Ambiente
Il “bambinello” che verrà – Ae 34
Numero 34, novembre 2002Ciclicamente, e sta capitando proprio adesso, sul Pacifico si formano le condizioni per una vera e propria inversione climatica. Ma neppure di fronte al cielo siamo tutti uguali: c'è chi dispone di previsioni meteo attendibili e chi…
Numero 34, novembre 2002
Ciclicamente, e sta capitando proprio adesso, sul Pacifico si formano le condizioni per una vera e propria inversione climatica. Ma neppure di fronte al cielo siamo tutti uguali: c'è chi dispone di previsioni meteo attendibili e chi invece non sa proprio cosa gli capiterà sulla testa. Miliardi di danni che possono essere limitati (o assicurati) nei Paesi ricchi e che invece peseranno ancora di più sulle economie dei Paesi in via di sviluppo.
Quest'anno il “bambinello” potrebbe portare dei doni poco graditi: inondazioni disastrose in varie parti del mondo e siccità in altre. Non è la previsione di una punizione divina per la cattiveria degli uomini, né saranno i guerrafondai a subirne le conseguenze, ma sarà la conseguenza delle variazioni climatiche che da mesi si stanno accumulando nel Pacifico, lungo le coste dell'America latina e attraverso la fascia equatoriale, e che segnano l'arrivo di “El Niño”.
Il nome fu coniato alla fine dell'800 dai pescatori peruviani per indicare l'arrivo di correnti calde lungo la costa del Paese, che si presentano tipicamente verso dicembre-gennaio e che per mesi sostituiscono le acque fredde e ricche di alimenti provenienti dall'Antartico, allontanando i pesci.
Oggi sappiamo che El Niño è solo una fase di una complessa oscillazione climatica che coinvolge le acque oceaniche e l'atmosfera, indicata dai meteorologi con l'acronimo ENSO, per El Niño Soutern Oscillation.
In condizioni climatiche normali i venti prevalenti che, nella fascia equatoriale soffiano da Est verso Ovest, spingono l'acqua superficiale dell'oceano, riscaldata dal Sole, verso l'Oceano Indiano.
Per questo, lungo le coste dell'America Latina, la temperatura dell'acqua è più bassa e l'aria è più fredda e secca, mentre al largo dell'Indonesia l'acqua è più calda e l'aria è ricca di umidità. L'effetto di questa interazione tra atmosfera e oceano è che le temperature sono normalmente più alte di 6-8 gradi nel Pacifico occidentale, dove l'acqua superficiale evapora e si condensa in nubi che provocano le piogge monsoniche in Asia. Ma quando i venti dominanti diminuiscono di intensità o addirittura invertono la loro direzione, l'acqua superficiale più calda non viene più trasportata efficacemente verso Ovest e la differenza di temperatura ai due lati del Pacifico diminuisce. Lungo le coste del Sud America la temperatura oceanica aumenta e la pressione atmosferica si abbassa, mentre la zona di maggior evaporazione si sposta dalle coste asiatiche verso il centro del Pacifico o addirittura presso le coste americane, provocando un aumento delle precipitazioni in queste regioni, mentre in Asia si instaurano condizioni di siccità.
È questa, appunto, la fase di El Niño.
Le oscillazioni climatiche che causano questa situazione sono quasi periodiche, così che El Niño tende a ripresentarsi mediamente dopo circa 4,5 anni e dura da 12 a 18 mesi, ma l'andamento può essere molto irregolare, tanto che storicamente si sono registrati ricorsi con periodi variabili tra 2 e 10 anni e qualche volta il fenomeno è durato anche due anni. Dopo questa fase di inversione delle condizioni climatiche, la situazione tende a ritornare verso la normalità ma può manifestarsi una oscillazione contraria, chiamata La Niña, caratterizzata da temperature più basse e pressioni più alte della norma lungo le coste sudamericane, e temperature più alte e pressioni più basse verso l'Oceano Indiano, che possono a loro volta provocare gravi perturbazioni.
L'ultimo El Niño si è verificato nel 1997-98, ed è stato particolarmente intenso, tanto da strappare il titolo di evento del secolo a quello del 1982-83, che pure aveva provocato enormi danni, e i segni del prossimo evento hanno cominciato a manifestarsi all'inizio del 2002, con un aumento della temperatura delle acque lungo le coste sudamericane e una diminuzione della pressione nella regione, seguita dalle prime piogge torrenziale durante l'estate.
Per ora i meteorologi prevedono che l'apice del fenomeno si avrà nei primi mesi del 2003 e che la sua intensità sarà probabilmente inferiore rispetto al precedente, ma hanno messo in allerta i governi dei Paesi interessati, invitandoli a prendere tutte le precauzioni del caso, sottolinenado che per avere previsioni dettagliate occorre seguire ulteriormente le variazioni climatiche in corso e non si possono escludere brutte sorprese.
Il fenomeno è tenuto sotto costante monitoraggio da una imponente rete di osservazione.
Dal 1985 è attivo il programma di ricerca e osservazione Toga (Tropical Ocean Global Atmosphere), sponsorizzato dall'United Nations World Climate Reserach Program, che conta attualmente su diversi satelliti meteorologici e su una rete di 70 boe disposte lungo la fascia equatoriale del Pacifico.
Non si può dire che manchino gli sforzi da parte della comunità scientifica internazionale per capire il fenomeno Enso e per prevederne le conseguenze, ma tutto quello che si può fare è prevedere con il maggior anticipo possibile e lanciare l'allarme.!!pagebreak!!
Economie nella bufera
La prevenzione delle conseguenze è un problema politico, e qui cominciano le note dolenti.
Le conseguenze del El Niño del '97-'98 sono state analizzate in dettaglio da vari rapporti internazionali, e tutti concordano sulla loro estrema gravità sul piano sociale ed economico.
Una grande compagnia di assicurazioni come la Swiss Re ha stimato danni economici complessivi per un valore di 96 miliardi di dollari, ma a questa cifra enorme bisogna aggiungere i morti provocati dalle inondazioni e dalle siccità che hanno interessato molti Paesi anche lontani dalla fascia direttamente investita dal fenomeno.
Il fatto è che El Niño fa sentire le sue conseguenze a grande distanza e spesso non è facile distinguere tra gli eventi direttamente legati ad esso e quelli dovuti a eventi naturali indipendenti.
Gli incendi che devastarono circa 5,23 milioni di ettari di foreste e campi in Indonesia, ad esempio, erano certamente connessi alla siccità causata dallo scorso El Niño, ma alcuni studi indicano che anche nell'Amazzonia molti incendi si estesero in modo abnorme a causa della relativa mancanza di piogge.
Nei Paesi africani che si affacciano sull'Oceano Indiano, come il Kenia e l'Etiopia, la normale stagione delle piogge tra giugno e agosto fu più secca del solito nel 1997-98, mentre la breve stagione delle piogge tipica dei mesi di ottobre-dicembre fu molto più intensa del normale e si protrasse fino ai primi mesi del 1999, con gravi conseguenze sull'agricoltura.
I danni non sono solo momentanei e legati ai singoli eventi climatici. Le conseguenze economiche si fanno sentire per anni, soprattutto nei Paesi più poveri, spesso ingigantiti dai mancati interventi dei governi o addirittura da scelte economiche sbagliate.
È il caso, ad esempio, del Perù, dove nel 1997-98 non era solo El Niño a imperversare, ma anche il presidente Fujimori, con la sua politica ultraliberista e di supina esecuzione degli ordini del Fondo monetario Internazionale.
Il Perù è uno dei Paesi più esposti alle conseguenze disastrose di El Niño, e non solo per le attività legate alla pesca, colpite dalla forte riduzione della quantità di pesce disponibile in seguito al riscaldamento delle acque costiere.
Durante un evento particolarmente intenso, come quello scorso, le piogge torrenziali sulle regioni interne producono danni irreparabili alle terre coltivabili, dilavando la superficie e trascinando nei fiumi lo strato fertile del terreno.
Contadini nell'occhio del ciclone
Nel 1997 il ministero dell'agricoltura, messo sull'avviso dalle previsioni meteorologiche, aveva avviato una campagna di protezione dei campi, ma non aveva pensato ad attivare dei meccanismi economici di sostegno ai contadini per affrontare l'evento (forse i soldi servivano ad altro).
Le piogge finirono per rovinare molti raccolti, ma i contadini, soprattutto nel Nord del Paese, avrebbero potuto rifarsi in parte delle perdite grazie alla vendita del riso, particolarmente abbondante proprio grazie alle piogge intense. Peccato che non poterono disporre dei crediti necessari per avviare una campagna di raccolta adeguata e molto del riso rimase a marcire nei campi.
L'anno successivo si ripresentò una situazione analoga, e i contadini riuscirono a racimolare, con grandi sforzi delle organizzazioni di villaggio, i fondi necessari per una campagna di raccolta del riso. Fujimori però pensò bene di attuare le indicazioni del Fmi, liberalizzando il mercato del riso e aprendo le frontiere alle importazione dal Sud-Est asiatico, proprio quando i paesi di questa regione erano disposti a vendere il loro riso a qualunque prezzo, per far fronte alla crisi economica che li aveva investiti.
Così il prezzo del riso crollò e per i contadini fu un disastro, cui si aggiunse la diffusione di parassiti e malattie delle piante alimentate dal clima caldo che hanno continuato a decimare i raccolti fino al 2000. Il caso peruviano è solo uno dei tanti che si possono citare per sottolineare come il problema della prevenzione dei danni prodotti da El Niño non sia semplicemente un problema di previsioni meteorologiche.
Nel 1982-83 il Perù affrontò una situazione paragonabile a quella del 1997-98 con un sistema di credito agricolo funzionante, forse non era il massimo dell'efficienza richiesta dagli economisti del Fmi e della Banca mondiale, ma era in grado di far arrivare ai contadini una quantità di denaro sufficiente ad affrontare le emergenze.
Ora quel sistema di credito non esiste più e ai contadini servirà a poco essere preavvertiti in tempo di quello che li aspetta.!!pagebreak!!
Misure salvagente inesistenti
E il problema è lo stesso per molti altri Paesi che dovranno affrontare le bizze del “bambinello”.
La Wmo (World Meteorological Organization) ha indicato chiaramente fin dal 1999 che gli sforzi di previsione dei meteorologi serviranno a poco se i governi e le istituzioni finanziarie internazionali non predisporranno tutte le misure necessarie per far fronte agli eventi che El Niño porta inevitabilmente con sé. E si tratta innanzi tutto di misure economiche per le quali sono necessarie risorse che devono essere messe a disposizione delle fasce più deboli ed esposte della popolazione, ma pochi governi hanno potuto attuare queste misure e non sembra che il Fmi o la Banca mondiale abbiano considerato questo problema tra le loro priorità.
Forse tutti sperano che il “bambinello” questa volta sarà più clemente, ma una previsione facile è che le condizioni di fame in cui già si trovano 20 milioni di abitanti delle regioni dell'Africa sudorientale saranno destinate a protrarsi almeno per un altro anno.
Quando il vento soffia contro
El Niño é una delle fasi delle oscillazione climatiche che coinvolgono le acque oceaniche e l'atmosfera nella fascia equatoriale del Pacifico.
In condizioni normali i venti dominanti spostano l'acqua superficiale più calda verso Ovest, dove evapora e causa intense piogge, come illustrato nella parte in alto dello schema nella pagina precedente. Quando i venti equatoriali cambiano direzione, o la distribuzione superficiale delle acque si modifica, si innesca un processo inverso, che tende ad autoalimentarsi e la zona di maggior evaporazione si sposta verso il centro del Pacifico, determinanado condizioni di siccità a Ovest e di intense piogge sulla costa Est, come si vede nella parte in basso del grafico.
Questa é la fase di El Niño, caratterizzata da una pressione atmosferica più bassa della media lungo le coste americane e più alta sopra l'Indonesia, e da temperature superficiali dell'oceano più alte del solito verso Est. Queste variazioni di temperatura sono evidenziate nell'immagine qui a fianco che mostra, in rosso, le regioni più calde della media durante la fase di massimo sviluppo di El Niño del 1997-98.
Gli Usa si assicurano il cielo
Le condizioni climatiche negli Stati Uniti sono particolarmente sensibili alle variazioni cicliche legate a El Niño, con notevoli conseguenze sull'economia.
Si calcola che l'impatto dell'evento del 1997-98 sia stato pari a circa 25 miliardi di dollari, ma con effetti che hanno comportato sia perdite che guadagni, a seconda delle regioni o dei diversi settori dell'economia.
Le vendite nei grandi magazzini del Midwest, ad esempio, sono aumentate del 15% durante i mesi insolitamente caldi dell'inverno 1997, e sono diminuite le spese di riscaldamento per le famiglie, il che ha significato una perdita per le industrie petrolifere; sono diminuiti gli affari per le stazioni sciistiche della costa occidentale ma sono migliorati negli Stati centrali.
Nel complesso perdite e profitti tendono ad equilibrarsi in una economia ricca e fortemente integrata come quella Usa e le previsioni sempre più anticipate e dettagliate offerte dai meteorologi possono ulteriormente migliorare la situazione, offrendo l'opportunità di prevenire i rischi, limitare i danni e trarre profitto dalle situazioni favorevoli. Purtroppo gli abitanti degli altri Paesi che dovranno confrontarsi col prossimo El Niño non avranno le stesse opportunità di ricorrere a coperture assicurative o ai raffinati strumenti del mercato finanziario, e in molti casi non avranno nemmeno la possibilità di conoscere in anticipo quello che il cielo riserva loro.!!pagebreak!!
La coda della tempesta
I danni provocati da El Niño sono particolarmente gravi nei Paesi che si affaciano sul Pacifico, colpiti da inondazioni, sulla sponda orientale, o da siccità, dall'altra parte dell'oceano.
Nel 1997 il cima secco favorì il diffondersi degli incendi di foreste nelle Filippine e soprattutto in Indonesia, dove i danni causati dagli incendi furono stimati in oltre 9 miliardi di dollari.
Gli incendi durarono diversi mesi, producendo una vasta nube di fumo che investì anche i Paesi vicini, riversando nell'atmosfera oltre 700 milioni di tonnellate di biossido di carbonio, pari a circa il 22% dell'intera produzione mondiale in quell'anno.
Una immagine dell'estensione degli incendi sviluppatisi tra il luglio e il dicembre 1997 è riportata qui sopra, ricostruita dalle osservazioni del Defense Meteorological Satellite Program del Dipartimento della Difesa USA (gli incendi sono indicati in rosso). Ma El Niño produce anche effeti a distanza, in Paesi apparentemente lontani dalle coste del Pacifico. Nel 1983, ad esempio, il Mozambico fu interessato da una siccità particolarmente disastrosa, iniziata prima del El Niño, ma che fu prolungata e intensificata da esso, e causò la morte di oltre 100.000 persone.
Questi effetti a distanza sono difficili da prevedere condizionati da altre caratteristiche climatiche locali, come l'evoluzione dei monsoni nell'Oceano Indiano; in Bangladesh nel giugno del '97 si registrò, ad esempio, una diminuzione delle piogge di circa il 60%, con una diminuzione della produzione di riso di circa il 25% nella stagione 1997-98.
Per approfondire
I siti dedicati a El Niño sul Web sono moltissimi. Un aggiornamento periodico si trova al sito della World meteorological Organization:
http://www.wmo.ch/web/whats-new.html
Una pagina da cui è possibile accedere a molti altri link e a immagini da satellite è quella della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Organization).
http://www.noaanews.noaa.gov/stories/s1060.htm
Il rapporto della Wmo sulle lezioni da trarre dall'evento del 1997-98, dal titolo indicativo: Lesson Learned from the 1997-98 El Nino: Once Burned, Twice why?
Si trova all'indirizzo: http://www.esig.ucar.edu/un/