Ambiente
La piazza dell’acqua pubblica scuote “Il Sole-24 Ore”
La manifestazione nazionale di sabato 20 marzo “per la ripubblicizzazione dell’acqua, per la tutela di beni comuni, biodiversità e clima, per la democrazia partecipativa” ha colto nel segno. Le persone che sono state richiamate in piazza, a Roma, da associazioni…
La manifestazione nazionale di sabato 20 marzo “per la ripubblicizzazione dell’acqua, per la tutela di beni comuni, biodiversità e clima, per la democrazia partecipativa” ha colto nel segno.
Le persone che sono state richiamate in piazza, a Roma, da associazioni e comitati riuniti nel Forum italiano dei movimenti per l’acqua, hanno conquistato l’attenzione dei media e spaventato i fautori della privatizzazione, costretti a correre ai ripari. I metodi utilizzati, senza alcuna fantasia, restano quelli che abbiamo descritto nel libro “L’acqua è una merce”. Il primo, e il più abusato, è quello di negare il problema. E per farlo si usano i quotidiani. Al giochino si è prestato questa volta Giorgio Santilli, che dalle colonne de Il Sole-24 Ore ha ammonito: “Non è la privatizzazione il problema dell’acqua in Italia”.
Scrive Santilli sul quotidiano di Confindustria: “Per separare la demagogia dalla corretta analisi politica è necessario porsi alcune domande. La legge voluta dal governo Berlusconi prevede effettivamente la privatizzazione del bene acqua? È davvero la privatizzazione il problema-chiave in un paese dove il 90% delle gestioni idriche restano pubbliche? Se così non è, quali sono, invece, i problemi reali? La legge sui servizi pubblici locali conferma il carattere pubblico del bene acqua. Non è vero che l’acqua possa essere privatizzata, non ci sono dubbi. L’acqua resta un bene amministrato. Restano saldamente nelle mani delle autorità pubbiche l’indirizzo e il controllo amministrativo (agli enti locali e agli Ato), la formazione delle tariffe, la proprietà degli acquedotti, degli impianti di depurazione, delle fognature, degli altri impianti. Il problema è rafforzare (anche tecnicamente) e lottizzare meno queste leve pubbliche di comando del sistema”.
Lo ribadiamo: il problema non è “il carattere pubblico dell’acqua”, ma aprire o meno a una logica privatistica la sua gestione. Inutile insistere sulla proprietà pubblica dell’acqua, un “principio” che salva solo la forma, mentre la gestione -ben più sostanziale- va al privato. In un Paese che fatica a investire adeguatamente nelle strutture di rete, acquedotti-fognature-depurazione, il problema principale non è -come scrive Santilli- la presenza del pubblico nelle società di gestione degli acquedotti, ma la de-responsabilizzazione dello Stato, il fatto che gli investimenti sulle reti del servizio idrico integrato non passino per la fiscalità generale. A partire da un’analisi di questo tipo, sarebbe possibile per Santilli e tanti altri, affrontare il tema senza montare inutili polemiche. Perché non è vero che “le polemiche attuali contro la privatizzazione dell’acqua presentino un sapore ideologico”; l’ideologia è quella dei partigiani della “superiorità assoluta del mercato”.
Qualche segnale di un’inversione di tendenza, invece, arriva dalla politica: dall’esperienza del Coordinamento nazionale “Enti locali per l’acqua bene comune e la gestione pubblica del servizio idrico” è nata un’associazione (http://www.acquabenecomune.org/spip.php?article5715). A inizio marzo, a Roma, ha promosso un’assemblea cui hanno partecipato oltre 150 sindaci. E a Milano il capogruppo del Partito democratico a Palazzo Marino, Pierfrancesco Majorino, ha presentato una mozione per invitare la giunta “adifendere l’attuale gestione pubblica del servizio idrico integrato” e “ad inserire all’interno dello Statuto del Comune di Milano il riconoscimento del diritto all’acqua come Diritto Umano Universale incomprimibile, da realizzarsi attraverso una gestione priva di rilevanza economica”. Cioè affidata a un ente strumentale del Comune.