Ambiente
A Venezia un inchino può costare caro
Dal 7 al 9 giugno, a Venezia le "Giornate internazionali di lotta contro le grandi navi e le grandi opere" (qui il programma). È promossa dal Comitato No Grandi Navi, che chiede l’allontamento delle imbarcazioni di crociera che oggi passano a fianco di San Marco. Da Ae di maggio 2013, l’articolo che mostra come l’impatto economico delle grandi navi che entrano nella laguna supera i benefici del turismo —
Fotografare la basilica di San Marco affiancandola a 60 metri d’altezza ha un prezzo, ed è modico. Con 620 euro potrete partire (e tornare) a Venezia, per una crociera di una settimana (dal 9 al 16 giugno) su MSC Fantasia. L’ammiraglia del gruppo MSC Crociere, 330 metri di lunghezza e 66 di altezza, attraverserà il Canale della Giudecca, a fianco del monumento simbolo della città lagunare, e -nel 2013- lo faranno almeno altre 650 grandi navi.
Tra i molti passeggeri che realizzeranno così il sogno di una vita, pochi si rendono conto che per vedere (così) Venezia mettono a rischio la città e la sua Laguna, che fanno parte -dal 1987- del Patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco. Non lo capiscono, forse, perché non sono loro a pagare il costo, che è economico, ambientale e sociale. Del resto, “le compagnie di navigazione hanno un forte incentivo a comportarsi da free rider, perché possono trarre beneficio dalle risorse senza pagarne il prezzo”, come spiega ad Ae Giuseppe Tattara, ordinario di Politica economica in pensione dell’Università Ca’ Foscari. A fine marzo, Tattara ha pubblicato un paper che analizza “costi e ricavi del crocierismo a Venezia”. Il titolo è eloquente, “È solo la punta dell’iceberg!”, e mette in luce come i costi calcolabili -che sono l’inquinamento dell’aria, l’inquinamento del mare, il cambiamento climatico-, per 278 milioni di euro all’anno, siano praticamente comparabili ai ricavi -del settore turistico e per i servizi e altre attività portuali- generati dalla presenza, in città, di circa 1,8 milioni di crocieristi all’anno, che Tattara calcola in 290 milioni di euro. “È solo la punta dell’iceberg -racconta Tattara- perché non è possibile tener conto dei danni maggiori, che non sono quelli legati all’inquinamento da ossidi di azoto e di zolfo, dagli idrocarburi volatili, dalle Pm10 e Pm2,5, ma derivano dall’alterazione della morfologia lagunare”. Danni che sono esternalità negative, per usare un gergo caro agli economisti, e ricadono sulla “maggiore parte dei residenti nella città storica, che sopportano un costo annuo di circa 6mila euro pro capite”. L’industria delle crociere -ed è tipico del free rider- non ha alcun interesse a rallentare, anzi: dal 2008 al 2012, secondo l’“Annuario turismo 2012” del Comune di Venezia, presentato il 10 aprile 2013, il numero di navi da crociera approdate in città nel 2012, 661, è cresciuto del 23% rispetto a cinque anni prima (535), mentre il numero di passeggeri imbarcati, nello stesso periodo, è aumentato del 46 per cento. “Ciò significa che a Venezia arrivano navi sempre più grandi” annuisce Tattara, e infatti i dati di Venice Terminal Passeggeri (una società partecipata dall’Autorità portuale, da Save spa -che gestisce anche l’aeroporto cittadino-, da Veneto Sviluppo spa, dalla Camera di commercio di Venezia e da Finpax srl) evidenziano che il 48% delle navi, quelle da più di 70mila tonnellate, hanno trasportato il 70% dei crocieristi.
Il flusso, inoltre, è molto concentrato nei mesi estivi (maggio-ottobre) e nei fine settimana: per questo sono troppi, anche se quelli che dormono a Venezia sono solo circa terzo di quelli imbarcati, 650mila su 1.775.994 nel 2012, e rappresentano -secondo Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale- un’aggiunta “molto modesta” al totale dei turisti che visitano la città, oltre 20 milioni. E per questo c’è chi, a Venezia, pensa che sia il caso di fare uno più uno, e trarre le conseguenze: se la città è invasa dai turisti, e se tra questi i crocieristi arrivano utilizzando un mezzo degradante per il futuro del centro storico e della Laguna, si potrebbe iniziare a ridurre le presenze chiudendo il canale della Giudecca alla grandi navi da crociera. È ciò che propone il Comitato No grandi navi-Laguna bene comune (www.nograndinavi.it), che vorrebbe chiudere la Laguna a tutte le navi con una stazza superiore alle 40mila tonnellate.
“Innanzitutto c’è un problema di inquinamento -spiega ad Ae Tommaso Cacciari-: dal 2009, e fino a marzo 2013, le navi hanno potuto utilizzare, anche in Laguna, un carburante con un tenore di zolfo pari al 3,5%, ben superiore a quello consentito alla benzina per auto. In un week end estivo, quando ne abbiamo 6 o 7, Venezia è una specie di svincolo autostradale, e non ci sono centraline che misurano l’inquinamento”. Inoltre, aggiunge Cacciari, “la centralina ‘classica’ dell’Arpav, quella che misura le emissioni all’altezza dei tubi di scappamento di un’auto, a 40 centrimetri da terra, non è lo strumento adatto per misurare le emissioni di una grande nave, che dovremmo considerare come una ‘fabbrica’. I controlli, cioè, andrebbero fatti ai fumaioli, ma questo non si può fare senza il permesso aziendale”. Si arriva a un paradosso: domenica 14 aprile, in occasione della “domenica ecologica” del Comune, tutti sono andati a remi, mentre tre grandi navi hanno attraversato, comunque, il canale della Giudecca, e fatto un inchino di fronte a San Marco, per poi attraccare. “La potestà sul bacino è dell’Autorità portuale, che dipende dal ministero delle Infrastrutture: il Comune non ha alcun potere”, e rischia perciò di restare lettera morta anche l’articolo 35 bis del Piano di assetto territoriale, votato a fine dicembre 2012, che prevede l’allontanamento delle grandi navi dalla laguna perché definite “incompatibili con la città storica e il contesto lagunare”. Domenica 14 aprile, gli attivisti del Comitato hanno calato uno striscione dalla Basilica di San Giorgio Maggiore, sull’omonima isola: è giusto dirimpetto a San Marco, e “ed è l’esempio di una città che sta crollando, ‘scendendo’ in Laguna -spiega Cacciari-: Venezia non ha fondamenta, poggia su fango, sabbia. Il passaggio di una nave sposta una massa d’acqua pari al volume dello scafo, fino a 130-135mila metri cubi, acqua che sbatte sulle rive”. Consumando Venezia. A questo danno s’aggiunge quello fatto scavando i canali della laguna per far passare le grandi navi. “Vere e proprie autostrade -racconta Cacciari-: se la profondità media della laguna è di un metro, i canali portuali scendono fino a 10, 14 metri. Questa situazione ‘innaturale’, al passaggio delle navi, comporta la formazione di piccoli tsunami sotterranei, che mettono in movimento milioni di metri quadrati di sedimi, e seguono la nave fuori, in mare. Il rischio è che la laguna non diventi altro che un braccio di mare”. Proprio per questo, il 19 dicembre 2012 il comitato ha presentato all’Unesco la petizione popolare “Fuori dalla laguna le navi incompatibili”. L’hanno sottoscritta 12.565 persone. Tra le richieste, nella discussione sul Piano di gestione del sito Unesco, l’esigenza di stabilire una soglia totale di sostenibilità turistica giornaliera, “e che anche al crocierismo ne venga assegnata una quota invalicabile”. Gli uffici Unesco, da Parigi, non hanno ancora risposto. E il Comitato ha deciso di convocare, l’8 e 9 giugno, le Giornate internazionali di lotta contro le grandi navi e le grandi opere. All’imbocco della laguna, infatti, avanzano i lavori per il Mose, che dovrebbe proteggere la città dall’acqua alta. In futuro, con le paratie chiuse, le grandi navi non passeranno. —
La carica delle 5mila
I porti italiani dovrebbero essere “toccati”, nel 2013, da circa 5mila crociere, segnando una leggera crescita rispetto al 2012 e segnando così il pieno superamento psicologico del “problema Schettino”.
I passeggeri, secondo le previsioni di Cemar Agency Network, dovrebbero essere 11,05 milioni. Cinque i porti che superano il milione di passeggeri: sono Civitavecchia, Venezia, Genova, Napoli e Savona. La città lagunare è anche l’esempio di come il mercato sia molto concentrato: il 79,8 per cento delle navi che attraversano il Canale della Giudecca fanno capo a tre gruppi, Carnival (35,8%, che controlla anche Costa Crociere), MSC Crociere (29,8%) e Royal Caribbean International (14,2%).