Opinioni
Il referendum di ottobre è un passaggio cruciale
La strategia “riformatrice” del governo sta demolendo i fondamenti della democrazia. La revisione della Costituzione, unita alla legge elettorale, sancisce un processo di concentrazione del potere nelle mani di un solo partito, e toglie la possibilità che le classi popolari e le idee più avanzate abbiano rappresentanza
Ci serve ancora una Costituzione? Stando alla strategia del governo Renzi, alle affermazioni degli opinionisti di giornali come il Corriere della sera e la Repubblica, alla distrazione e al disinteresse di molti cittadini, parrebbe di no. Il messaggio non è tanto quello di “semplificare” l’architettura delle istituzioni, quanto quello di tagliarne buona parte, lasciando al governo tutto il potere. La mentalità dominante è plasmata dalla madre di tutte le semplificazioni, la più volgare: la società è mercato, la modernità è mercato, l’efficienza è mercato, il progresso è mercato. Il resto non serve. Perciò Costituzione, Parlamento, Corte Costituzionale, magistratura, Statuto dei lavoratori, sindacati, scuola e università (intese come istituzioni in senso educativo e non come batterie di polli per il mercato) sono residui del passato. Matteo Renzi si è dato l’incarico di “riformare” l’assetto della Repubblica secondo i criteri di tale mentalità veteroliberista all’italiana.
Il partito di cui è capo si presenta come alfiere delle “riforme”. Come ha fatto il Partito Democratico a scendere così in basso? Rinnegando le radici morali e culturali dei due partiti da cui è nato, valorizzando l’incompetenza, erigendo a verità le banalità di un’economia per sentito dire, lasciando spazio ai rampanti. Da questo punto di vista, se si considera la nazione italiana solo dal versante dei suoi difetti peggiori (opportunismo, qualunquismo, conformismo, poca confidenza con lo studio e la cultura, scarso senso delle regole, esangue coscienza etica) il Partito Democratico è già a pieno titolo il Partito della Nazione.
La strategia “riformatrice” del governo sta demolendo i fondamenti della democrazia. Così si prepara un futuro rispetto al quale persino la situazione della vita pubblica nell’Italia liberale precedente al fascismo ci sembrerà una condizione preferibile. La “riforma” del senato, nell’incrocio con quella elettorale, sancisce un processo di concentrazione del potere nelle mani di un solo partito, toglie la possibilità che le classi popolari e le idee più avanzate abbiano rappresentanza, riduce gli spazi democratici a partire dalle prerogative del Parlamento.
Se si contestualizza tale tendenza ricordando la crescente distanza da qualsiasi forma di partecipazione politica di gran parte della popolazione, emerge l’immagine di una piramide nel deserto. Il deserto è quello della democrazia polverizzata, la piramide è quella della concentrazione dei poteri. Al suo vertice, però, non c’è veramente il presidente del Consiglio, perché l’“editore di riferimento” -direbbe uno come Bruno Vespa- resta il potere finanziario internazionale, quello che decide cosa fare dell’Italia a seconda dei suoi interessi. Per salvarsi da questa rovina possiamo fare molto. Bisogna anzitutto riaffermare che sono indispensabili una Costituzione integra, un Parlamento vero, una Corte Costituzionale e una magistratura indipendente, lo Statuto dei lavoratori e un sindacato di tutela dei diritti, una scuola e una università al servizio delle nuove generazioni. In tale prospettiva il referendum di ottobre sulla “riforma” costituzionale è un passaggio cruciale. Non per dire che si ama o si odia Renzi, come egli stesso ha detto dando prova del consueto senso di centralità della propria persona, ma per scegliere di riprendere la via della democrazia. Quelli che desiderano un’economia umana, una società più giusta, un’Italia in cui i giovani possano restare e tutti possano vivere decentemente devono impegnarsi sin da subito per questo appuntamento. Bisogna uscire di casa e incontrarsi, internet serve ma non basta. Nelle piazze, nelle fabbriche, nelle università, nei consigli comunali e regionali si tratta di confrontarsi, di informare, di motivare, di prepararsi al referendum. E di prendere la parola per chiarire che la via intrapresa dal Partito della Nazione, detto “Democratico”, non ha niente a che vedere con la rinascita etica e civile ed economica del Paese.
* Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata
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