Ambiente
Il duca d’Abruzzo
di Luca Martinelli —
Chi è Carlo Toto, l’imprenditore il cui impero economico va dalle autostrade alle costruzioni, passando per Alitalia. E da qualche guaio giudiziario
Carlo Toto è il “duca degli Abruzzi” del ventunesimo secolo. Dopo aver portato l’aeroporto di Pescara nell’empireo grazie al suo cavallo alato, la compagnia Air One, dal 2011 l’imprenditore chietino controlla le due autostrade abruzzesi, l’A24 Roma-L’Aquila-Teramo e l’A25 Torano-Pescara. Chiunque vorrà visitare le bellezze dell’entroterra, nella “regione dei Parchi nazionali” (ben tre), pagherà il dazio del Terzo millennio, il pedaggio, alla Toto Costruzioni Generali spa.
Anche Ae, per scrivere quest’inchiesta, ha versato al casello quattro euro e sessanta.
Anche Ae, per scrivere quest’inchiesta, ha versato al casello quattro euro e sessanta.
Subito dopo capodanno, infatti, il gruppo Toto, che già è azionista al 40% di Strada dei Parchi spa, la società che ha in concessione l’A24 e l’A25 fino al 2030, ha raggiunto un accordo con la società Atlantia (gruppo Benetton), che detiene il 60% delle azioni della società ed è disposto a vendere per 89 milioni di euro.
L’affare si chiuderà entro la primavera, dopo che l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Antitrust) avrà espresso parere positivo sull’operazione, ma i media lo danno per certo: “Atlantia: cede 60% Strada dei Parchi, a Toto controllo” (Ansa, 3 gennaio 2011), “Ceduta a Toto 60% Strada dei Parchi, Atlantia sui massimi” (Milano finanza, 3 gennaio 2011), “Atlantia cede a Toto la A24 e la A25” (la Repubblica, 3 gennaio 2011). Il quotidiano abruzzese il Centro (gruppo Espresso) esprime fin dal titolo tutto l’orgoglio regionale: “Strada dei Parchi è solo di Toto” (4 gennaio 2011). C’è molta meno enfasi, due settimane dopo, nel riportare la notizia del rinvio a giudizio di Carlo Toto, insieme a Luciano D’Alfonso, ex presidente della Provincia di Pescara, ex sindaco della città abruzzese ed ex segretario regionale del Pd in Abruzzo: “Strada fantasma, D’Alfonso sotto accusa” il titolo dell’articolo. I pm di Pescara hanno chiesto il processo per 13 persone. Le accuse sono corruzione, truffa aggravata, falso ideologico, concussione, violazione delle leggi ambientali, in merito alla realizzazione di lavori sulla Ss 81 Piceno-Aprutina, vicino al centro storico di Penne, città d’arte di circa 13mila abitanti ai piedi del massiccio del Gran Sasso. Nell’articolo de il Centro sono elencati, e in grassetto, i nomi di 9 dei 13 imputati. Mancano quelli di Carlo, Alfonso e Paolo Toto e quello di Cesare Ramadori, un altro membro del cda di Toto spa.
L’affare si chiuderà entro la primavera, dopo che l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (Antitrust) avrà espresso parere positivo sull’operazione, ma i media lo danno per certo: “Atlantia: cede 60% Strada dei Parchi, a Toto controllo” (Ansa, 3 gennaio 2011), “Ceduta a Toto 60% Strada dei Parchi, Atlantia sui massimi” (Milano finanza, 3 gennaio 2011), “Atlantia cede a Toto la A24 e la A25” (la Repubblica, 3 gennaio 2011). Il quotidiano abruzzese il Centro (gruppo Espresso) esprime fin dal titolo tutto l’orgoglio regionale: “Strada dei Parchi è solo di Toto” (4 gennaio 2011). C’è molta meno enfasi, due settimane dopo, nel riportare la notizia del rinvio a giudizio di Carlo Toto, insieme a Luciano D’Alfonso, ex presidente della Provincia di Pescara, ex sindaco della città abruzzese ed ex segretario regionale del Pd in Abruzzo: “Strada fantasma, D’Alfonso sotto accusa” il titolo dell’articolo. I pm di Pescara hanno chiesto il processo per 13 persone. Le accuse sono corruzione, truffa aggravata, falso ideologico, concussione, violazione delle leggi ambientali, in merito alla realizzazione di lavori sulla Ss 81 Piceno-Aprutina, vicino al centro storico di Penne, città d’arte di circa 13mila abitanti ai piedi del massiccio del Gran Sasso. Nell’articolo de il Centro sono elencati, e in grassetto, i nomi di 9 dei 13 imputati. Mancano quelli di Carlo, Alfonso e Paolo Toto e quello di Cesare Ramadori, un altro membro del cda di Toto spa.
Eppure è a questa seconda notizia che andrebbe data la dovuta eco: l’appalto sulla statale 81 è dell’Anas, la società pubblica che gestisce la rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale; tra gli imputati al processo figurano anche il dirigente Anas Michele Minenna e il funzionario Roberto Lucietti. L’Anas è però lo stesso soggetto che, il 29 novembre 2010, meno di due mesi prima del rinvio a giudizio, ha affidato per i prossimi vent’anni a Strada dei Parchi spa la gestione dell’A24 e dell’A25, firmando la convenzione unica che ne definisce i termini. Gli investimenti e gli interventi di manutenzione ordinaria, quantificati in 343 milioni di euro per il periodo 2011-2013, e la manutenzione straordinaria (557 milioni di euro fino al 2030) sono a carico del concessionario ma verranno coperti, in larga parte, dai nostri pedaggi. Strade dei Parchi, poco più di 150 milioni di euro il fatturato nel 2010, si “trascina” un indebitamento che, alla fine dello scorso anno, superava i 940 milioni di euro. Nonostante questo è un vero affare per chi, come Toto, oltre a gestire le tratte autostradali (e riscuotere i pedaggi) può anche eseguire i lavori. E può farlo anche senza ricorrere a gare d’appalto, perché la legge glielo permette. Già a fine 2009, ad esempio, il bilancio di Strada dei Parchi spa segnalava tra i rapporti commerciali infragruppo oltre 41 milioni di euro di appalti intestati alle imprese Imc srl, che è una società controllata da Toto Costruzioni Generali spa, e Toto spa. Specificando, comunque, che “le condizioni commerciali applicate sono equiparabili a quelle di mercato”. A quel punto, non ci sarà più bisogno di ricorrere ai meccanismi usati per aggiudicarsi l’appalto di Penne, definiti “una vicenda di criminalità economica davvero inquietante”, “una nuova e più ‘evoluta’ forma di corruzione”, “il segnale dell’avvenuta destrutturazione del procedimento di evidenza pubblica” nell’ordinanza con cui, nell’aprile del 2010, il giudice per le indagine preliminari presso il Tribunale di Pescara Luca De Ninis aveva disposto la custodia cautelare in carcere per l’architetto Carlo Strassil, progettista della variante Anas sulla Ss 81 Piceno-Aprutina.
Nella stessa ordinanza, viene ricostruita in modo schematico l’intera vicenda: Toto spa vince, nel marzo 2001, la gara d’appalto, a seguito dell’esclusione dell’altro concorrente, grazie a un’offerta che presenta un ribasso “straordinario” (del 31,31%) rispetto alla base d’asta (47 miliardi e 193 milioni di lire).
L’azienda sottoscrive (aprile 2001) senza riserva il verbale di consegna dei lavori, ovvero l’avvio dell’opera. Nel febbraio del 2002 vengono sospesi i lavori. Secondo i pm, quest’atto ha l’unico scopo di “consentire ai Toto la formulazione di riserve e porre le condizioni per una perizia di variante, che consentirà all’impresa di recuperare l’antieconomico piano presentato”. Ovvero di chiedere un indennizzo per il blocco lavori (e in effetti l’azienda ha incassato 1,7 milioni di euro, più Iva, come risarcimento per il fermo cantiere) e di modificare il progetto. La “variante” viene approvata nell’aprile del 2003: il costo, a quel punto, è lievitato di quasi un quinto rispetto all’offerta dei Toto (e il primo “lotto funzionale” vale oltre 22,8 milioni di euro), garantendo all’azienda un utile indebito di quasi 3 milioni di euro. Al posto di una strada che, seguendo l’orografia del terreno, modificava il tracciato della Ss 81, è prevista la realizzazione di due viadotti, Penne 1 di 512 metri e Penne 2 di 229. Sono ventidue milioni di euro per poco più di un chilometro di strada. La cosa più grave, però, è un’altra, e cioè che “la bozza di tale richiesta (la perizia della variante, ndr) sia stata rinvenuta in un file creato e salvato circa un mese prima dell’approvazione nel notebook sequestrato al dipendente della ditta Toto Vincenzo Consalvo”, come spiega l’ordinanza dell’aprile 2010.
Il “sistema” salta sull’unica variabile indipendente: un gruppo di ambientalisti che, senza saperlo, scoperchiano il vaso di Pandora. L’inchiesta si è aperta nel 2008 perché le ruspe del gruppo Toto, impegnate nella realizzazione dell’intervento sulla statale 81, avevano invaso per un chilometro e mezzo la Riserva naturale regionale Lago di Penne, che è anche un’Oasi del Wwf. Dopo un esposto del direttore della riserva, Fernando Di Fabrizio, il Corpo forestale dello Stato ha sequestrato il cantiere, dando il là alle indagini. Eppure la verifica di compatibilità ambientale era chiara quando spiegava che “il tracciato della variante, nella sua ipotesi definitiva, non interferisce dunque con le aree tutelate dal vincolo di riserva”. A rassicurare sulla bontà dell’iniziativa era intervenuto, in sede di conferenza dei servizi, il geometra Giampiero Leombroni, allora funzionario della Provincia di Pescara ma oggi dirigente di Toto spa.
È questo che spaventa Augusto De Sanctis, responsabile Acque ed Oasi del Wwf in Abruzzo: “Il meccanismo è raffinato, complesso, e investe molti piani. Mi chiedo come sia possibile che il comitato regionale incaricato della valutazione d’impatto ambientale non si sia reso conto che il progetto proposto presentava una cartografia ‘errata’, non veritiera. Quella di Penne è una Riserva istituita dalla Regione Abruzzo. E gli uffici della Regione non possono non averne una cartografia. Che fai, invece, ti fidi ciecamente?, non eserciti alcun controllo?”. I membri del Comitato regionale Via (Valutazione d’impatto ambientale) non sono comunque coinvolti nell’inchiesta.
Racconta ancora De Sanctis che dopo il sequestro del cantiere di un’opera che i pennesi in realtà “sognavano dagli anni 60”, lui e Fernando Di Fabrizio -il direttore della Riserva- hanno organizzato un’assemblea pubblica, in piazza, descrivendo, dati alla mano, lo scempio che era in corso. “Secondo la maggioranza dei pennesi la perdita di un’opportunità di ‘sviluppo’ era di chi aveva denunciato. Il sindaco era arrivato a suggerire, come ipotesi di mitigazione, di dipingere di verde i piloni dei viadotti, o in alternativa di spostare i confini delle Riserva”. Voi lettori potete immaginare i viadotti come una striscia grigia, che taglia a metà la zona tra il lago di Penne e il centro storico della cittadina. L’abbiamo potuta osservare dalla Masseria dell’Oasi, l’azienda agricola biologica che dal ‘90 è attiva all’interno della riserva (vedi box). Ha portato a Penne, a tre chilometri in linea d’aria dall’ingresso del Parco nazionale del Gran Sasso e dei monti della Laga, l’idea di un’economia “rinnovabile”, come la definisce il direttore della Riserva, Fernando Di Fabrizio.
Un tuffo nel futuro che mal si sposa con la filosofia aziendale del gruppo Toto, fondata sul cemento.
L’azienda sottoscrive (aprile 2001) senza riserva il verbale di consegna dei lavori, ovvero l’avvio dell’opera. Nel febbraio del 2002 vengono sospesi i lavori. Secondo i pm, quest’atto ha l’unico scopo di “consentire ai Toto la formulazione di riserve e porre le condizioni per una perizia di variante, che consentirà all’impresa di recuperare l’antieconomico piano presentato”. Ovvero di chiedere un indennizzo per il blocco lavori (e in effetti l’azienda ha incassato 1,7 milioni di euro, più Iva, come risarcimento per il fermo cantiere) e di modificare il progetto. La “variante” viene approvata nell’aprile del 2003: il costo, a quel punto, è lievitato di quasi un quinto rispetto all’offerta dei Toto (e il primo “lotto funzionale” vale oltre 22,8 milioni di euro), garantendo all’azienda un utile indebito di quasi 3 milioni di euro. Al posto di una strada che, seguendo l’orografia del terreno, modificava il tracciato della Ss 81, è prevista la realizzazione di due viadotti, Penne 1 di 512 metri e Penne 2 di 229. Sono ventidue milioni di euro per poco più di un chilometro di strada. La cosa più grave, però, è un’altra, e cioè che “la bozza di tale richiesta (la perizia della variante, ndr) sia stata rinvenuta in un file creato e salvato circa un mese prima dell’approvazione nel notebook sequestrato al dipendente della ditta Toto Vincenzo Consalvo”, come spiega l’ordinanza dell’aprile 2010.
Il “sistema” salta sull’unica variabile indipendente: un gruppo di ambientalisti che, senza saperlo, scoperchiano il vaso di Pandora. L’inchiesta si è aperta nel 2008 perché le ruspe del gruppo Toto, impegnate nella realizzazione dell’intervento sulla statale 81, avevano invaso per un chilometro e mezzo la Riserva naturale regionale Lago di Penne, che è anche un’Oasi del Wwf. Dopo un esposto del direttore della riserva, Fernando Di Fabrizio, il Corpo forestale dello Stato ha sequestrato il cantiere, dando il là alle indagini. Eppure la verifica di compatibilità ambientale era chiara quando spiegava che “il tracciato della variante, nella sua ipotesi definitiva, non interferisce dunque con le aree tutelate dal vincolo di riserva”. A rassicurare sulla bontà dell’iniziativa era intervenuto, in sede di conferenza dei servizi, il geometra Giampiero Leombroni, allora funzionario della Provincia di Pescara ma oggi dirigente di Toto spa.
È questo che spaventa Augusto De Sanctis, responsabile Acque ed Oasi del Wwf in Abruzzo: “Il meccanismo è raffinato, complesso, e investe molti piani. Mi chiedo come sia possibile che il comitato regionale incaricato della valutazione d’impatto ambientale non si sia reso conto che il progetto proposto presentava una cartografia ‘errata’, non veritiera. Quella di Penne è una Riserva istituita dalla Regione Abruzzo. E gli uffici della Regione non possono non averne una cartografia. Che fai, invece, ti fidi ciecamente?, non eserciti alcun controllo?”. I membri del Comitato regionale Via (Valutazione d’impatto ambientale) non sono comunque coinvolti nell’inchiesta.
Racconta ancora De Sanctis che dopo il sequestro del cantiere di un’opera che i pennesi in realtà “sognavano dagli anni 60”, lui e Fernando Di Fabrizio -il direttore della Riserva- hanno organizzato un’assemblea pubblica, in piazza, descrivendo, dati alla mano, lo scempio che era in corso. “Secondo la maggioranza dei pennesi la perdita di un’opportunità di ‘sviluppo’ era di chi aveva denunciato. Il sindaco era arrivato a suggerire, come ipotesi di mitigazione, di dipingere di verde i piloni dei viadotti, o in alternativa di spostare i confini delle Riserva”. Voi lettori potete immaginare i viadotti come una striscia grigia, che taglia a metà la zona tra il lago di Penne e il centro storico della cittadina. L’abbiamo potuta osservare dalla Masseria dell’Oasi, l’azienda agricola biologica che dal ‘90 è attiva all’interno della riserva (vedi box). Ha portato a Penne, a tre chilometri in linea d’aria dall’ingresso del Parco nazionale del Gran Sasso e dei monti della Laga, l’idea di un’economia “rinnovabile”, come la definisce il direttore della Riserva, Fernando Di Fabrizio.
Un tuffo nel futuro che mal si sposa con la filosofia aziendale del gruppo Toto, fondata sul cemento.
La riserva invasa dal cantiere
L’educazione ambientale, l’ospitalità, l’agricoltura biologica e la trasformazione delle materie prime agricole sono il fiore all’occhiello della Riserva naturale regionale Lago di Penne. Istituita nel 1987, fa parte del circuito delle Oasi del Wwf.
La riserva comprende un’area di 150 ettari oltre, a una fascia di protezione che supera i mille ettari, quella che è stata invasa dai cantieri della Ss 81, ed è gestita da un comitato, che riunisce Comune di Penne, Consorzio di bonifica centro e Wwf Italia. L’attività operativa è affidata alla cooperativa Cogecstre, che ha sviluppato, ad esempio, “Lapiss”, un Laboratorio per le aree protette italiane e lo sviluppo sostenibile, e la Masseria dell’Oasi, che coltiva cereali certificati biologici e produce pasta biologica distribuita, tra l’altro, nei negozi Coop di Abruzzo e Molise e in molte delle Oasi del Wwf italiane. Le otto cooperative attive all’interno della Riserva impiegano 33 persone, e rappresentano la seconda “impresa” per la cittadina. Dopo il terremoto dell’aprile 2009, le strutture della Riserva hanno ospitato la facoltà di Scienze ambientali dell’Università de L’Aquila.
La riserva comprende un’area di 150 ettari oltre, a una fascia di protezione che supera i mille ettari, quella che è stata invasa dai cantieri della Ss 81, ed è gestita da un comitato, che riunisce Comune di Penne, Consorzio di bonifica centro e Wwf Italia. L’attività operativa è affidata alla cooperativa Cogecstre, che ha sviluppato, ad esempio, “Lapiss”, un Laboratorio per le aree protette italiane e lo sviluppo sostenibile, e la Masseria dell’Oasi, che coltiva cereali certificati biologici e produce pasta biologica distribuita, tra l’altro, nei negozi Coop di Abruzzo e Molise e in molte delle Oasi del Wwf italiane. Le otto cooperative attive all’interno della Riserva impiegano 33 persone, e rappresentano la seconda “impresa” per la cittadina. Dopo il terremoto dell’aprile 2009, le strutture della Riserva hanno ospitato la facoltà di Scienze ambientali dell’Università de L’Aquila.
Il progetto di cementificio a Bussi
Dalla bonifica all’inceneritore?
“Bussi-Popoli” è un casello lungo l’A25. Il borgo di Popoli è attraversato dal fiume Pescara, dove -alla fonte Primavera- s’imbottiglia l’acqua San Benedetto; Bussi, invece, è bagnata dal fiume Tirino. Per chi arriva dalla costa adriatica, la segnalazione dell’uscita arriva dopo aver superato, percorrendo un viadotto, l’area industriale di Bussi Officine, occupata dall’inizio del Novecento da industrie chimiche (oggi ci sono Solvay ed Edison, in passato c’era Montedison).
La distesa di capannoni e ciminiere è un “sito d’interesse nazionale”, e dev’essere sottoposto a bonifica. Oltre 80mila metri quadrati di terreno nascondono almeno 665mila metri cubi di rifiuti industriali pericolosi. La discarica è illegale, ha inquinato le falde, e per questo è in corso un processo. Nel frattempo, però, c’è da organizzare la bonifica. Ci pensa, responsabilmente, il governo: con il decreto milleproroghe il governo ha stanziato 50 milioni di euro per il triennio 2011-2013: “Le opere e gli interventi di bonifica e messa in sicurezza dovranno essere prioritariamente attuati sulle aree industriali dismesse e siti limitrofi, al fine di consentirne la reindustrializzazione”. I fondi, pescati tra quelli stanziati per la ricostruzione del tessuto economico e sociale della città de L’Aquila, potrebbero finire nelle tasche di Carlo Toto. Il 13 settembre scorso, infatti, a Bussi sul Tirino c’è stata una riunione, cui è stato invitato anche il ministero dello Sviluppo economico, il cui oggetto era “Insediamento industriale della azienda ‘Toto Costruzioni Generali spa’”. Carlo Toto a Bussi vorrebbe realizzare un cementificio. O, almeno, sfruttare la cava di 60 ettari sulla montagna dietro il centro storico del borgo.
Produrre cemento è un vecchio pallino per l’industriale abruzzese, che negli anni scorsi ha dovuto rinunciare -a causa dell’opposizione popolare- ad aprire uno stabilimento simile a Sulmona, in provincia de L’Aquila. Salvatore La Gatta è consigliere comunale d’opposizione, dopo esser stato assessore all’Ambiente a Bussi. Non crede alla “favola” del cementificio: “Credo che voglia realizzare un impianto di incenerimento di rifiuti. Ma il problema è l’idea di bonifica legata al reinsediamento industriale, che apre la strada ad una ‘bonifica leggera’ dell’area. Dopo una colata di cemento, chi verrà a fare i carotaggi al terreno?” si chiede La Gatta. Contro il progetto giocano anche i numeri e la “congiuntura economica”: dei tre cementifici attivi in Abruzzo, uno sta chiudendo (Pescara), uno chiuderà se non avrà il permesso di bruciare rifiuti (Scafa, a 10 chilometri da Bussi), il terzo (a Cagnano Amiterno, provincia de L’Aquila) è in crisi. L’ipotesi di un nuovo cementificio stupisce anche Nicola Zampella, responsabile dell’Ufficio studi Aitec (l’associazione dei produttori di cemento): negli ultimi 2 anni la produzione è scesa del 30%, “e i nostri indicatori su edilizia residenziale ed opere pubbliche ci prospettano una ‘stabilità’ per i prossimi anni”.
La distesa di capannoni e ciminiere è un “sito d’interesse nazionale”, e dev’essere sottoposto a bonifica. Oltre 80mila metri quadrati di terreno nascondono almeno 665mila metri cubi di rifiuti industriali pericolosi. La discarica è illegale, ha inquinato le falde, e per questo è in corso un processo. Nel frattempo, però, c’è da organizzare la bonifica. Ci pensa, responsabilmente, il governo: con il decreto milleproroghe il governo ha stanziato 50 milioni di euro per il triennio 2011-2013: “Le opere e gli interventi di bonifica e messa in sicurezza dovranno essere prioritariamente attuati sulle aree industriali dismesse e siti limitrofi, al fine di consentirne la reindustrializzazione”. I fondi, pescati tra quelli stanziati per la ricostruzione del tessuto economico e sociale della città de L’Aquila, potrebbero finire nelle tasche di Carlo Toto. Il 13 settembre scorso, infatti, a Bussi sul Tirino c’è stata una riunione, cui è stato invitato anche il ministero dello Sviluppo economico, il cui oggetto era “Insediamento industriale della azienda ‘Toto Costruzioni Generali spa’”. Carlo Toto a Bussi vorrebbe realizzare un cementificio. O, almeno, sfruttare la cava di 60 ettari sulla montagna dietro il centro storico del borgo.
Produrre cemento è un vecchio pallino per l’industriale abruzzese, che negli anni scorsi ha dovuto rinunciare -a causa dell’opposizione popolare- ad aprire uno stabilimento simile a Sulmona, in provincia de L’Aquila. Salvatore La Gatta è consigliere comunale d’opposizione, dopo esser stato assessore all’Ambiente a Bussi. Non crede alla “favola” del cementificio: “Credo che voglia realizzare un impianto di incenerimento di rifiuti. Ma il problema è l’idea di bonifica legata al reinsediamento industriale, che apre la strada ad una ‘bonifica leggera’ dell’area. Dopo una colata di cemento, chi verrà a fare i carotaggi al terreno?” si chiede La Gatta. Contro il progetto giocano anche i numeri e la “congiuntura economica”: dei tre cementifici attivi in Abruzzo, uno sta chiudendo (Pescara), uno chiuderà se non avrà il permesso di bruciare rifiuti (Scafa, a 10 chilometri da Bussi), il terzo (a Cagnano Amiterno, provincia de L’Aquila) è in crisi. L’ipotesi di un nuovo cementificio stupisce anche Nicola Zampella, responsabile dell’Ufficio studi Aitec (l’associazione dei produttori di cemento): negli ultimi 2 anni la produzione è scesa del 30%, “e i nostri indicatori su edilizia residenziale ed opere pubbliche ci prospettano una ‘stabilità’ per i prossimi anni”.
Dall’asfalto al cielo
Toto Costruzioni Generali spa è tra le prime trenta imprese di costruzioni in Italia. È attiva anche nei settori del trasporto ferroviario, del trasporto aereo, dell’immobiliare. Il gruppo ha chiuso il 2009 con un fatturato consolidato di 192,4 milioni di euro, che non tiene conto, ad esempio, di tutte le partecipazioni.
A fine 2009, l’azienda vantava un portafoglio ordini di 588 milioni di euro. Di questi, 210 milioni di euro fanno riferimento a società controllate o partecipate dai Toto, Strada dei Parchi spa (vedi pezzo principale) e Interporto della Val Pescara, una società partecipata al 10,5% (a marzo 2011 è stato firmato l’accordo per realizzare uno svincolo al servizio dell’Interporto lungo l’A25: costerà 8 milioni di euro e verrà pagato dalla Regione Abruzzo). Toto è al lavoro anche sul cantiere della variante di valico sull’A1.
L’imprenditore abruzzese Carlo Toto, nato a Chieti nel 1944, controlla il 98% dell’azienda, il cui amministratore delegato è il figlio Alfonso. Toto possiede oggi il 5,16% di Cai-Alitalia, e all’ex compagnia area di Stato affitta 13 vettori attraverso quindici società di diritto irlandese, create ad hoc.
A fine 2009, l’azienda vantava un portafoglio ordini di 588 milioni di euro. Di questi, 210 milioni di euro fanno riferimento a società controllate o partecipate dai Toto, Strada dei Parchi spa (vedi pezzo principale) e Interporto della Val Pescara, una società partecipata al 10,5% (a marzo 2011 è stato firmato l’accordo per realizzare uno svincolo al servizio dell’Interporto lungo l’A25: costerà 8 milioni di euro e verrà pagato dalla Regione Abruzzo). Toto è al lavoro anche sul cantiere della variante di valico sull’A1.
L’imprenditore abruzzese Carlo Toto, nato a Chieti nel 1944, controlla il 98% dell’azienda, il cui amministratore delegato è il figlio Alfonso. Toto possiede oggi il 5,16% di Cai-Alitalia, e all’ex compagnia area di Stato affitta 13 vettori attraverso quindici società di diritto irlandese, create ad hoc.
Il 23 febbraio 201, i Toto e Luciano D’Alfonso sono stati rinviati a giudizio per un’altra inchiesta, denominata “Housework”, su presunte tangenti negli appalti pubblici al Comune di Pescara, che nel dicembre 2008 aveva portato anche all’arresto dell’ex sindaco di Pescara.