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Esteri / Opinioni

L’embargo scientifico visto dagli ospedali di Gaza

Un infermiere assiste un uomo ferito alle gambe durante le proteste al confine tra Gaza e Israele © Msf

Costretta tra il mare e il muro, la Striscia soffre carenze gravissime anche in ambito sanitario. Il racconto di un medico senza frontiere

Tratto da Altreconomia 211 — Gennaio 2019

Sono seduto davanti a un terso cielo azzurro. C’è poco traffico oggi a Gaza. È venerdì, giorno di festa. Sembra una normale città mediorientale, viva contro ogni previsione: strade asfaltate piene di polvere, il minareto che tra poco intonerà la preghiera del venerdì, il carretto trainato da un asino, carico di arance. Sembra una città normale, se non fosse che è chiusa tra il mare, da cui nessuno può prendere il largo, e il muro, costruito da Israele per difendere la propria sicurezza. Due milioni di persone imprigionate, di cui 1.300.000 sono i rifugiati e i loro discendenti della Nakba, la catastrofe, il grande esodo dei palestinesi che nel 1948 persero le loro terre e si ammassarono qui.

Nella primavera 2018 ricorrevano i 70 anni dalla Nakba. Così i palestinesi della Striscia hanno ideato la grande marcia del ritorno a casa loro, fuori dalla Striscia. Ogni venerdì dallo scorso mese di maggio, organizzano una manifestazione sotto il muro. Lo sanno che non passeranno mai dall’altra parte, lo fanno perché è l’unico modo che hanno per ricordare al mondo che sono prigionieri, costretti tra il mare e il muro. Palestinesi che si avvicinano al muro e israeliani che dall’alto sparano mirando alle gambe.

Le fratture di tibia sono tra le più difficili da trattare, soprattutto quando mancano diversi centimetri di osso che viene polverizzato dal proiettile. Ospedali governativi pieni ogni venerdì. Con l’obbligo di fare tutto in fretta per poter dimettere i feriti e far posto a quelli nuovi del venerdì successivo.

Gli effetti dell’embargo economico sono noti. Il tasso di disoccupazione qui è al 44%, ma raggiunge il 60% nella fascia tra i 15 e i 29 anni. Anche chi ha un lavoro non se la passa bene: sono molti i dipendenti statali che non ricevono lo stipendio da diversi mesi o che ne ricevono solo una parte. Uno dei miei assistenti di anestesia lavora con noi pochi giorni al mese, il resto del tempo con il ministero della Salute, per il quale viene pagato solo al 40% del salario dovuto e ogni 50 giorni.

Si parla meno dell’embargo scientifico: medici locali obbligati a confrontarsi solo con loro stessi, impossibilitati a uscire dalla Striscia per andare all’estero ad aggiornarsi. Ferite infette, apparecchi per stabilizzare le fratture non idonei, mancanza di assistenza ambulatoriale postoperatoria e di fisioterapisti: queste le carenze principali che ci hanno portato qui. Siamo una trentina di “expats”, lo staff internazionale.

2.000 sono gli interventi chirurgici che le sezioni di MSF hanno eseguito a Gaza nel 2018, 80mila sono le medicazioni fatte negli ambulatori dell’organizzazione

Tre sezioni di MSF diverse (Francia, Belgio e Spagna) che lavorano su una decina di progetti sparsi per la Striscia ma vivono tutte insieme. Ho incontrato colleghi con cui ho lavorato in passato, tutti molto cari: l’infermiere filippino di Kunduz, l’ospedale nel Nord dell’Afghanistan distrutto da un raid americano nel 2015, la dottoressa francese e il fisioterapista brasiliano di Qabasin, in Siria, e l’infermiera francese di Mosul, in Iraq.

Ogni mattina ci si incontra a rotazione per colazione. C’è chi prepara il caffè con la moka da 12, chi taglia la frutta a cubetti, chi racconta di come ha dormito la notte mentre sorseggia un tè con la shiba, chi scrive su WhatsApp. Poi ciascuno lava la sua tazza e il suo piatto e ci si prepara per andare al lavoro, come in ogni famiglia. Qualche fatica (non ultima, la scoperta di un commando israeliano che operava nella Striscia mascherato da Ong) ma tante soddisfazioni: basta una semplice sedazione e un bimbetto non piangerà più per il cambio di una medicazione dovuta a un’ustione. È un cielo azzurro ancora più terso.

Luigi Montagnini è un medico anestesista-rianimatore. Dopo aver vissuto a Varese, Londra e Genova, oggi vive e lavora ad Alessandria, presso l’ospedale pediatrico “Cesare Arrigo”.  Da diversi anni collabora con Medici Senza Frontiere.

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