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Opinioni

La ricetta di Draghi

I punti di forza, e quelli deboli, del "bazooka" utilizzato dalla Banca centrale europea per iniettare liquidità (60 miliardi di euro al mese) nel sistema economico dei Paesi Ue: un percorso per condurre alla parità euro e dollaro, che potrebbe -nel nostro Paese- garantire un eccesso di risorse ai top player del nostro sistema bancario. Il commento di Alessandro Volpi

Il “Bazooka” di Mario Draghi ha cominciato a sparare e lo ha fatto con la massima forza possibile, prevedendo di iniettare 60 miliardi di euro al mese nelle vene del sistema finanziario ed economico europeo fino a settembre 2016, per un totale di 1.140 miliardi, ben oltre, dunque, le stime iniziali di 500-600 miliardi.
Si tratta di un’operazione mai avvenuta in precedenza che prende corpo mentre la Federal Reserve statunitense ha abbandonato una strategia simile, rendendo di conseguenza ancora più incisiva l’azione della banca centrale del Vecchio Continente. Forse è un cambiamento consumatosi tardi, quando la crisi è deflagrata nella sua crudezza, ma è comunque un passaggio epocale. Come tutte le grandi scelte presenta aspetti molto positivi e suscita, al contempo, alcuni interrogativi di rilievo. Gli elementi positivi sono facilmente rintracciabili.

1) Si è avviato, finalmente, il percorso per condurre l’euro alla parità con il dollaro; raggiungere un siffatto risultato vorrebbe dire approdare a una sorta di “democrazia” monetaria globale nell’ambito della quale  sarebbe più difficile praticare forme di concorrenza sleale operata attraverso le monete. I Paesi dollarizzati non disporrebbero più del vantaggio di una divisa stampata di fatto senza limiti ed utilizzata per spingere le esportazioni e finanziare il debito federale Usa. Se la Bce utilizza gli stessi strumenti usati fino a ieri dalla Fed, tenderanno a scomparire le asimmetrie artificiali e le monete torneranno a riflettere, nel bene e nel male, la forza delle loro economie di riferimento.

2) Prende corpo, con la mossa di Draghi, una dura lotta alla deflazione e quindi si definisce uno sforzo reale per restituire alla Bce il ruolo di prestatore di ultima istanza a tempo pieno. Ciò significa maggiore liquidità per investimenti e consumi senza il passaggio obbligato attraverso il sistema bancario. Verrà meno in larga misura il rischio che le iniezioni di liquidità servano soltanto a sostenere le banche, rendendo assai agevole solo il loro finanziamento e lasciando a tali istituti la scelta se riversare o meno quella stessa liquidità sul sistema produttivo e sulle famiglie.

3) La natura illimitata degli acquisti da parte della Bce sgombra il campo dal rischio di impennate dei tassi d’interesse da pagare per il collocamento dei titoli del debito pubblico: in estrema sintesi verrà drasticamente ridotto il fattore spread, la differenza dei costi di gestione del debito che per l’Italia ha significato e significa un salasso da circa 80 miliardi di euro l’anno, la terza voce della spesa corrente del bilancio dello Stato.

Tutto bene, dunque? Verrebbe da dire di sì, ma restano le incertezze prima accennate.

1) La più grande perplessità riguarda la ripartizione del rischio di perdite di questa operazione che sono state distribuite per il 20% in capo alla Bce e per il restante 80% sono state “assegnate” alle banche centrali dei singoli Paesi europei.
In altre parole, l’emissione della liquidità è europea, le perdite sono nazionali, o almeno delle banche centrali dei vari paesi. Si tratta di una condizione che  non comporta gravi pericoli  quando i mercati sono tranquilli ma che può essere molto pesante in acque agitate, mettendo sulle spalle di istituti come Bankitalia un compito di “salvataggio” assai gravoso. Questa clausola della ripartizione dei rischi è stata però la condizione posta dalla Germania e da altri paesi “virtuosi” per digerire la linea Draghi, invocando con fermezza il principio secondo cui ogni Stato deve pagare il proprio debito.

2) La restituita centralità di Bankitalia porta con sé un’ulteriore criticità, costituita dal controverso rapporto dell’Istituto di Via Nazionale con le grandi banche; un rapporto di stretta connessione che potrebbe determinare scelte di finanziamento in qualche misura spostate sulla linea dei grandi player italiani in una fase peraltro molto delicata come quella attuale caratterizzata dalla trasformazione delle banche popolari in società per azioni, appetibili e aggredibili dal mercato.

3) Secondo il piano Draghi potranno essere acquistati dalla Bce solo titoli che dispongano almeno di un rating tripla B, che non siano cioè titoli “spazzatura”. Il debito italiano è appena sopra tale soglia e basta quindi la discesa di un gradino per perdere la condizione di acquisto ad opera della Bce. Il mantenimento del rating diventa pertanto vitale e ciò obbliga ad una serie di riforme strutturali capaci di stabilizzare o migliorare la credibilità del paese agli occhi dei mercati. In questo senso il bazooka di Draghi non ha solo una portata monetaria. Del resto il messaggio è chiaro per tutti; non potrà essere acquistato più del 33% del debito pubblico di ogni paese, compreso quello già in pancia alla Bce. La Grecia, che ha già superato tale limite, è avvertita. Benvenuti nel nuovo mondo. 

* Alessandro volpi, Università di Pisa
 

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