Opinioni
Il confine della mafia
Con Ventimiglia sfonda quota “200” il numero degli enti sciolti per infiltrazioni da parte della criminalità organizzata. E le Regioni del Nord lavorano a leggi per contrastare il fenomeno
Duecentotre. Avete letto bene. Tanti sono i decreti di scioglimento di enti locali per infiltrazione mafiosa emessi dal 1991 al febbraio 2012 in Italia. L’ultimo è quello relativo al comune di Ventimiglia, in Liguria, dove nel marzo dell’anno scorso era già stato sciolto il Comune di Bordighera (entrambi in provincia di Imperia).
Agli inizi dell’anno, prima di Ventimiglia, sono stati sciolti i comuni calabresi di Samo (Rc) e Briatico (Vv), ed è nell’aria il nome dei comuni di Casapesenna (Ce) -il cui sindaco è stato arrestato a metà febbraio con l’accusa di essere un uomo al servizio del clan dei casalesi-, Gragnano (Na) e Salemi (Tp). Quest’ultimo fino a qualche settimana fa era guidato da una maggioranza guidata dal vulcanico critico d’arte Vittorio Sgarbi, già sottosegretario ai Beni culturali. In una lettera pubblicata da Il Giornale l’8 febbraio scorso, Sgarbi ha motivato le sue dimissioni da primo cittadino del comune trapanese scrivendo che “fare il sindaco in Sicilia è impossibile”, che lui non si è mai accorto che nell’amministrazione locale si fossero inseriti dei “poteri occulti”, che si sente in pericolo e per questo ritorna al Nord “sollevato e felice”.
Sgarbi ha ragione. Fare politica in Sicilia e al Sud non è certamente facile ed è anche pericoloso. Lo abbiamo già raccontato, illustrando i dati sulle minacce e le intimidazioni di tipo mafioso documentate dal rapporto “Amministratori sotto tiro” di Avviso Pubblico (vedi Ae 134). A differenza dell’ex sindaco di Salemi, tuttavia, diverse donne e uomini del Sud continuano ancora oggi a restare al loro posto in qualità di pubblici amministratori, senza godere di lauti stipendi, di privilegi e di scorte armate.
Nel corso del 2011 e all’inizio del 2012, intanto, anche al Nord d’Italia diversi politici a livello regionale e comunale hanno capito che non c’è motivo per essere “sollevati e felici”, e che è sbagliato pensare che il problema della presenza del crimine organizzato riguardi soltanto il Mezzogiorno.
Dopo quanto emerso dalle inchieste della magistratura milanese e reggina, e i duri colpi inferti alla ‘ndrangheta in Lombardia, l’attuale amministrazione comunale di Milano, guidata dal sindaco Giuliano Pisapia, ha istituito un comitato di esperti antimafia presieduto dal professor Nando dalla Chiesa, da anni studioso del fenomeno criminale e autore di importanti pubblicazioni sul tema, e una commissione comunale antimafia, guidata dal consigliere del Pd, David Gentili, che già nella passata consiliatura si era distinto per le sue denunce sulla presenza mafiosa a Milano e si era fatto promotore di un percorso di formazione antimafia per amministratori locali.
Nel settentrione della nostra penisola vi sono, al momento, due regioni che hanno iniziato a lavorare per approvare in tempi rapidi una legge finalizzata a stanziare risorse per diffondere la cultura della legalità e della responsabilità per prevenire e contrastare le mafie. Si tratta della Liguria e del Veneto, mentre la Provincia autonoma di Trento si è data una legge in tal senso nel dicembre 2011, seguendo l’esempio della Regione Lombardia e della Regione Emilia-Romagna.
In Veneto si è partiti il 23 gennaio scorso, con un seminario di lavoro promosso dal gruppo regionale del Pd, al quale hanno partecipato i rappresentanti di tutte le forze politiche, i quali hanno manifestato la volontà di lavorare insieme per darsi uno strumento che rafforzi la prevenzione e il contrasto alle mafie sul territorio regionale.
Questi fatti mettono in evidenza due specifici elementi. Il primo è che anche chi governa nel Nord d’Italia ha compreso che le mafie sono una minaccia attuale e concreta all’economia e alla sicurezza, e che per farvi fronte non bastano soltanto le forze dell’ordine e i magistrati. Il secondo è che gli enti regionali e quelli locali si muovono più celermente del legislatore nazionale, che a settembre 2011 ha varato un “Codice antimafia” (decreto legislativo n. 159) che necessita già di essere modificato, come è emerso in un convegno di insigni giuristi e magistrati svoltosi all’Università di Palermo. —