Ambiente / Intervista
“Il tempo dei giganti”, il documentario sulla “pandemia botanica” in Puglia
Venti milioni di ulivi colpiti dalla Xylella Fastidiosa, un paesaggio stravolto, le microeconomie in ginocchio, come le relazioni. Proiettato in anteprima al Festival del cinema europeo di Lecce, il film di Davide Barletti e Lorenzo Conte sta girando l’Italia. “Le persone hanno voglia di confrontarsi per immaginare il dopo catasfrofe”
Alberi che con i loro frutti hanno fatto l’economia di una terra, intorno ai quali si raccontavano storie e leggende, le cui chiome hanno disegnato nei secoli il paesaggio della Puglia. Sono gli ulivi, i giganti verdi che negli ultimi anni sono stati colpiti da un batterio micidiale: la Xylella Fastidiosa. La più grave “pandemia botanica” del secolo sta uccidendo milioni di alberi, stravolgendo il territorio, l’economia e anche le relazioni umane.
La vicenda è narrata nel documentario “Il tempo dei giganti”, diretto da Davide Barletti e Lorenzo Conte, e prodotto da Dinamo Film e Fluid Produzioni. Il protagonista è Giuseppe, che dal Salento decide di tornare dal padre, che abita più a Nord nella piana degli ulivi monumentali, per raccontare all’anziano contadino come la vita verrà stravolta con l’arrivo della Xylella. Il film, che è stato proiettato in anteprima al Festival del cinema europeo di Lecce, ora sta girando per l’Italia con una serie di serate-evento con successivo dibattito: per ogni biglietto venduto, un euro viene devoluto all’associazione Save the olives. “Le persone hanno voglia di confrontarsi sul passato e sul futuro di una terra ormai devastata dalla desertificazione e dal cambiamento climatico -racconta il regista Lorenzo Conte-. La Xylella rappresenta sì un nemico invisibile che minaccia la nostra esistenza, ma è anche un’opportunità per rigenerare un territorio e immaginare un nuovo domani”.
Lorenzo, nei film realizzati insieme a Davide Barletti avete raccontato diversi volti della Puglia. Perché ora avete deciso di trattare l’epidemia della Xylella?
LC È stata una scelta naturale. Le vicende che raccontano il territorio e i suoi abitanti hanno sempre contraddistinto i nostri film, e la Puglia è stata il teatro privilegiato per ambientare queste storie. In “Italian Sud Est” abbiamo parlato delle caratteristiche ferrovie del Salento come metafora di un territorio che si trasformava da una condizione di modernità incompiuta a una postmoderna. Con “Fine pena mai” e “Diario di uno scuro” abbiamo raccontato la nascita della Sacra Corona Unita e il brusco risveglio di una comunità che ignorava la presenza al suo interno di un’organizzazione mafiosa. Fino ad arrivare al nostro ultimo film, “La guerra dei cafoni”, dove abbiamo osservato il meridione e le sue ataviche divisioni attraverso gli occhi dei bambini. A quel punto ci siamo fermati e siamo stati in ascolto. Ci siamo trovati sotto gli occhi quello che stava succedendo con la Xylella: venti milioni di alberi colpiti, un paesaggio stravolto, le microeconomie in ginocchio, il turismo in difficoltà. In Salento tutti hanno degli ulivi: questi alberi fanno parte del Dna di questo territorio.
Il film intreccia tre diversi livelli narrativi: come avete ideato questa struttura?
LC In primis abbiamo deciso di dare voce agli abitanti del Salento, che hanno vissuto sulla propria pelle il dramma della morte dell’ulivo: gli olivicoltori, i contadini, i frantoiani, ma anche gli attivisti e le istituzioni locali. Poi c’è un secondo livello, quello di chi può inquadrare il problema della Xylella dall’alto: scienziati, sociologi, scrittori, giornalisti, che nel documentario aiutano a leggere questo fenomeno all’interno dei cambiamenti che stanno avvenendo a livello globale. Infine, c’è la storia del rapporto tra un padre e un figlio: quest’ultimo viaggia da Sud verso Nord per raccontare al padre quello che sta accadendo, perché ci sono cose che i suoi anziani occhi non possono, o forse non vogliono, vedere.
Perché l’ulivo è così importante per un territorio come la Puglia?
LC Queste piante hanno centinaia, a volte migliaia di anni. Per questo rappresentano non solo un sostentamento economico, ma anche un legame diretto con i propri antenati, che le hanno seminate e fatte crescere. L’ulivo è un simbolo del legame con la nostra storia, con la nostra identità, con le nostre radici: tiene traccia della linea del tempo. È uno degli emblemi della società occidentale, fin dall’antica Grecia, e il suo ramoscello è un simbolo di pace. Per questo la morte dell’ulivo è una metafora della crisi di quel mondo: vedere questi alberi secchi è come assistere alla morte della propria famiglia, senza la quale ci si sente persi, senza fondamenta.
La Xylella è arrivata in Italia intorno al 2008 con una pianta di caffè infetta importata dal centro America: questa epidemia coinvolge l’equilibrio tra uomo e natura, tra locale e globale. Proprio come la pandemia da Covid-19.
LC L’arrivo della Xylella ha reso terribilmente vicine questioni che sembravano non appartenere al nostro Paese: epidemie, globalizzazione dei mercati, nuovi organismi patogeni importati da lontano. Tanti elementi che poi si sono ripresentati con il Covid-19. Anche in questo caso, la scienza non è stata in grado di comunicare con le persone, la politica è andata alla ricerca del consenso e non è riuscita a immaginare politiche a lungo termine, mentre i media hanno premiato le risposte semplicistiche e immediate. Abbiamo ascoltato teorie complottistiche che negavano la presenza del batterio nonostante fosse conosciuto da decenni, abbiamo assistito allo scontro tra scienza e antiscienza e abbiamo visto crescere l’importanza dei social media nella diffusione di informazioni e fake news. L’epidemia della Xylella era una storia più piccola rispetto alla pandemia, ma le dinamiche erano le stesse: se fossimo rimasti in ascolto, avremmo potuto imparare molto.
Il “tempo dei giganti” è finito o può ritornare?
LC Questo è un film sul tempo: i cosiddetti “giganti del Salento”, i grandi patriarchi, sono stati lì per centinaia, a volte migliaia di anni, nel loro tempo. E il tempo degli alberi ha un’unità di misura diversa rispetto a quello degli esseri umani: il tempo dell’uomo, il tempo della pianta e il tempo della storia corrono a velocità diverse. Oggi la maggior parte degli ulivi centenari sono morti, e questo non si può cambiare. Senza le loro chiome non c’è più ombra, il che velocizza un processo di desertificazione che era già cominciato a causa dello sfruttamento intensivo dei terreni. Anche per questo la Xylella ha avuto vita facile. Ma nel futuro ci può ancora essere speranza: ecco perché oggi ci si interroga su come ricostruire il territorio dopo una catastrofe del genere.
La Regione Puglia l’anno scorso ha stanziato 13 milioni di euro per salvaguardare gli olivi rimasti e piantarne di nuovi, a cui si sommano altri 60 milioni di euro previsti per quest’anno. È possibile una rinascita?
LC Il nostro documentario è diviso in due parti: nella prima raccontiamo quello che è stato, nella seconda quello che sarà. Come immaginare la riforestazione del Salento? È il momento che le migliori menti si mettano attorno a un tavolo e aprano un dialogo serio: le istituzioni insieme agli agronomi, agli ambientalisti, ai sociologi. Le risorse sono state stanziate: ora la politica deve essere in grado di dare risposte rapide e incisive, altrimenti la popolazione si sentirà abbandonata. Si deve però partire da un paradigma diverso, cercando di non ricadere negli errori del passato: certo, l’ulivo deve rimanere al centro di questa rinascita, ma evitando la monocoltura e dando spazio alle diverse specie che esistono in natura. E poi bisogna puntare anche su altre coltivazioni, in nome della biodiversità, utilizzando tecniche innovative di agricoltura come quelle a basso consumo di acqua. È come una ricostruzione post bellica: serve un nuovo patto tra essere umano e pianta, altrimenti ne andrà della nostra sopravvivenza sulla terra.
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