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Vivere d’olio e di matrimoni – Ae 74

Sette anni a Milano come operaio, poi la scommessa che passa dal bio. I campi di famiglia e un piccolo mercato al Nord. Storia di Michele e del suo paese, Aquilonia Ancora a maggio, nell’oliveto di Michele, si affonda fino…

Tratto da Altreconomia 74 — Luglio/Agosto 2006

Sette anni a Milano come operaio, poi la scommessa che passa dal bio. I campi di famiglia e un piccolo mercato al Nord. Storia di Michele e del suo paese, Aquilonia


Ancora a maggio, nell’oliveto di Michele, si affonda fino al ginocchio nel trifoglio seminato assieme al favino. Erbe alte, ben cresciute. I pantaloni si inzuppano dell’umidità dell’Alta Irpinia. Gli olivi sono stati appena potati: tagli bassi, per non far crescere verso il cielo le piante.

Alberi piccoli, ben curati. Il paesaggio attorno è da Grande West: le nuvole di nebbia nascondono, complici le acque del lago San Pietro imbrigliate da una diga, le vallate

dei fiumi Osento e Ofanto. Pascoli e campi contendono, ai boschi di quercia, i pendii delle colline del paese di Aquilonia, il più orientale, assieme a Monteverde, dei Comuni della Campania. La Lucania e la Puglia sono a un passo, appena oltre l’Ofanto. Le ramelle della potatura, le foglie e i rami degli olivi tagliati via, sono abbandonati ai piedi della pianta. Entro pochi giorni, anche il trifoglio e il favino saranno tagliati: verranno lasciati a fertilizzare il terreno. Michele spargerà, poi, letame maturo. Strategia antica, il sovescio. “Mio nonno faceva così e la mia famiglia ha sempre vissuto di questi campi”, racconta Michele Di Martino mentre passeggiamo fra olivi e pascoli. “Bisogna conoscere bene i venti di questa terra -dice ancora-. Le mosche che attaccano gli olivi non amano i luoghi ventosi e con buone potature riusciamo a combattere le malattie senza la chimica”. Ha 30 anni, Michele. Non ha studiato agraria (in questa terra di vecchi contadini, il primo istituto agrario è a cento chilometri), è perito elettronico. Dopo il militare, a 23 anni, come molti dei ragazzi di questo lontano frammento di Irpinia, è salito a Milano seguendo le orme di un fratello. Sette anni di fabbrica. Fino a poche settimane fa: ad aprile di quest’anno, Michele si è definitivamente licenziato ed è tornato nel suo paese, ai campi di una famiglia di contadini, agli olivi che, oramai, faticava a seguire nel pendolarismo, da dodici ore di auto, fra Milano ed Aquilonia.

Tornare qui è un lusso.

Eppure la storia di Michele è quella di un ritorno.

“Siamo lontani dai centri, lontano da tutto”, spiega Vito Tartaglia, 25 anni, geometra e fornaio del paese (qui si fanno più mestieri per vivere). Ha ragione: Aquilonia, 1.500 abitanti (quasi 5.000 solo trent’anni fa) è terra remota. Qui, 800 metri di quota,

il clima è da montagna: nevica per mesi su queste colline e le estati sono belle e fresche. Solo strade di campagna, scassate dalle buche, arrivano fino a qua. Mille frane accerchiano questa collina. Il patrono è San Vito e la grande quercia davanti al suo piccolo santuario non può essere toccata: le ferite inferte all’albero sanguinerebbero. Qua non sono ancora arrivate le frequenze della Tim per i cellulari. E il sito Internet del Comune non spiega come si raggiunge Aquilonia. L’unico (e bello) agriturismo ha chiuso da tre anni perché l’acquedotto non lo ha ancora raggiunto e le Asl non consentono di usare l’acqua del pozzo. Perfino l’agricoltura appare dimenticata: i marchi dop dell’Irpinia per vino e olio hanno frontiere lontane da Aquilonia.  

Il paese fu devastato dal terremoto nell’estate del 1930: non rimase in piedi una sola casa. Morirono 300 persone. Aquilonia fu ricostruita, quadrilatero di strade, case da 24 metri quadri a famiglia, a due chilometri di distanza. Il corso è dedicato, ovviamente, a Vittorio Emanuele III. Avellino è a 100 chilometri di distanza. Più vicina Melfi: e almeno 150 ragazzi, un decimo degli abitanti del paese, lavorano alla Fiat. Un pulman-navetta

ha gli orari dei turni della fabbrica. E sono solo tre le famiglie che stanno ancora nelle campagne. Età media degli agricoltori dell’Alta Irpinia? 65 anni. “Non c’è rendimento. La terra è fetente, ma non volevo chiappare la valigia  e andare”, mi spiega Donato Argentieri, allevatore di pecore ad Aquilonia. Lui è uno che è rimasto sulla terra. “Nessuno vuole fare più il contadino -mi avverte Michele-, vedrai pochissimi orti qua attorno. Si preferisce andare

al negozio a comprare i pomodori. Io, a volte, mi sento un pesce fuor d’acqua”. E allora perché questa migrazione alla rovescia? Il padre di Michele ha 80 anni. Una vita da emigrato. In Svizzera. In Germania. Ma la famiglia è sempre rimasta al paese. I soldi della fabbrica servono a far crescere i figli (Michele ha tre fratelli e due sorelle) e a tenere in piedi l’azienda agricola. Si coltivano campi a cereali. Qualche ortaggio, qualche albero da frutto e 350 piante di olivo su tre ettari di terreni. Nel 1985, il padre, dopo trent’anni di emigrazione, torna a casa: non si lascia la campagna. È Michele, il più piccolo in famiglia, a partire pochi anni dopo. Per Milano. Dove fa incontri fortunati: a una festa del Wwf fa amicizia con un olivicoltore biologico del bresciano. È l’intuizione che una nuova agricoltura è possibile. Perfino al paese. Dove Michele torna con regolarità: a Natale, a Pasqua, per le vacanze estive. Sono sette anni di pensieri, di ricerche, di progetti. Piccoli passi. La Coldiretti di Avellino ti guarda come se fossi matto quando chiedi informazioni. E lo deve pensare anche il padre quando, nel 2001, Michele avvia le pratiche per la conversione al biologico di un’azienda che, in fondo, già lo era. 500 euro per cominciare questo cammino. Il vecchio deve aver davvero scosso la testa quando ha visto tecnici agricoli girare fra gli olivi che ora appartengono a Michele.

Mica facile, poi, trovare in Irpinia un frantoio biologico per le olive: il più vicino è a Carife, quasi 50 chilometri di distanza. E bisogna anche cercare i laboratori per le trasformazioni degli ortaggi. Ma gli anni di Milano non sono stati vani per Michele. Ha conosciuto il mondo del biologico, le piccole fiere, i mercatini della provincia lombarda, è atterrato a Fa’ la cosa giusta, la mostra-mercato dei consumi critici sostenuta da Altreconomia, ha cominciato a navigare nella rete dei Gruppi di acquisto solidali: a Milano, a Como conoscono i prodotti di Michele. Una rete commerciale alternativa. Piccola, certo, ma attenta, sensibile, curiosa.

Si può fare l’agricoltore ad Aquilonia creando una minuscola rete di distribuzione a Milano? Il pastore Donato Argentieri non riesce a vendere la carne delle sue vacche o i formaggi delle sue pecore perché non ha un mercato. Michele, invece, mantiene una sede nel capoluogo lombardo, costruisce rapporti, cerca i suoi clienti-amici. Lavora con Internet (ma non ha ancora un sito). Con un furgone attraversa l’Italia per portare i suoi prodotti al Nord. E impara, ogni mese di più, a fare l’olivicoltore. Lo scorso anno ha raccolto all’inizio di novembre. “In paese mi guardavano come un marziano -ricorda-. Qui le olive si raccolgono quando sono mature. Quasi si aspettano che cadano. Io, invece, volevo un olio ben fatto: si raccoglie quando cominciano a cambiare colore”. E l’annata 2005 (due quintali e mezzo di olio) è stata perfetta. L’olio di Michele ha conquistato un premio per le sue qualità biologiche. Ortaggi, frutta, erbe aromatiche accrescono la produzione della piccola azienda. I contributi europei sono indispensabili. Michele è giovane: non si lascia la fabbrica di Milano senza averci pensato bene e a lungo. Crede davvero che il suo futuro sarà nei campi del paese. E la famiglia ha ritrovato le radici contadine: fratelli e cugini aiutano nel lavoro di campagna; un nipote, 14 anni, ha già dichiarato che lui vuole fare l’agricoltore. Nei mesi della raccolta delle olive sono una trentina i Di Martino che, con scale, teloni e rastrellino, infagottati in maglioni per proteggersi dal freddo irpino, girano fra gli olivi. Settimane di fatica vera (le olive devono raggiungere il frantoio entro poche ore), ma anche di grandi cene familiari.

Da cercare di essere invitato. Per regalarsi davvero il lusso di chi è tornato.



L’ultimo dell’irpinia orientale

Aquilonia, assieme a Monteverde, è l’ultimo dei comuni dell’Irpinia orientale. Alto su una collina, domina le vallate dei fiumi Osento e Ofanto.

Come arrivare:

In auto, uscita di Lacedonia lungo la Napoli-Bari. Seguire la strada provinciale per Bisaccia e poi le indicazioni per Calitri:dopo pochi chilometri, bivio per Aquilonia.

In autobus: da Avellino: autolinee Di Maio da Avellino (0827-34.117).

Da Napoli, autolinee Clp (081-25.14.157).

Dove dormire:

Deve riaprire (forse questa estate) l’agriturismo Agrivita  di Vito Luongo. È in località Pozzo Monticchio. Tel. 349-730.21.39. Da matrimoni (cucina eccellente) l’hotel Gronki, in via S.Pertini, 3. Tel. 0827-83.020.



L’industria dei matrimoni

Arrivi ad Aquilonia e pensi di essere atterrato in un film di Fellini. Il primo palazzo è un pantheon dalle colonne degne di un tempio greco. L’albergo Gronki (soprannome del proprietario per la sua somiglianza all’ex-presidente della Repubblica) ha un salone “senza pilastri” da 600 posti. Eleganza newyorchese invece per lo Smeraldo, altro hotel

del piccolo paese. Poco più di mille abitanti e quasi il doppio di posti a tavola. Terra di banchetti, Aquilonia. Qui le coppie pugliesi e campane vengono a sposarsi. Le famiglie festeggiano cresime e comunioni. E gli invitati sono centinaia e centinaia. Prezzi da concorrenza, dicono: 40/50 euro a testa, ballo compreso. “In Puglia si spenderebbe quasi il doppio”, giurano. Cortei nuziali affollano tutte le domeniche estive della remota Aquilonia. I giardini degli alberghi sono scenografie da foto di nozze: cascatelle e fontane, piccoli ponti giapponesi e labirinti di siepi. Per almeno cento giorni l’anno (ma quest’anno in paese si sposano solo quattro coppie), ogni salone è pieno. Calcolo ad occhio: 5 milioni di euro l’anno di fatturato? L’industria dei matrimoni è il business di Aquilonia. Un ragazzo del paese può lavorare,come cameriere o assistente in cucina -ai fornelli c’è sempre qualcuno della famiglia

dei proprietari- per 70-80 giorni l’anno.



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