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Opinioni

Ministro, che c’entra Eni con la cooperazione internazionale?

Riceviamo e pubblichiamo volentieri due commenti riguardanti il Forum sulla cooperazione internazionale, organizzato dal ministero di Andrea Riccardi e sponsorizzato dalla multinazionale italiana del petrolio (a Milano l’1 e il 2 ottobre).
Il primo è di Alessandro Franceschini, presidente di Agices (l’Assemblea generale del commercio equo e solidale italiano), il secondo di Antonio Tricarico di Re:Common

Come movimento del commercio equo e solidale siamo molto critici di fronte alle sponsorizzazioni che sostengono il Forum sulla cooperazione internazionale dell’1 e 2 ottobre a Milano. A nostro avviso la scelta degli sponsor di una manifestazione nazionale sulla Cooperazione italiana non è neutra o priva di conseguenze: ci chiediamo allora quale sia il modello di Cooperazione che il nostro Paese vuole portare avanti da ora in poi.
Le organizzazioni del commercio equo e solidale italiano da 30 anni puntano ogni giorno su una cooperazione che nasce dal basso: sulla collaborazione tra cittadini dei vari paesi, su progetti di co responsabilizzazione slegati da grandi interessi industriali e finanziari, su relazioni di lungo periodo che non perseguono scopo di lucro. Assistiamo con interesse al tentativo del nuovo ministero alla Cooperazione di riportare il dibattito sul tema della Cooperazione internazionale, ma proprio per questo ci aspettiamo di veder tutti gli attori convergere con coerenza su un modello che abbia come primo obbiettivo il rispetto delle persone e dell’ambiente.

Alessandro Franceschini, presidente di Agices

Da alcuni giorni sul programma del Forum sulla cooperazione che si terrà il 1 e il 2 ottobre a Milano campeggiano gli sponsor dell’iniziativa, attesa da molti come uno spartiacque per la rinascita dell’aiuto allo sviluppo italiano. Tre società sono note a tutti: Microsoft, Banca Intesa e soprattutto Eni.
Di fronte alla recessione imperante, alla spending review e al già azzerato aiuto allo sviluppo italiano, per molti degli organizzatori è stato scontato il ragionamento che i soldi non ci sono e va bene chiederli a chiunque, soprattutto a chi li ha. Per altro un tema centrale dell’agenda dei lavori è proprio lo sdoganamento definitivo del settore privato for profit come principale motore dello sviluppo, al punto che, come ha postulato la Commissione europea, si devono considerare nuove modalità non solo per far finanziare al privato progetti di sviluppo, ma addirittura per concedergli prestiti pubblici agevolati per la loro attuazione, così come si fa con i paesi più impoveriti.
È notevole che il cane a sei zampe campeggi sulla iniziativa più importante da anni per discutere di cooperazione e solidarietà internazionale, ed è anomalo al riguardo il silenzio del mondo tradizionale della cooperazione e delle Ong, assetato di risorse dopo anni di crisi.

Per chi vive nel Delta del Niger, così come in tanti altri luoghi del pianeta devastati a livello ambientale e sociale dallo sfruttamento del petrolio da parte delle multinazionali, i termini Eni e Agip non sono sinonimo di aiuto, sviluppo o cooperazione, come dimostrato anche dalla campagna in corso di Amnesty International rivolta proprio a Eni. La scelta dell’Eni come sponsor rischia di togliere ogni credibilità al già discutibile esercizio del forum, interamente mirato a consacrare la privatizzazione ineluttabile della cooperazione.

Qualcuno dirà che non ci si poteva aspettare altro dal “governo delle banche”. Infatti tra gli sponsor c’è anche Intesa San Paolo che vanta nell’esecutivo voluto da Monti ben tre ex membri del suo consiglio di amministrazione fra i quali l’ex amministratore delegato Corrado Passera. Ma la questione è più complessa e profonda e va presa di petto. A chi obietterà che questa critica al privato come attore di sviluppo sa di vecchia ideologia non al passo con i tempi della globalizzazione finanziarizzata, e che magari la stessa Eni è certificata dal Dow Jones Sustainability Index e da altre agenzie di rating come azienda virtuosa e sostenibile, forse è necessario controbattere con una domanda. Non è invece più ideologico e dogmatico ritenere che la “fabbrica dello sviluppo e degli aiuti” – palesemente fallimentare negli ultimi decenni nel combattere la povertà nel mondo – debba andare avanti ad ogni costo, al punto da essere messa nelle mani del privato, se non addirittura dei mercati finanziari?

Inoltre, è davvero solo una questione di soldi che non ci sono, quando la crisi sistemica che viviamo è proprio dovuta ai troppi capitali accumulati “assetati” di profitti sempre più grandi che volteggiano  sul 99% della popolazione del pianeta, inclusi i più poveri? La stessa Eni opera sistematicamente, come quasi tutte le multinazionali, con società che hanno sede in Paesi considerati paradisi fiscali, presumibilmente -e legalmente si dirà- per ridurre le tasse da pagare, e vi sono diversi casi in cui la società è stata coinvolta in scandali di corruzione e proprio in Nigeria è stata condannata al riguardo per il progetto di Bonny Island.

Insomma, le risorse per i poveri ci sarebbero, ma vanno mobilitate in primis localmente e poi internazionalmente, ponendo vincoli alla follia dei mercati globali. E soprattutto ci pare necessario che siano i poveri a decidere che tipo di sviluppo vogliono e come fare per finanziarlo.

Analogamente alla privatizzazione della cooperazione, in maniera dogmatica le conseguenze negative su popolazione e ambiente associate alle operazioni delle multinazionali del petrolio sono considerate ineluttabili, “un danno collaterale” dello sviluppo, sanabile magari con più aiuti. Ma la realtà sul campo è sconcertante. L’Alta corte federale di Benin City in Nigeria dal 2005 considera la pratica del gas flaring non solo illegale, ma anche una violazione del diritto alla vita sancito nella Costituzione del paese. Ciononostante, a tutt’oggi si continua a bruciare gas associati in torcia, come documentato da missioni indipendenti della società civile. I danni gravissimi all’ambiente e alla salute di chi vive nel Delta del Niger continuano. I nuovi piani di sfruttamento del gas su larga scala non faranno che acuire i problemi nella regione.

L’Eni non è una società qualunque: il 30 per cento della proprietà è ancora in mani pubbliche, e per questo ogni anno consegna un lauto dividendo al ministero dell’Economia. Forse a breve dovremmo conteggiare la partecipazione statale nell’Eni come aiuto allo sviluppo? Se il Ministro Riccardi volesse promuovere davvero un’azione di sviluppo a costo zero per i contribuenti italiani e senza passerelle inutili, potrebbe indurre la società che controlla come principale azionista di minoranza a prestare maggiore attenzione agli impatti sociali e ambientali dei propri progetti. I poveri apprezzerebbero un’azione di verità e giustizia da chi dice credere in quei principi. Anche la società civile potrebbe fare azioni di sviluppo a costo zero, aprendo una seria battaglia globale per rendere illegali le pratiche di elusione fiscale delle multinazionali.

Queste sono solo alcune delle ragioni per non esserci al party dello sviluppo di Milano.

Antonio Tricarico, Re:Common

 

Il Comité español Sankara 2007 ha scritto una lettera alla Comunità di Sant’Egidio, fondata nel 1968 dal ministro Riccardi e ricorda che «la Comunità di Sant’ Egidio, associazione cattolica italiana che si è distinta negli ultimi anni per il suo ruolo di mediatore di conflitti nel continente africano, attualmente porta a termine il suo lavoro in Costa d’Avorio. Tuttavia, per farlo, si è unito a Blaise Compaoré, assassino di Sankara ed uno dei personaggi più sinistri della politica africana attuale. Il comitato spagnolo Sankara 2007 considera che Compaoré, complice di crimini contro l’Umanità commessi da Charles Taylor in Liberia, non è moralmente autorizzato nella mediazione di conflitti e che unirsi a lui con questo fine discredita chi lo fa».
Lo scrittore Antonio Lozano, a nome del Comitato spagnolo Sankarà, in una lettera alla Comunità di Sant’ Egidio subito rilanciata dal Comitato Sankara italiano, scrive: «Stimati amici, so con stupore e tristezza, anche con ripugnanza, che mantenete relazioni con Blaise Compaoré. Spero sappiate con chi state trattando. O per meglio dire, spero non lo sappiate ancora, perché se lo sapeste vi trasformereste in complici di uno dei più nefasti politici del pianeta. Blaise Compaoré è un assassino che ammazzò il suo migliore amico, Thomas Sankara, che stava compiendo un progetto politico straordinario ed inedito in Africa".

L’appello "Giustizia per Thomas Sankara, giustizia per l’Africa" (firmato da oltre 10mila persone -tra gli altri don Luigi Ciotti e padre Alex Zanotelli) è qui: http://thomassankara.net/spip.php?article878&lang=it

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