Ambiente
Le malefatte della Shell nel Delta del Niger
Un nuovo rapporto redatto dalla Ong inglese Platform e da altri gruppi della società civile britannica e olandese, dal titolo "Counting The Cost”, denuncia come la multinazionale petrolifera Shell avrebbe pagato milizie armate colpevoli di abusi dei diritti umani in…
Un nuovo rapporto redatto dalla Ong inglese Platform e da altri gruppi della società civile britannica e olandese, dal titolo "Counting The Cost”, denuncia come la multinazionale petrolifera Shell avrebbe pagato milizie armate colpevoli di abusi dei diritti umani in numerose località del Delta del Niger, in Nigeria.
Le violenze, tra cui vanno annoverati episodi di tortura e omicidi, hanno avuto luogo fra il 2000 e il 2010 ed è provato che almeno in un caso hanno portato alla distruzione di un villaggio, quello di Rumuekpe, dove circa 60 persone sarebbero state uccise.
Secondo Platform, la Shell continua ad affidarsi a forze di matrice governativa o paramilitari che non fanno altro che esacerbare i conflitti nella regione, tra le più ricche di petrolio al mondo ma al contempo afflitta da una povertà endemica.
Nello studio, tra le altre cose, è riportata la testimonianza di una manager della compagnia anglo-olandese che dichiara come i programmi di sviluppo con le comunità locali fossero inefficaci, “in quanto il denaro non andava nelle giuste mani”, così come sono prodotte le evidenze di almeno un pagamento di 159mila dollari a una milizia armata avvenuto nel corso del 2010.
Tra gli estensori del rapporto c’è Ben Amunwa di Platform, che sottolinea come la crescente militarizzazione della regione acuisca i numerosi problemi già esistenti e chiede al presidente nigeriano Goodluck Jonathan di trovare una soluzione politica all’attuale stato di fatto.
Da decenni in quella vasta area del Paese sono attive le principali oil corporation del Pianeta, tra cui anche l’Eni, e si moltiplicano ormai in maniera costante le proteste delle popolazioni locali che lamentano pesanti impatti socio-ambientali legati all’estrazione del prezioso oro nero – soprattutto a causa delle perdite da oleodotti ormai obsoleti e del gas flaring.
Lo scorso agosto il programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) ha reso pubblico uno studio in cui si esaminano gli effetti delle attività estrattive delle multinazionali nell’Ogoniland, una delle regioni del Delta del Niger. In 50 anni le conseguenze per l’ambiente sono state di così vasta portata da superare anche le più fosche previsioni di autorevoli Ong come Friends of the Earth o Amnesty International. Le colpe, secondo l’UNEP, sono da addebitare quasi esclusivamente alla Shell e al suo scellerato modus operandi.
Nel rapporto si fa presente che per ripristinare quelle terre, falde idriche, fiumi, acquitrini e mangrovie servirà la più lunga e difficile bonifica ambientale mai intrapresa al mondo, la quale potrebbe richiedere 25 o 30 anni. Sempre che venga intrapresa, l’Unep suggerisce di creare una Authority per la bonifica dell’Ogoniland, e di metterle a disposizione un fondo con capitale iniziale di 1 miliardo di dollari fornito dall’industria petrolifera, al fine di coprire così almeno i primi 5 anni di lavori. Un contributo che gruppi e associazioni nigeriane come Environmental Rights Action reputano addirittura inadeguato, soprattutto alla luce degli impatti rivelati dal rapporto stesso.
Per scaricare il rapporto “Counting The Cost”: http://platformlondon.org/nigeria/Counting_the_Cost.pdf
Per scaricare il rapporto dell’UNEP: http://www.unep.org/newscentre/Default.aspx?DocumentID=2649&ArticleID=8827&l=en