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Ambiente

Acquedotti e investimenti. Dal Comitato referendario un “Piano straordinario”

Il Comitato referendario “2 sì per l’acqua bene comune” ha scelto un titolo ambizioso, “Come finanziare il servizio idrico integrato: proposte per un nuovo piano di investimenti nazionale”, per un progetto ancora più ambizioso, ridiscutere il meccanismo che, dal ’94,…

Il Comitato referendario “2 sì per l’acqua bene comune” ha scelto un titolo ambizioso, “Come finanziare il servizio idrico integrato: proposte per un nuovo piano di investimenti nazionale”, per un progetto ancora più ambizioso, ridiscutere il meccanismo che, dal ’94, prevede che tutti i costi di gestione e investimento delle reti idriche vengano corrisposti dai cittadini attraverso le bollette. È il cosiddetto full cost recovery, ed è alla base della privatizzazione dei gestori del servizio idrico integrato (acquedotti, sistemi di depurazione e fognature).
Corrado Oddi, del Comitato referendario spiega che questa riflessione nasce a partire dalla necessità di dar risposta a due esigenze: “La prima è che il servizio idrico integrato necessita di una mole significativa di investimenti, quantificabile in almeno 40 miliardi nei prossimi 20 anni. Una parte servirà alla ristrutturazione delle reti, l’altra a realizzare nuove opere, in particolare per quanto riguarda la depurazione.
La seconda è che l’attuale sistema, il meccanismo del full cost recovery, che carica tutto sulla tariffa, si è dimostrato inadeguato per garantire questi investimenti”.
Nel documento redatto da un gruppo di studio del Comitato referendario il giudizio è ancor più duro: si parla, addirittura, di “fallimento” del meccanismo tariffario.
“Questo giudizio non è pregiudiziale -spiega Oddi-: dal 1994 ad oggi, ha dato prova di risultati disastrosi. Da un lato, questo meccanismo ha determinato un forte incremento tariffario, almeno del 60%, dall’altro, assistiamo ad un crollo degli investimi, che sono scesi dei 2/3. Inoltre, perché possano ‘stare in piedi’ i modelli economici basati sul full cost recovery, vengono ipotizzati anche consumi idrici in crescita dell’1% all’anno per i prossimi vent’anni. Ciò significa che questo ‘modello’ è socialmente insostenibile, economicamente inefficiente e disastroso da un punto di vista ambientale”.
Ed è proprio da questo giudizio, condiviso dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, che già nella proposta di legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato del 2007 metteva in discussione il full cost recovery, che muove l’alternativa, l’idea di costruire un nuovo modello tariffario. “Due i pilastri -racconta Oddi-: facciamo scendere in campo la finanza pubblica e la fiscalità generale. Del resto, tutte le volte che si parla di investimenti è implicito il ricorso alla finanza pubblica e alla fiscalità generale. Pensiamo al settore dell’istruzione, o alla sanità. Quando ragioniamo su un ‘bene comune’, su un servizio pubblico che deve garantire diritti di cittadinanza, è necessario l’intervento della finanza pubblica. Non è un caso che tutti i processi di privatizzazione si siano realizzati dando, prima, alla gestione una forma di tipo privatistico (la società per azioni) e, quindi, prevedendo l’esclusione di qualsiasi intervento da parte della finanza pubblica. Parlando di finanza pubblica e fiscalità generale -precisa Oddi-, abbiamo costruito un meccanismo che si misura con due vincoli, il deficit e il debito pubblico, e l’intervento è pensato per non gravare né su l’uno né sull’altro. L’altro vincolo, è che l’intervento coperto grazie a risorse della fiscalità è a saldo zero. Le risorse utilizzate o sono prese da nuove entrate, o prevedendo minori spese in altri settori”.
Quali strumenti pensate che sia possibile mettere in campo?
“Lo strumento che abbiamo ritenuto più idoneo è il prestito irredimibile, che come è noto è un prestito che non da diritto alla restituzione del capitale, e per questo paga un interessa alto. Il prestito irredimibile dovrebbe raccogliere circa 20 miliardi di euro, la metà rispetto al totale degli investimenti. Il costo degli interessi, del 6%, viene caricato sulla tariffa. E non genera debito pubblico. Con questo strumento mobilitiamo le risorse necessarie per la ristrutturazione. La fiscalità generale viene invece utilizzata per coprire gli investimenti in nuove opere e per affermare il principio del diritto all’acqua, ovvero che i primi 50 litri di consumo pro capite al giorno debbano essere garantiti a tutti.
Complessivamente stimiamo, per la copertura di questi costi, un utilizzo di circa 2,7 miliardi di euro all’anno. Trovare 2,7 miliardi nel bilancio pubblico non è cosa complicata, basta sfatare il tabù secondo il quale non ci sono le risorse. A titolo esemplificativo, noi pensiamo ad esempio che ci possano essere maggiori entrare per 1,5 miliardi dalla lotta all’evasione ed elusione fiscale, che si attesta sui 120 miliardi all’anno, e che questa possa essere considerata una fonte di entrate permanente. Possiamo poi ridurre le spese militari, ad esempio. La posta dell’acquisto di cacciabombardieri F35 è 700 milioni di euro all’anno per i prossimi 20 anni; altri 500 milioni di euro potranno essere coperti da una tassa di scopo sulle bottiglie in Pet. Un altro intervento piuttosto costoso è il Ponte sullo stretto, da cui possiamo recuperare 7 miliardi di euro. C’è infine il tema della tassazione delle rendite finanziare, portandole al livello europeo, poco sopra il 20%, dall’attuale 12,5%… e si potrebbe continuare”, conclude Oddi, che è funzionario della Funzione pubblica Cgil.
“Il complesso di questi interventi, il prestito irredimibile più la manovra sulla fiscalità, dà la copertura degli investimenti. E li dà in termini certi e in termini accelerati: secondo i nostri calcoli -spiega Oggi- 23 miliardi di euro potrebbero essere spesi nell’arco di 4-5 anni. Per questo il nostro è un ‘Piano straordinario’, quindi, perché il meccanismo svolge una seria funziona anti-ciclica. Calcoliamo che tra si possano produrre 200mila posti di lavoro in più, tra quelli diretti e quelli generati nell’indotto”.

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