruppo parlamentare sulla politica estera del governo. Sabina è stata per 13 anni, fino al 2003, segretario nazionale di Mani Tese e in questa veste ha collaborato con alcune delle campagne civili più significative di questi anni: la mobilitazione per la messa al bando delle mine antiuomo (che nel 1997 ha vinto il premio Nobel per la pace), quella per la cancellazione del debito estero dei Paesi poveri, la campagna “Acquisti trasparenti” per la responsabilità delle imprese, quella contro il lavoro minorile.
Ma, soprattutto, con Mani Tese si è fatta le ossa nei progetti di cooperazione Nord/Sud e nell’abitudine a pensare i temi della giustizia e della solidarietà internazionale in termini “politici”: il ruolo delle grandi istituzioni internazionali, dall’Onu alla Banca mondiale, il peso delle organizzazioni non governative, le scelte di politica economica.
Sì, bisogna riconoscerlo: non è strano che, come dice lei, “alla sua età (54 anni), con la sua esperienza”, ora sieda in Parlamento e abbia scelto la Commissione Esteri della Camera per il lavoro più “quotidiano”. Ma per il mondo nel quale per tanti anni si è spesa -la cooperazione internazionale, la Rete Lilliput, l’associazionismo, insomma quella che chiamiamo “società civile” (fino alle elezioni è stata direttore della Fondazione Banca Etica, ora è in aspettativa)- questo passaggio non è indolore, qualche volta addirittura viene guardato come un tradimento.
Critiche?
“No, anzi, ho ricevuto molto sostegno”.
Ma perché candidarti?
“Per continuare a fare quello che ho sempre fatto nella mia vita: contribuire a costruire rapporti di maggiore giustizia, prevenire i conflitti, garantire una presenza e un ruolo dei Paesi del Sud del mondo. La politica, la gestione della cosa pubblica è stato un tema sotteso a tutte le mie scelte. Ho accettato di candidarmi proprio perché il programma di politica estera dell’Unione è un buon programma e perché, pur guardando con un po’ di diffidenza alle istituzioni -nonostante le pressioni e gli sforzi profusi per influenzarne le decisioni in questi anni i risultati sono stati minimi-, ho sempre pensato che il ruolo delle istituzioni fosse fondamentale proprio per gli obiettivi che abbiamo perseguito. Non possiamo farne a meno”.
Ti occuperai molto di politica estera e di qui passa una delle possibili “fratture di faglia” di questa maggioranza: Iraq, Afghanistan, Iran… Come vedi la situazione?
“15 giorni dopo l’inizio dei lavori parlamentari ho partecipato a una riunione della Tavola della pace a Riccione e ho esordito leggendo brani del programma: in interi passaggi si può dire che sono state recepite le istanze e addirittura ripreso il linguaggio della società civile. L’Iraq è una questione che si va a chiudere, diverso invece il discorso per il rifinanziamento della missione in Afghanistan e delle altre missioni. In particolare l’Afghanistan, non so se per scelta o per dimenticanza, non c’è nel programma elettorale dell’Unione e quindi ora abbiamo la difficoltà di trovare una posizione comune senza avere un testo di riferimento condiviso.
Come Commissione esteri abbiamo già chiesto al governo la possibilità di votare separatamente il rifinanziamento delle singole missioni: ognuna ha bisogno di una valutazione ad hoc. Come si fa a mettere insieme il Kossovo e la Somalia? Come si fa a decidere in una materia così delicata se non c’è la possibilità di approfondire, di darsi obiettivi diversi per le diverse realtà? Sono convinta che gran parte dei parlamentari che in aula dovranno votare il ‘pacchetto’ non sanno neppure tutti i Paesi nei quali il nostro esercito è coinvolto.
Ma il vero problema è che siamo immersi in una vera e propria retorica a favore dell’esercito, per cui ogni dichiarazione, ogni espressione che non sia a favore delle forze militari non ha diritto di cittadinanza: la realtà militare è intoccabile, indiscutibile. Il caso Menapace (le sue dichiarazioni sulle ‘Frecce tricolori’ che sono state il pretesto per negarle la presidenza della Commissione Difesa, ndr) insegna. C’è poi un altro terreno importante su cui le visioni nella maggioranza sono diverse, le scelte di politica economica: c’è ancora chi sostiene la politica dei due tempi (prima il risanamento poi la redistribuzione) e chi, come Rifondazione dice che i due tempi devono andare almeno insieme. Si tenga presente che il programma dell’Unione smentisce la politica dei due tempi”. […]
(l’intervista integrale su Altreconomia 74, luglio/agosto 2006)