Ambiente
La partita del palazzetto
Il Comune di Milano progetta l’ampliamento del PalaLido. I comitati locali protestano, preoccupati per l’impatto sul quartiere —
In piazza Stuparich a Milano sta per sorgere la “bomboniera” del basket cittadino. Una struttura pubblica da 5347 posti a disposizione della “squadra più titolata d’Italia”, l’Olimpia Milano, nata nel 1936 ed entrata, all’età di 68 anni, nel 2004, a far parte del gruppo Armani. Ed è proprio allo stilista piacentino che i membri del “Comitato residenti in zona Piazza Stuparich” hanno inviato a gennaio una raccomandata. Oggetto: “Pala Aj – richiesta di incontro e chiarimenti”. Chiarimenti che gravitano intorno a quel che è presentato come “progetto definitivo e progetto della sicurezza per i lavori di rifacimento della copertura e l’aumento di capienza del Palalido di Milano”. A farsene portatore è Milanosport Spa, società di cui è proprietario interamente il Comune di Milano, che gestisce -in forza di un contratto datato novembre 2005- i servizi sportivi (e quindi gli impianti) della città. 26 strutture tra piscine, palestre, campi da tennis, centri balneari e “grandi impianti” come il Palalido.
Luciano Mura, ingegnere che anima il comitato, fa strada: “Tu questo lo chiami rifacimento della copertura?”, scherza mentre indica il cantiere. Quel che si presenta ad aprile 2013 è un grande catino scoperto circondato da teli bianchi e reti rosse. L’area, posta sulla circonvallazione Monte Ceneri e vicino all’innesto di due autostrade e una tangenziale, è trafficata, anche il sabato mattina. Del vecchio Palalido è rimasto soltanto il primo ordine di gradinate. “Nella fase di approfondimento del progetto definitivo -è la spiegazione fornita da Milanosport all’interno della relazione tecnica allegata al progetto- si è maturata la scelta nell’ottica di ottimizzare il rapporto costi/benefici”. La scelta, del febbraio 2011, è “demolire per intero le opere preesistenti” per un importo complessivo dei lavori -tra demolizione e ricostruzione- pari a 8,7 milioni di euro.
Il nome della nuova struttura, PalaAj, potrebbe suggerire un contributo mecenatesco di Armani. Non è così, perché l’intero ammontare è a carico del Comune di Milano. Tuttavia il proprietario dell’Olimpia è della partita. Da cinque anni.
Il documento che lega la società “Pallacanestro Olimpia Milano S. Srl” a Milanosport Spa risale al 15 dicembre 2008. È talmente riservato che, interpellato sulle condizioni, il general manager di Olimpia, Flavio Portaluppi, replica: “Lei non dovrebbe esserne in possesso”. Si tratta di un contratto di sponsorizzazione con il quale la prima diviene “partner ufficiale privilegiato” della seconda, che a sua volta riconosce a Olimpia l’utilizzo “in via esclusiva” di alcune aree prossime al Palalido. Tra queste, la “palestra secondaria”, la “palestra Coni”, gli spogliatoi, una sala video, due magazzini e 12 metri quadrati di “corner commerciale” -uno dei pochi spazi di cui è possibile ricavare la superficie dal contratto. Cui si aggiungono la possibilità di “utilizzo gratuito” del palazzetto per sei partite e il diritto di priorità ad usare la “costruenda palestra nel pattinodromo”. E per concludere, 600 metri quadrati di uffici. Il tutto alla modica cifra di 150mila euro all’anno più iva. L’affitto del Palalido si muove invece lungo una via autonoma, legata al verificarsi di una condizione “sospensiva”: in sintesi, Milanosport s’impegna ad ampliare quello che nel contratto è già chiamato PalaAj fino a 5mila posti entro la fine dell’agosto 2009. Se così fosse stato, ai 150mila euro ne sarebbero stati sommati altri 200mila all’anno più iva. Il punto, è che la condizione non s’avvera, permettendo a Olimpia di utilizzarlo senza oneri ulteriori.
La trasparenza, però, stride con l’accordo di sponsorizzazione, che recita: “Nessuna pubblica dichiarazione sarà effettuata da Milanosport senza il previo accordo scritto dello sponsor”. Eppure la società, presieduta dal giugno 2012 da Pierfrancesco Barletta, è posseduta al 100% da Palazzo Marino. E l’ultimo bilancio reperibile dà conto peraltro di una situazione non certo florida: nonostante gli 8 milioni di euro incassati come corrispettivo dal Comune, Milanosport -che fattura 27 milioni di euro a fronte di un capitale sociale di 10,6 milioni- ha registrato una perdita di esercizio pari 3,7 milioni di euro. Ma “il presidente preferisce incontrarla a giugno -fanno sapere dalla segreteria- perché l’approvazione del bilancio 2012 è slittata di un mese”. Arrivederci. Come Barletta, anche il presidente della società di pallacanestro che nel 2011 chiudeva in perdita per 4,7 milioni di euro è irreperibile. Livio Prioli, che nel 2008 ha sottoscritto quel contratto, non è raggiungibile. L’unica informazione che Claudio Limardi, direttore della comunicazione e marketing di Olimpia, fornisce è in realtà una correzione: “Non è vero che si chiamerà PalaAj, si chiamerà Pala Armani”. Di più non dice, né della convenzione con Milanosport né della sua imminente scadenza nell’agosto 2013. È il general managar Portaluppi a dare una notizia, quando conferma il rinnovo della parte contrattuale relativa agli spazi, escluso il palazzetto. Delle condizioni, però, non intende parlare.
Ma anche quando Armani fosse costretto a pagare un giusto canone, Milanosport tenuta a rendere pubblico il proprio piano di rilancio industriale e il progetto denominato correttamente, e non presentato come “rifacimento della copertura”, l’opinione del comitato cittadino rappresentato da Luciano Mura non cambierebbe di una virgola. E il perché me lo mostra lui stesso. Mentre affianchiamo la recinzione del cantiere, a pochi metri dalla strada, si ferma, in prossimità di un platano che dista tre metri e mezzo dalle auto. “Qui hanno previsto uno dei cancelli di ingresso e uscita: te le immagini dopo il fischio finale della partita migliaia di persone che si riversano all’esterno?”.
Ed è qui il fulcro: il contesto in cui s’inserirà il PalaAj. Le ricadute sulla viabilità sono chiare prima di tutti alla stessa Milanosport, che infatti predispone una relazione ad hoc di 12 sintetiche pagine, redatta senza data e trasmessa al Comune nell’ottobre 2012. Le ipotesi, però, sono alquanto ottimistiche. Il 90% dei 5.347 spettatori, infatti, raggiungerebbe il palazzetto con i mezzi pubblici. Gli automobilisti non ammonterebbero a più di 345, dovendosi comunque contendere 200 posti auto asserviti al PalaAj. Anche perché, nelle rosee aspettative di Milanosport (dunque del Comune di Milano), l’“incremento di raggiungibilità” con i mezzi sarà poi garantito dalla nuova linea metropolitana M5, che se va bene sarà pronta per metà del 2015 (vedi Ae 147). Scenario più auspicabile che fattibile, che riguarda anche la collocazione di 87 “parcheggi per vip” previsti all’interno dell’area del Lido di Milano degli anni 30, operazione che comunque richiederà l’autorizzazione preventiva della Sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della città. Benefit che il consiglio di zona 8 ha respinto all’unanimità con una delibera del febbraio scorso in forte contrasto al piano parcheggi.
Il 26 marzo 2013 Milanosport ha depositato in Comune la denuncia di inizio attività (Dia). Il capo progettista del cantiere che prenderà il posto di quello relativo alla demolizione, l’ingegner Augusto Graziadei, è l’unico che accetta di rispondere alle domande. “Confidiamo che l’area ci venga consegnata all’inizio di maggio e da lì avremo 235 giorni per realizzare l’intervento su circa 5mila metri quadrati di area edificabile”. Otto mesi scarsi che certamente non permetteranno ad Olimpia di iniziare la stagione agonistica nel palazzetto in Stuparich. Un’eventualità osteggiata anche da Alda Damiani, un’altra referente del comitato insieme a Mura. “Questo progetto non s’ha da fare, le conseguenze sarebbero devastanti, e non solo per lo studio di viabilità che tale non è, ma anche per l’impatto acustico di un polo funzionale da 6mila posti”. Al momento di salutare Luciano, lo sguardo cade a dei sacchi poggiati dietro ad alcune transenne. “Li riconosci quelli?”, mi chiede: “È amianto, l’hanno trovato un po’ nel tetto e un po’ abbandonato nel sottoscala”. Anche per questo i lavori sono stati bloccati. Eppure, nella dia depositata a marzo relativa al secondo cantiere “il sito, si legge, non è oggetto di procedimento di bonifica”. L’ennesimo equivoco risolto dal progettista: “In questo caso il sito è quello su cui opereremo dopo la demolizione, come fosse un’altra cosa”. Un’altra cosa, come demolire un palazzetto per rifarne la copertura. —