Ambiente
“Cemento = sviluppo”, l’equazione che non c’è
“Cemento + infrastrutture = sviluppo”. È la ricetta per superare la crisi proposta dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, ripetuta più volte e a gran voce nelle ultime settimane, come un mantra. Probabilmente per questo Marcegaglia avrà subito come uno…
“Cemento + infrastrutture = sviluppo”. È la ricetta per superare la crisi proposta dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, ripetuta più volte e a gran voce nelle ultime settimane, come un mantra. Probabilmente per questo Marcegaglia avrà subito come uno shock la decisione della Provincia di Torino, che nei giorni scorsi non ha autorizzato un Comune della cintura, La Loggia, a cambiare destinazione d’uso da agricola a commerciale a un’area di 160mila metri quadri, “scelta” da Ikea per localizzare il secondo megastore di mobili a incastro del Piemonte. Uno scompenso cui ha dato voce Il Sole 24 Ore, che martedì 26 luglio ha titolato in prima pagina: “Ancora sviluppo negato: Torino non vuole l’Ikea”.
La multinazionale olandese avrebbe così cancellato un investimento da 70 milioni di euro, “che avrebbe portato 250 posti di lavoro”, come spiega il quotidiano di Confindustria. “Il via libera del Comune di La Loggia, nella cintura torinese, è arrivato in tempi rapidi, ma a mettersi di traverso, dopo un accordo ormai raggiunto su oneri di urbanizzazione e compensazioni ambientali (in tutto 17,3 milioni a carico di Ikea), è stata la Provincia di Torino” ricostruisce Il Sole. Colpevole, la Provincia, di paventare addirittura “il rischio di una speculazione immobiliare”.
Oggi (27 luglio), Antonio Saitta -il presidente della Provincia di Torino, l’uomo che sarebbe contrario allo sviluppo– spiega, interrogato dal quotidiano La Stampa, le ragioni del suo “No!”.
Parole da leggere e meditare con attenzione per chiunque si trovi ad amministrare, continuamente chiamato a decidere se concedere deroghe e varianti: “’Perché avete detto ‘no’? ‘Perché abbiamo un piano territoriale provinciale che tutela i terreni agricoli per evitare il consumo del territorio. Se un imprenditore vuole impiantare un’attività, lo faccia da imprenditore andando su aree industriali o commerciali. Se la sua è una scelta economica’”; “’Ma così rischiate di perdere un investimento di 60 milioni di euro e 250 posti di lavoro. Come lo si spiega al territorio?’ ‘Mettiamola così: se avessimo detto “sì” a Ikea, l’indomani sarebbero potuti arrivare altri imprenditori a chiedere lo stesso trattamento. E questo non è pensabile. I piani urbanistici servono a questo’”; “’Esiste un punto di equilibrio tra capacità di un territorio di attrarre capitali e tutela del suolo?’ ‘Sì, ed è il nostro piano territoriale. Siamo sempre stati disponibili a seguire gli investimenti, ma entro i termini di legge. Se un terreno è agricolo e ci sono altri terreni industriali o commerciali abbandonati, preferiamo dirottare là le nuove attività’”. Sono tre i concetti da salvare: consumo di suolo, pianificazione e punto di equilibrio. Rispettare una programmazione, in questo caso il Piano territoriale provinciale, spiega Saitta, è l’unica garanzia per la tutela del suolo. Ragioni che rendono quella presa a Torino una “decisione incomprensibile”, come ha commentato Ikea Italia al Sole 24 Ore.
“Decisione incomprensibile” se il modello auspicato è quello raccontato poco più avanti, a pagina 10 del quotidiano, in relazione alle infrastrutture in corso di realizzazione in Lombardia.
Da una parte c’è la notizia che la realizzazione della “BreBeMi”, la nuova autostrada direttissima che collegherà Brescia, Treviglio (Bg) e Milano, 62 chilometri per un costo di 1,9 miliardi di euro, è completamente finanziata da un pool di banche (tra queste c’è anche la Cassa depositi e prestiti, "il sovrano sconosciuto" cui dedichiamo un’inchiesta sul numero di luglio/agosto di Ae). Dall’altra, e forse come sua diretta conseguenza, c’è l’esigenza -avanzata a gran voce da Francesco Bettoni, presidente della Società di progetto BreBeMi, cui primo azionista è Intesa Sanpaolo- di approvare anche il progetto della Tem, la Tangenziale Est esterna di Milano, definita da Bettoni “indispensabile per garantire la completa funzionalità della BreBeMi”. “Ma senza Tem la nuova opera (la BreBeMi, ndr) finisce nei campi” titola Il Sole 24 Ore: è così, un’infrastruttura chiama l’altra. È, e torniamo all’inizio, un’idea di sviluppo che si nutre di cemento. Cui poco importa se la nuova tangenziale di Milano, come abbiamo raccontato su Ae di maggio, cancella il campo di grano bio dei Gas, “materia prima” della filiera locale del pane “Spiga&madia” promossa dal Distretto di economia solidale della Brianza. È “una rotonda sul pane”, in nome dello sviluppo.